Nel 2013 il mondo della GDO era nel pieno delle sabbie mobili della crisi e non si vedeva nemmeno uno spiraglio di luce.
Viene da domandarsi: è cambiato qualcosa?
No, se si considerano i risultati che otteneva la Grande Distribuzione nel 2013 e quelli che otterrà alla fine del 2016. Però di modifiche rispetto al 2013 ce ne sono state, ma non abbastanza.
Prima considerazione: la situazione economica nazionale non si è modificata nonostante gli sforzi ed i proclami di Renzi.
Seconda considerazione: in Europa in mercato Retail soffre in egual maniera
Ultima considerazione: probabilmente il futuro non sarà differente
In Italia ci sono moltissimi punti di vendita che condividono troppi bacini di utenza, rispetto al passato naturalmente. I formati di vendita si stanno specializzando sempre di più, negli ultimi 15 anni la corsa verso la profondità dell’offerta nei settori più strategici ha portato ad una inevitabile saturazione. Non è più possibile concepire crescite come quelle che abbiamo vissuto in passato: lo sappiamo tutti. Sono altri i fattori che devono cambiare: i Bilanci devono essere il frutto equilibri gestionali altamente professionali, è necessaria una capacità manageriale di alto livello per poter stare sul mercato. Il timore di chi osserva il mercato è proprio questo: avere il dubbio che chi guida le aziende della mercato retail nazionale non sappia governare il “nuovo mondo”, fatto di fatturati pari a crescita zero ma con diversificazioni del modello di business, ottimizzazione dei costi e politiche commerciali confortanti.
Tornando a chi è cresciuto e chi ha perso, lo specchietto che ha pubblicato il Sole 24 Ore qualche giorno fa è la fotografia dei successi o degli insuccessi delle centrali della GDO.
Partiamo dal leader Coop Italia: secondo la fotografia il suo andamento è stabile (-0,1%). In verità dietro questo numero con segno meno sebbene verso lo zero c’è un cambio generazionale impressionante. E’ cambio un concetto alla base della rivoluzione: il business si fa in periferia. Ciò implica una Centrale (che costava un patrimonio) sempre più deresponsabilizzata, e con un cambio nella periferia sostanziale con la nascita di Coop Alleanza 3.0.
Conad invece sta crescendo (+1,2): la crescita è ottenuta con un accorpamento dei ce.di, delle politiche di category che hanno pagato, insomma sebbene regni la tensione dentro i vari uffici delle periferie, questa alla fine porta risultati. Conad in questi anni ha risolto, tra le altre cose, il problema degli ipermercati nel modo più semplice: cambiandoli in superstore.
Anche Selex (1,2%) sta crescendo, grazie soprattutto all’entrata di soci importanti ed alla crescita delle aziende più rappresentative.
Esselunga cresce (+1,4%) perché è una macchina (quasi) perfetta, sicuramente di un altro pianeta rispetto alla concorrenza.
Le due francesi (Auchan e Carrefour) vivono momenti delicati in Italia a causa della profonda crisi in cui versa il format ipermercati, anche se il secondo sta reagendo soprattutto con una convincente offerta nel segmento Convenience.
Veniamo alla DO.
Se si esclude la voce “altri” la debacle più rilevante la sta vivendo il Gruppo Sigma che non ha saputo amalgamare la compagine che usciva da Interdis perché troppo differente rispetto ai soci storici dell’azienda.
Sisa perde un -1% ma le voci che circolano sul mercato sono di tempeste all’orizzonte. CRAI ed Aspiag crescono, come cresce Vegè che, come si è già scritto, è portatore di un progetto vincente.
Però bisogna essere onesti: si parla del nulla. Non è il -1% che manda in crisi le aziende. La crisi dell’offerta, le sofferenze finanziarie di soggetti patrimonialmente deboli, l’incapacità a crescere interpretando le moderne esigenze del consumo, questi sono i veri problemi del mondo distributivo, che non sono leggibili da un grafico.
L’unica lettura che si può dare a questo è la conferma di uno stato di stallo che è destinato a durare forse all’infinito. In Inghilterra, Paese dove l’economia corre più che in altri Paesi in Europa, dove il processo di modernizzazione della distribuzione è in atto, dove l’evoluzione dell’offerta è già stata traghettata verso le sponde più vicine alle esigenze del consumo, dove i protagonisti sono pochi e tutti molto patrimonializzati, i problemi sono più gravi che a casa nostra. In Francia, dove anche lì è in corso un profondo aggiornamento dell’offerta, i numeri sull’anno precedente sono identici a quelli italiani a riprova che, sebbene cambino le strategie, i risultati che portano le stesse non sono di incrementi di fatturato rilevanti.
Ciò che, invece, cambia sono i ricavi.
La nostra Moderna Distribuzione non è proprio tale: in Italia si ottengono controcifre sull’anno precedente drogando molto i fatturati con operazioni promozionali che, se da un lato gonfiano la pancia del retailer con i contributi, dall’altro la svuotano con i margini che si riducono. E’ un po’ il gatto che si morde la coda.
Il fatturato può anche crescere a zero o addirittura decrementare sull’anno precedente, ma bisogna continuare a guadagnare denaro.
In tal senso sono da considerare positivi gli atteggiamenti di Conad che prova ad aprire un nuovo business (pet care) per trovare nuove possibilità di fatturato, così come sono da tenere in considerazione le iniziative di Coop Alleanza di continuare ad aprire distributori di benzina.
Sono solo degli esempi, ma sono dimostrazioni che il business deve continuare a prescindere dalla saturazione del mercato.
Dott. Meneghini, la prego di accettare le seguenti critiche all’articolo:
1) Perché non far notare nell’articolo che quel grafico del Sole 24 Ore è privo di qualsiasi senso logico perché mancano discount, drugstore, biostore, ecc.?
2) Perché come foto ha scelto quella di un NaturaSì se poi ignora completamente la grande distribuzione moderna parlando soltanto della grande distribuzione tradizionale?
Buonasera Giulio,
ha perfettamente ragione nel sottolineare l’assenza del settore drugstore e del discount. Il grafico del sole 24 Ore, come purtroppo molte società in Italia, ignora l’esistenza di canali distributivi che erodono significative quote di mercato alla storica GDO. Relativamente alla foto, purtroppo, non ho voce in capitolo, ma accetto la critica.
In realtà, scrivendo quell’articolo, che partiva da una pubblicazione del Sole 24 Ore, la mia attenzione si concentrava volutamente su un tema che mi sta caro: il futuro della Grande Distribuzione. Quelle quote di mercato non danno l’idea di chi ha lavorato bene e chi male sul mercato, almeno non così nel dettaglio. Certifica che alcune catene stanno azzeccando le politiche commerciali (vedi Conad) ed altre le politiche strategiche (vedi Vegè). Due cose molto diverse. Ma soprattutto dice chiaramente che le crescite dei fatturati sono una chimera, sono storia passata. Il futuro è fatto di nuove strategie che, più che portare fatturati, dovranno portare Bilanci migliori.
Approfitto per ringraziarla dell’attenzione che ha prestato al mio testo.
Cordialmente
Andrea Meneghini