lunedì 20 Gennaio 2025

Export 2016: si cala e bisogna cambiare

I dati pubblicati qualche giorno fa dall’ ISTAT confermano un export italiano in lenta ripresa nell’ultima parte del 2016, in un anno considerato particolarmente difficile per gli scambi a livello globale. Le nostre esportazioni di beni hanno sviluppato 417 miliardi di vendite, in crescita misera dell’1,1 rispetto al 2015, anche se il saldo commerciale fa registrare valore positivo di 51,6 miliardi soprattutto come effetto di un parallelo calo delle importazioni (-1,4%, ma al netto dell’energia anche questo dato è in crescita dell’1,5%).

Quello messo a segno nel 2016 è un risultato frutto di andamenti contrastanti: se è in crescita l’export verso l’Unione (+3%), va annotato un calo di quello verso i mercati extra-UE. In crescita quasi del 10% le esportazioni verso il Giappone, mentre sul mercato cinese le nostre vendite riprendono a crescere, dopo la battuta d’arresto del 2015. Sempre in Asia, in calo l’export verso l’India. La complessa situazione geopolitica concorre a determinare la contrazione degli scambi con Russia e Turchia.

Le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno fatto segnare un +2,6% dopo un biennio eccezionale (2014 e 2015 rispettivamente a +10 e +20%), ma dietro questo aumento si cela un piano di investimenti ingente voluto proprio dal Ministro Calenda, all’epoca vice Ministro, che con il Piano Straordinario Made in Italy aveva inserito come target principale il mercato statunitense.

Però gli eventi imprevedibili, come l’elezione di Donald Trump, potrebbero portare ad un azzeramento degli sforzi del Governo, infatti la nuova politica potenzialmente “più protezionista” mette a rischio ben il 9,6% delle vendite all’estero del Made in Italy dei prodotti alimentari “Doc” che sono dirette in Usa, il principale cliente dell’Italia fuori dalla Unione europea (Fonte Coldiretti).

Il destino di noi italiani è quello di esportare, i consumi interni sono destinati a decrescere, come succede e succederà in tutta Europa, ma se non cambiamo atteggiamento ancora una volta saremo perdenti.

Food Retail Italia, ad esempio, è una società che si occupa di export di prodotti food ma, a differenza di altre aziende italiane, si orienta verso mercati differenti da quello europeo (inteso come UE) e da quello Nord Americano. Il focus aziendale è, invero, verso l’est Europa, verso il centro e sud America e verso la Cina: tutti mercati dove il concetto di qualità non è il medesimo che noi attribuiamo ai prodotti nostrani.

In Cina, spiega Massimo De Santis della Food Retail Italia, non esiste una chiara conoscenza del made in Italy nel campo del food, questo esiste, piuttosto, nel campo della moda. Sono sicuramente famosi i marchi internazionali come Barilla, Ferrero, San Pellegrino etc, ma non è famosa l’Italia come nazione produttrice. Pertanto non è sufficiente essere un produttore italiano per vivere e cavalcare il sogno della Cina. Il Sol Levante sarà, tra qualche anno, il primo Paese dove il Discount dominerà il mercato, prima ancora che la Germania.

Il concetto di risparmio è fondamentale nella psicologia del consumatore cinese, per dare valore aggiunto ad un prodotto non sarà certo l’italianità l’elemento differenziale, o quantomeno lo può essere se questo valore aggiunto si unisce ad un secondo carattere distintivo che si può nominare in inglese “affordable”, accessibile, conveniente.

Questo è il punto cruciale: non si può continuare a pensare che essendo italiani siamo i migliori e che all’estero comprano i nostri prodotti a prezzi sostenuti perché made in Italy.

In Europa e negli Stati Uniti invece è differente, l’Italia e la Francia nel campo del food sono considerate delle eccellenze.

Quindi se vogliamo, anzi se volete voi produttori, fare margine e vendere la nostra storia e la nostra qualità, allora esistono questi due mercati che vi accoglieranno.

Però c’è un problema: tutti vanno in quella direzione (e le PMI italiane sono tantissime) ed i margini si stanno abbassando. Secondo fattore da considerare: la UE è quasi in deflazione, i consumi latitano e gli Stati Uniti, come si è scritto sopra, stanno rallentando moltissimo l’importazione dei nostri prodotti e, soprattutto, con Trump si stanno avviando verso un isolazionismo che è molto evocativo del loro passato.

Ma il mondo è grande, gli abitanti del mondo, in generale, stanno migliorando il loro stato di povertà, e sebbene il “primo mondo” non cresce, il secondo cresce aprendosi sempre di più alle classi medie. Si parla di milioni e milioni di persone che non sono disposte a riconoscere la leadership ed il relativo costo al made in Italy nel food, però da questo sono attratti. E da questa attrazione nasce il falso made in Italy, ovvero per la nostra incapacità di occupare fasce di mercato più basse e lasciando lo spazio a prodotti evocativi dell’Italia ma di fatto diversi e soprattutto più economici.

Qual è la soluzione?

Non diamo la possibilità al falso di crescere, non permettete agli stranieri di imitarvi male.

Pensate voi stessi a prodotti accessibili, che abbiano la immensa dote di essere molto convenienti ed essere buoni, degni della nostra tradizione. Pensate ai volumi ed a come il mondo, fuori dall’Europa sta crescendo.

 

 

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