Pubblichiamo l’articolo di Francesco Pugliese (AD Conad) da Repubblica del 20 ottobre.
Tanta incertezza, tempi lunghissimi, un iter avulso dalle dinamiche economiche e dalla condizioni reali del Paese, mentre i cittadini continuano a pagare sulla loro pelle il prezzo di politiche economiche e sociali improvvisate, complice la latitanza della classe politica sui grandi temi della ripresa economica.
E’ indecoroso il tira e molla del ddl Concorrenza, non degno di un Paese che coltiva il pensiero liberista e guarda all’Europa; è incomprensibile l’incapacità di dire “no” alle grandi lobby dei mercati, preoccupate solo di bloccare ogni tentativo di liberalizzazione.
La concorrenza è un “affare” scomodo perché tocca potentati e lobby, per i quali è impensabile rinunciare anche ad una minima parte dei privilegi di cui godono. Un Paese che ambisca ad essere moderno lo deve fare non a parole, ma con l’efficienza, l’innovazione, la capacità di guardare al futuro attrezzandosi per costruirlo al meglio e a propria dimensione.
Logico che parlare di liberalizzazioni sia affrontare un quadro complesso quanto desolante. Non è questione di una singola lobby, farmacisti o petrolieri cambia poco; sono il Paese stesso e i cittadini a pagarne le conseguenze. Il vantaggio di pochi – autentiche quanto anacrostiche élite – è la “condanna” di molti, la stragrande maggioranza. Riprendo dati più volte annunciati: rendere concorrenziali i servizi significa sottoscrivere una crescita del Pil pari al 3,3 per cento nell’arco di cinque anni, del 4,2 per cento dei consumi, del 3,7 per cento degli investimenti, dell’1,7 per cento dei salari, del 4,9 per cento della produttività del lavoro… (fonte: Report sull’attività del ministero dello Sviluppo Economico 2015). Numeri, consoni più a parlare di crescita che di sviluppo, perché fare sviluppo è altro: è rafforzare quell’insieme di valori che hanno come punti di riferimento la persona, la qualità della vita, l’ambiente. Quello che oggi si definisce uno sviluppo sostenibile.
Chi vede nella concorrenza il mostro mitologico con molte teste da sconfiggere in una cruenta lotta è lontano dai disagi delle famiglie, lontano dalle necessità del Paese. Per questo sarebbe auspicabile facesse una severa autocritica.
Non fornire un reale supporto all’economia, non creare nuova occupazione, non accompagnare la nascita di nuova imprenditorialità, non dare servizi efficienti e risposte di convenienza al cittadino che senso ha? A pagare sono, come sempre, i cittadini, che non capiscono, sono stanchi di convenienze – non solo politiche – e consensi sottratti, stanchi di scelte che non sono dalla loro parte.
La politica che viene praticata oggi è più esercizio del consenso che pratica di governo della polis, della città, del paese: il cittadino è più oggetto che soggetto del suo agire.
Il balletto dei numeri del Pil e del disavanzo di questi giorni ne è la prova, l’ennesima. In ballo c’è il consenso, quello che sai di avere oggi a confronto con quello che (non) potresti avere domani. Una scommessa continua che sottrae forze e risorse alla ripresa, allo sviluppo del Paese, a eliminare una marea di eccessi burocratici che sono l’anticamera di tangenti e corruttele.
Le belle parole non incantano più nessuno, sono un tempo esaurito. I giorni sono scanditi dai bisogni dei cittadini; è a quelli che occorre dare risposte immediate.