Pubblichiamo un interessante articolo a firma Francesco Pugliese (AD Conad) pubblicato il 15/02 su Repubblica.it
L’Italia è un Paese che non ha più “fame”, stenta ad aggredire la crisi, rinuncia a crescere. Il risultato è una ripresa debole e un quadro politico dominato da una persistente instabilità. Uscire dalla crisi è così sempre più una chimera, perché la ripresa è fatta anche di passi concreti: più concorrenza, liberalizzazione dei mercati, riduzione della burocrazia, legalità diffusa. Fattori con cui i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni non sono riusciti a misurarsi in termini propositivi.
L’Antitrust in più occasioni si è espressa in materia di concorrenza, ma i ripetuti inviti sono caduti nel vuoto. Tanto che il ddl Concorrenza – una legge annuale! – uscito da Palazzo Chigi a febbraio del 2015 è ancora oggi fermo nelle aule parlamentari complici audizioni, emendamenti, modifiche annunciate e poi ritirate. Con buona pace della decantata libertà di mercato e dei benefici che potrebbero averne i consumatori.
Mercati aperti generano innovazione, favoriscono lo sviluppo, creano le condizioni per il contenimento dei prezzi alla vendita: non è un caso che cinque anni di liberalizzazioni – per quanto incomplete – abbiano avuto un impatto sul Pil stimato in 2,6 punti percentuali.
Quanto costano all’Italia l’illegalità, le mancate liberalizzazioni, la burocrazia? Il Rapporto Eurispes 2016 indica in 1.500 miliardi di euro il valore del Pil, a cui si somma un sommerso di 740 miliardi che sfugge al controllo dello Stato, di cui 230 legati all’assillo della burocrazia, alla diffusa illegalità, ad un sistema economico scarsamente produttivo, come ha sostenuto Confcommercio al Forum di Cernobbio. Dei restanti 500 “una buona fetta è sommerso da sopravvivenza”, per non soccombere alla crisi economica.
Confindustria, d’altra parte, attribuisce alla burocrazia un costo del 4 per cento del Pil e all’insufficiente concorrenza un altro 11 per cento. Se poi la corruzione fosse portata al livello di quella spagnola il Pil potrebbe crescere dello 0,6 per cento. Burocrazia, mancate liberalizzazioni e illegalità hanno un costo pari a circa un terzo del Pil (485 miliardi di euro), che equivale a 19.400 euro all’anno a famiglia.
Dati che preoccupano e allontanano l’Italia che tutti vorremmo, un Paese libero dagli eccessi della burocrazia – tangenti, corruzioni e corruttele –, con un’altra mentalità, cultura e buona politica. Lo stesso Fondo monetario internazionale sostiene la necessità di accelerare sulle riforme, attuarle e rafforzarle. Il beneficio legato ad una più diffusa concorrenza porterebbe a una crescita aggiuntiva del 3,5 per cento in tre anni e del 7,5 per cento a lungo termine.
Di cosa ha dunque bisogno il Paese per percorrere una strada più virtuosa e migliorare la posizione che occupa nell’Indice delle liberalizzazioni 2016 dell’Istituto Bruno Leoni – 70 punti su 100, gli stessi della Germania, ma lontano dai Paesi più liberalizzati, Gran Bretagna (94 punti), Spagna (80) e Paesi Bassi (79) – che analizza il grado di apertura di dieci settori dell’economia nell’Unione Europea?
Sarebbe sufficiente la volontà politica di fare, di superare il freno posto da lobby più o meno apparentate e che il governo mettesse questi temi nell’agenda di lavoro. Con tanto coraggio e buonsenso; soprattutto senza badare al consenso di quanti vantano la forza e l’arroganza di pochi contro l’interesse di molti, dei cittadini. E ridimensionando l’onnipresente burocrazia.
Una burocrazia eccessiva “incentiva” l’uso delle tangenti ed è ancor più deleteria in situazioni di emergenza, come quella dei recenti terremoti e del maltempo, in quanto allunga oltre misura i tempi di intervento.
Siamo il Paese di innumerevoli codici e codicilli che paiono autoriprodursi senza fine, di leggi e regolamenti che si succedono, spesso in contrasto tra di loro. Stando alla banca dati di Normattiva – il portale, a firma della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati, classifica e rende accessibile la normativa vigente dal 1932 a oggi – sarebbero circa 75 mila le leggi vigenti in Italia. Se confrontate con quelle di Francia (7 mila), Germania (5.500) e Gran Bretagna (3 mila) si può comprendere quanto sia difficile attenersi a un ambito di legalità e quale effetto possa avere sulla corruzione. Per giunta, è una mole a cui si aggiungono altri numeri, quelli delle leggi regionali, comunali e dei regolamenti di enti e autorità che portano il totale stimato a 150-160 mila.
I migliori – e più efficienti – alleati di corruttori e corrotti sono l’interventismo pubblico, le lungaggini giudiziarie, le rigidità burocratiche. I loro nemici le riforme che obbligano lo Stato a fare magari poche cose, ma a farle bene e nell’interesse dei cittadini. E’ tempo che il Paese decida da che parte stare.