GDONews.it incontra il Dott. Patrizio Marchetti responsabile della categoria Pet di Coop Italia, considerato un grande conoscitore delle logiche di category nelle diverse aree merceologiche e da poco tempo approdato al “timone” di una categoria considerata strategica in termini di trend di crescita. Prima di iniziare la vera e propria intervista si dialoga della diversa concezione che nel Regno Unito ha il consumatore relativamente alla categoria in oggetto ed il dott. Marchetti puntualizza subito:
R: Bisogna però stare attenti, l’Europa mediterranea non significa Inghilterra; voglio dire, la maturità che il mercato in oggetto possiede nei paesi di lingua anglosassone (quindi anche Stati Uniti) è più evoluta di qualsiasi altro consumatore nel mondo. Il vero competitor dell’industria del pet food nel resto d’Europa, e quindi anche da noi, sono “le abitudini” (preparazioni domestiche), ma questo io non lo considero un male, un limite, anzi: il mangiare non va inteso solo come momento di completa nutrizione, è un momento di condivisione anche in termini di tradizione, l’animale domestico è considerato come facente parte del nucleo familiare, quindi anche come colui che condivide il pasto con il resto della famiglia. Ma anche qui l’abitudine cambierà ed il cibo industriale arriverà a prevalere, è solo una questione di tempo.
D: Il trend di crescita registrato nella distribuzione moderna è di circa il 5%, voi avete registrato migliori indici?
R: Andiamo bene, cresciamo di più, ma l’attività di category è in continua evoluzione. Chiaramente NON vogliamo più perseguire un approccio etico a questa categoria, piuttosto demagocico; intendo dire che, in effetti, anche se può apparire imbarazzante pensare, ad esempio, al latte specifico per gatti quando intere popolazioni muoiono di fame, noi dobbiamo seguire necessariamente l’evoluzione della domanda senza tanti alibi, cercando di soddisfare le esigenze dei nostri consumatori meglio rispetto alla concorrenza.
D: In tema di assortimento è da evidenziare come nel nostro paese la cultura alimentare di chi possiede animali sia ancora indietro rispetto ad altri paesi, però soprattutto nelle giovani generazioni c’è sempre una maggiore attenzione all’alimentazione. I cibi umidi, dominanti nei fatturati, registrano un forte stallo oramai da 5 anni in termini di trend, mentri i secchi crescono con numeri a doppia cifra dallo stesso periodo, più o meno; come state gestendo in termini di lay out, il “passaggio generazionale”?
R: E’ vero, in generale il secco nel “cane” è arrivato al 44% di quota, però l’umido resta sempre leader nei consumi, inoltre bisogna stare attenti alle generalizzazioni; andando nello specifico si può invece notare come nell’umido esistano alcune nicchie in forte crescita: ad esempio le monoporzioni.
D: In termini di assortimento, la spesa per gli accessori incide sempre più, l’alimentare inizia a “donare” spazi al non food nella categoria del pet.
R: E’ vero cresce; noi, come d’altra parte molte categorie del non food, lasciamo gestire lo spazio direttamente al fornitore. In definitiva andiamo a monitorare e definire lo spazio da destinare alla sottocategoria, decidiamo il brand che deve occupare tale spazio, all’interno del quale il fornitore opera le scelte assortimentali di concerto con Coop Italia.
D: Private Lable: Il Pet Food è la categoria dove l’attenzione alla marca è la più bassa in assoluto (sotto il 20%) eppure nel mercato nazionale la quota di PL in seno a tale categoria è di circa il 20%. Cambierà qualcosa?
R: Beh, intanto preciso che la Private Lable di Coop italia ha una quota, nel segmento pet food, del 35%, però io penso che anche in questo mercato il brand conti molto, soprattutto nel “gatto”. Il Brand se è in grado di individuare contenuti a valore aggiunto reale viene sicuramente premiato. Penso, aggiungo, che in tale ambito la marca trova un terreno molto fertile, ovviamente non faccio riferimento al brand considerato come “icona”, ma ripeto, quella con un contenuto reale di valore aggiunto. E’ altresì il brand “intermedio” che mostra segni di difficoltà, mentre il “premium” price è vincente in relazione al consumatore, ma deve necessariamente trovare una sua precisa identità.