Può apparire scontato ma non sempre investire sul biologico può essere un successo. Questo postulato vale per tutti i business che crescono a due cifre ma, all’interno di tanta crescita crescita della domanda, non sempre l’offerta, seppur dentro un ambito di mercato favorevole, può ottenere i risultati sperati. Un nostro lettore ci ha portato all’attenzione un caso di insuccesso del Bio davvero eccellente, quello dell’acqua Sant’Anna che nonostante abbia creato la Bio Bottle, la prima bottiglia al mondo di acqua minerale da 1,5 litri, ovvero il formato più venduto, rivolta al mass market confezionata nella bottiglia biodegradabile, non ha ottenuto il risultato sperato. In una intervista a Focus.it il patron dell’azienda, Alberto Bertone si sfoga controla Grande Distribuzione italiana rea di non agevolare la crescita del Paese verso scelte di vita maggiormente eco-compatibili facendo prevalere logiche di mero profitto.
“Lo ‘scoglio’ principale, è la rete della grande distribuzione che decide cosa ‘deve andare di più’ e cosa meno, negli scaffali dei punti vendita, indifferentemente dalle caratteristiche, in questo caso, di sostenibilità importanti. Fotografata la situazione, è proprio Bertone a rivolgersi alle istituzioni pubbliche per chiedere che “per legge” l’ecosostenibilità sia introdotta anche solo con una percentuale inizialmente modesta, un 5-10%. Tanto poi, è sicuro, diventerà prassi.”
Lorenzo Burini, un nostro attento lettore, ci ha scritto dando una spiegazione alla situazione denunciata da Alberto Bertone.
Vi sottoponiamo il suo ragionamento accogliendo qualsiasi contributo vogliate dare. Buona lettura.
QUANDO L’INNOVAZIONE (BIOLOGICA) DI PRODOTTO NON FUNZIONA
Mi è capitato qualche giorno fa di soffermarmi a leggere un’interessante intervista rilasciata da un imprenditore “enfant-prodige” del settore delle acque minerali, colui che in pochi anni è riuscito a scalare la classifica delle acque minerali più vendute in Italia superando noti colossi del settore, sto parlando di Alberto Bertone, presidente di acqua Sant’Anna.
Persona ammirevole e coraggiosa dicevo, poiché inserirsi e vincere in un contesto tanto affollato quale quello delle acque minerali non è da tutti , e, come tutti gli imprenditori che si rispettano, recentemente è riuscito a diversificare producendo bibite piatte e succhi di frutta, scalando anche qui la classifica.
Però. Eh si, nel mezzo, c’è stato un inciampo. Un errore, che però poteva essere evitato. Sto parlando della Bio bottle Sant’Anna. In una recente intervista a Focus.it, Bertone ha dichiarato esplicitamente che le vendite della stra-pubblicizzata Bio bottle sono state sotto le aspettative. Investimenti molto alti in marketing e comunicazione non sono bastati. Come mai –vi chiederete-, l’Italia e gli italiani non sono abbastanza sensibili al tema dell’ambiente e del riciclo?
Al contrario. Sono sensibilissimi, ma questa bottiglia –la Bio bottle- che si getta nell’organico e dopo 8 settimane non lascia alcuna traccia di sé non contiene quegli elementi di differenziazione tali da giustificare un costo quasi doppio rispetto alla sorella analoga prodotta nel classico PET.
Gli italiani sono disposti a spendere di più per acquistare un bene biologico, ma dietro ci deve essere una “promessa”, un plus che quel prodotto deve mantenere. In questo caso la “promessa” è troppo debole, ed il prodotto di fascia alta è rimasto di nicchia, per non dire quasi rifiutato.
Per concludere, vorrei dire che è vero che il biologico è la nuova frontiera del business, ma se si va troppo al lardo, ci si lascia lo zampino.