Mentre noi ci gongoliamo nei nostri 4 miliardi di euro di fatturato, Il mercato mondiale del biologico ne vale più di 60, cresce di oltre 2 milioni la base degli acquirenti ed i paesi più dinamici sono Stati Uniti, Germania, Francia e Cina. Lo sanno bene i produttori e trasformatori che, nonostante la crescita del mercato interno, puntano sempre più ai mercati d’oltralpe.
L’agenzia ITA (Italian Trade Agency dell’ICE), in occasione di Sana, il salone internazionale di settore, ha promosso uno studio curato da Nomisma per fornire uno spaccato della situazione attuale e per individuare i trend e potenzialità dei mercati esteri e punti di forza. Inoltre i centri ITA hanno a loro volta fornito un focus sull’agroalimentare biologico italiano all’estero. Un’analisi dei marchi, del posizionamento, dei vincoli dei singoli paesi, volto a supportare ed indirizzare nello specifico le strategie di business degli operatori di settore.
Export in cifre
La Dott.ssa Zucconi di Nomisma, rileva che la dinamica delle esportazioni del biologico cresce, e rappresenta oggi il 4,2% delle esportazioni totali agroalimentari, ma migliora soprattutto la capacità degli operatori di vendere i nostri prodotti all’estero. Il dato, +337% impressiona ma non stupisce in un mercato che sviluppa nel suo complesso un bel +31% al nostro interno e +300% a livello mondiale negli ultimi 13 anni. Inoltre se pensiamo ai consumatori abituali di prodotti biologici, il dato italiano, 8%, sparisce quasi al confronto con il 40% di Germania e il 30% di Stati Uniti. Si comprende quindi, come molte aziende, soprattutto giovani e con alta propensione all’analisi dei mercati e all’esportazione, guardino ai paesi dell’UE come bacino più importante e fondamentale per lo sviluppo dell’export.
I paesi europei hanno privilegio sia per vicinanza sia per equivalenza di certificazioni e modelli di produzione biologica, rispetto ai paesi terzi ritenuti interessanti e dinamici come Stati Uniti, Cina e Giappone per l’alta propensione al consumo, dove la normativa è spesso una barriera complessa e costosa.
Altri paesi d’interesse sono Scandinavia e Svizzera per l’ampia capacità di spesa di cui sono caratterizzati.
La Germania rappresenta il primo mercato per i prodotti agroalimentari bio italiani (24% sul totale del fatturato estero realizzato nel 2014), seguita dalla Francia (20%). Altri mercati rilevanti per il bio Made in Italy sono: Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo (circa il 9% del fatturato export) e la Scandinavia (con anch’essa il 9%). A seguire Stati Uniti (4%), Svizzera (4%), Giappone (3%) e Canada (2%).
Il 40% dei beni esportati sono prodotti finiti a marchio dell’Industria, il 28% sono PL della Grande Distribuzione, il 17% materie prime e semilavorati.
Frutta e verdura, sostitutivi del latte, pasta e affini, carne fresca e salumi per la maggior parte.
I punti di forza, del biologico nei mercati esteri, sono gli stessi che spingono il consumo interno:
- maggiore gradevolezza al gusto (migliore qualità organolettica),
- sicurezza tramite tracciabilità e certificazione,
- marchio aziendale apprezzato e affidabilità dell’azienda,
mentre la provenienza italiana in generale arriva solo al quarto posto della scala dei valori bio. Negli obiettivi delle aziende italiane vi è quella di utilizzare il brand Made in Italy come valore aggiunto anche per i mercati esteri, senza trascurare i primi tre punti essenziali. Inoltre, cresce la propensione all’esportazione, non solo per il maggiore giro d’affari estero, ma anche per la ricerca di maggiori margini, oggi fortemente compressi in Italia.
Se abbiamo visto finora il terreno fertile, la semina e la raccolta, sono tutt’altro che una passeggiata. L’impegno al presidio dei mercati esteri prevede una non indifferente serie di ostacoli da superare, e deve essere accompagnata e controllata per dare quei buoni frutti sperati, come i singoli ITA rilevano.
CINA: mercato emergente
I molteplici scandali alimentari degli ultimi anni e il desiderio di un’alimentazione “salutare” hanno portato anche la Cina a un aumento dei consumi di prodotti biologici.
Nel complesso l’importazione di beni alimentari cresce di anno in anno del 15% e si stima che nel 2018 la Cina sarà il primo paese importatore mondiale per un giro d’affari di 77 miliardi di dollari.
In questo mercato, pur triplicando il giro d’affari dal 2007 a oggi, il biologico copre solamente l’1% del consumo (rispetto al 5-8% di US e UE) la ragione di un dato così contenuto sta nel prezzo, molto alto per la maggior parte delle persone, soprattutto quelle che vivono al di fuori delle grandi città.
I maggiori acquirenti sono gli impiegati (con il 40% degli acquisti sul totale), a seguire le famiglie con bambini piccoli, persone con problemi di salute, chi rientra dall’estero, gli uomini d’affari delle metropoli, gli ufficiali governativi, i giovani e gli stranieri che vivono in Cina.
L’importazione si attesta oggi a 20 milioni di dollari.
I principali concorrenti dell’Italia per superficie sono la Spagna, Stati Uniti, Argentina e Australia, mentre per numero di produttori l’India, l’Uganda e il Messico.
I principali distributori sono i supermercati di fascia alta, grazie anche ai rigidi controlli qualitativi sui prodotti venduti e sono il canale più usato dai produttori stranieri, l’e-commerce che riesce a offrire i prodotti a prezzi più convenienti e a coprire maggiori aree anche periferiche, Infine la ristorazione.
La normativa cinese è complessa, vi sono tre leggi principali “legge sull’igiene del cibo”, la legge sulle “norme di etichettatura” e la legge delle “norme nazionali”. La prima impone ispezioni nelle aziende produttrici su packaging, produzione e stoccaggio dei prodotti in accordo con le norme sulla sicurezza alimentare, inoltre, le norme sul biologico non riconoscono ancora nessun altro sistema di certificazione. L’ispezione e la certificazione di tutte le fasi operative devono, quindi, essere condotte sulla base degli standard biologici cinesi da parte d’ispettori e certificatori direttamente approvati dalle autorità cinesi.
Attualmente, ci sono solo ventisei certificatori biologici che hanno tale approvazione, e tutti hanno sede in Cina.
I controlli sono quindi onerosi per i produttori stranieri e arrivano a costare fino a 4.300 euro per prodotto.
Le “norme nazionali” si riferiscono a specifiche da rispettare (nazionale, settoriale, locale e specifica d’impresa).
Una nuova legge sulla sicurezza alimentare sarà applicata dal prossimo Ottobre 2015, sarà più severa, con maggiori sanzioni in caso di violazioni, ma dovrebbe dare maggiore possibilità per l’importazione di prodotti alimentari di alta qualità.
STATI UNITI: i vincoli doganali, barriera all’entrata
Gli Stati Uniti sono il maggiore consumatore di prodotti biologici il cui giro d’affari arriva a 35 miliardi e continua a crescere, su un totale consumi di 787 mld di dollari.
La frutta e la verdura rappresentano il 36% dei consumi del biologico, seguono caseari, pane, granaglie e bevande.
I prodotti sono presenti 12 mesi/anno, potendo il mercato americano avvalersi di California, Florida e Sud America (Cile, Messico e Perù) quali principali produttori di biologico, e con i quali ha accordi commerciali preferenziali.
Non esiste il problema del prodotto stagionale come avviene in Italia. Inoltre, le rigide norme di sicurezza alimentare compromettono la produzione originaria e i numerosi controlli doganali ritardano le consegne. Vi sono quindi oggettive difficoltà nell’importazione dall’Italia di frutta e verdura, che non arriverebbe fresca, oppure di salumi e formaggi, che devono subire trattamenti di affumicazione o del freddo per essere commercializzati.
Infine il prezzo sale fino a risultare dalle 2 alle 3 volte più caro rispetto a un prodotto comparabile proveniente dal mercato interno. Il consumatore americano, molto sensibile al prezzo, tenderà quindi a preferire i prodotti locali freschi e più economici.
Ad aggravare la situazione è il concetto Buy America che non è volto a danneggiare i paesi terzi, ma, di fatto, intende sostenere i prodotti locali, tanto che anche nei ristoranti si trovano indicazioni sui produttori degli alimenti utilizzati “Farm to Table”.
Il consumatore di biologico ha un livello alto di cultura, abita nelle grandi città, ha più di 45 anni, reddito stabile e figli fuori casa; oppure è giovane, attento a cosa mangia e alle etichette; oppure ancora, gli anziani che considerano il bio una cura per i malanni, ma questi ultimi non sono disposti a rinunciare anche ai prodotti convenzionali tradizionali.
Infine esiste l’Italian sounding, una serie di prodotti fatti da italiani che vivono in America e hanno stile di produzione tradizionale italiano. I consumatori non vedono differenze tra questi prodotti e quelli originali provenienti dall’Italia che sono, in aggiunta molto più cari, ecco che le preferenze ricadano ancora una volta, sul prodotto locale, lasciando il cosiddetto gourmet food ad una nicchia davvero piccola.
Tuttavia la cultura italiana è molto apprezzata e conquista fiducia sulla qualità dei prodotti, le categorie più apprezzate sono olio, pasta, conserve, sughi, salse e derivati dei pomodori in genere.
I canali distributivi sono i supermercati specializzati, hanno etichette proprie e cibo con alta qualità e prezzo ragionevole.
Per quanto riguarda le certificazioni, il prodotto è ritenuto biologico se ha tutti gli ingredienti bio 100%, e deve essere certificato per il mercato americano. Nonostante i tentativi di “equivalenza”, cioè di far accettare le normative restrittive Europee nei paesi terzi, vi sono una certa ritrosia e la richiesta di appositi controlli locali.
Per un buon successo delle esportazioni, infine, a fronte di un maggiore investimento, sono consigliate joint venture con importatori specializzati ed esperti che collaboreranno con le aziende produttrici per la corretta etichettatura, e in seguito si occuperanno di tutti i documenti e le operazioni di dogana.
FRANCIA: puntare all’autonomia
L’assetto mondiale delle forniture è cambiato da tempo, e con il rafforzamento delle transazioni dai paesi emergenti, abbiamo perso molte quote di mercato. Nonostante tutto, per alcune merceologie, manteniamo la leadership, come la pasta e le conserve a base di pomodoro.
La spesa alimentare è in sofferenza anche in Francia a causa della crisi e delle spese fisse (alloggio e trasporti) che erodono la maggior parte della capacità di spesa.
I consumi agroalimentari rappresentano quindi solo il 13% della spesa, e in questo contesto si inserisce il biologico che, malgrado tutto, continua a crescere su tutti i comparti dal +7% al +14% da più di quattro anni.
Il giro d’affari è di 5 miliardi di euro +10%, il 2,5% del mercato alimentare globale, il secondo europeo dopo la Germania.
Il 96% delle vendite avviene tramite la Grande Distribuzione con marchio proprio, per questo si assiste parallelamente a nuovi referenziamenti che portano la PL a un costante +6% di anno in anno a fronte di un +1% delle restanti PL. La distribuzione, nata nelle grandi città, è oggi capillare.
Il comparto più dinamico rimane il lattiero-caseario, trainato anche dalla presenza dei prodotti all’interno dell’esposizione totale (per ovvi vincoli di temperatura) a fronte degli altri prodotti che hanno esposizione in reparti dedicati (condizionati alla specifica ricerca del reparto da parte dell’acquirente).
Anche la ristorazione ha visto un balzo in avanti in questi anni, 198 milioni di euro il giro d’affari, il 4% del mercato Bio, tanto che il settore è stato recentemente regolamentato in tre livelli: ristoranti con un piatto Bio, senza dichiarazione di “ristorante Bio”; con un intero menù Bio, con necessaria certificazione Bio ed infine il ristorante totalmente Biologico per il quale è necessaria certificazione sia dei cibi sia del ristorante.
Il consumatore tipo è donna tra i 25 e i 34 anni, con elevato stato socio-culturale, informata e residente nelle grandi città. Il 20% sono consumatori abituali di cui il 10% quotidiani, il 62% acquista biologico una volta al mese, mentre solo l’8% non è interessato al biologico.
Anche qui i punti di forza sono la qualità, il gusto, l’equo trattamento degli animali; mentre i punti di debolezza sono il prezzo, la sfiducia nei prodotti bio e la carenza d’informazioni.
I prodotti maggiormente importati sono: bevande vegetali (America del nord/sud ed Europa), ortofrutta (Spagna/Marocco/Italia), drogheria alimentare (caffè dall’America del sud, tè dall’Asia, conserve a base di pomodoro Italia), farine (Ungheria/Romania/Italia), lattiero-caseari (UK/Germania) e salumi (Danimarca/Germania).
Il mercato francese è molto sensibile al biologico e aumenta di anno in anno la produzione nel comparto agricolo e nella trasformazione tanto da arrivare a soddisfare il 70% dei consumi interni (fino a quattro anni fa ne copriva il 60%).
Salve, in merito all’export in Cina di prodotti BIo dall’italia è ad oggi cambiato qualcosa?
Vi è un riconoscimento di equivalenza in caso di operatori certificati da ODC Italiani?
Un saluto