Oggi ci occupiamo della negoziazione tra fornitore e Distributore Retailer nell’ambito della Private Label.
Da circa dieci anni i numeri della marca commerciale della GDO sono in crescita ed oggi circa il 18% del fatturato della Grande Distribuzione è determinato dalla vendita dei prodotti a marchio (insegna o fantasia). Sino al 2005 questo ambito del mercato era trattato da aziende che non avevano voluto dirigersi verso strategie di branding in anni in cui era molto fertile questo atteggiamento. Erano per lo più aziende che avevano creato la loro crescita soprattutto grazie al Discount, vero grande promotore di questo ambito di mercato, e spesso si trattava di aziende che immettevano sul mercato prodotti unbranded concentrando molto il lavoro sul prodotto senza occuparsi troppo del marketing. Queste aziende, per loro genesi, sono sempre state attente ai costi di gestione, aziende di produzione spesso condotte a livello familiare, senza grandi managerialità nel suo interno e con una profonda attenzione alla catena di produzione. Oggi quelle piccole aziende, che hanno avuto il merito di crederci dall’inizio, e che si sono fatte un nome nell’ambito della marca privata, hanno trovato un grande mercato disponibile (non più il discount, ma tutto il mondo Retail) ed una mole di fatturato sensibilmente più importante.
La negoziazione di un prodotto in Private Label è molto più difficile rispetto a quella delle Grandi Marche perché, da un lato, non si ha una chiara idea dei prezzi che stanno sul mercato, dall’altro perché il potenziale di fatturato disponibile è più vendibile rispetto alle grandi marche, rappresentando l’insegna.
Date queste premesse si può intendere come e quanto, la negoziazione, possa essere determinante per ottenere un buon contratto nell’ambito della marca commerciale.
Suggerimenti per il fornitore che vuole acquisire un cliente con un contratto di Private Label
Da quando il category management ha occupato lo spazio che merita all’interno del mondo Retail i dati di mercato, nelle varie categorie, hanno definitivamente dato un assetto chiaro agli scaffali. Questa è una delle ragioni per cui i supermercati, sebbene di insegne diverse, presentano tutte un’ offerta abbastanza similare.
Come scrisse recentemente Mario Gasbarrino sulle colonne di GDONews, è arrivato il momento di dover fare delle scelte, è arrivato il momento che il Retailer sappia chi vuole essere agli occhi del consumatore e faccia, di conseguenza, delle scelte sull’offerta negli scaffali per distinguersi ed usi, quindi, i dati di mercato (IRI o Nielsen) per indirizzare in maniera originale una scelta. Sino a quando questo non succederà il Retailer continuerà a leggere i dati di mercato ed a copiare, con poche digressioni, l’offerta a scaffale secondo le necessità di vendite, ovvero suddividendo l’offerta per Brand oppure per segmento, lasciando un poco di fantasia solo nell’ambito degli inserimenti dei follone e dei prodotti tipici locali. Questo modus operandi porta necessariamente l’industria di produzione italiana, fatta di piccoli e medi imprenditori, a tentare l’avventura nell’ambito della Private Label, ma nonostante ciò il Mass Market Retailer, non potendo correre alcun rischio sul proprio prodotto a marchio di insegna, sceglie solo alcune aziende che hanno una profonda expertise in questo segmento di mercato.
Le caratteristiche che deve avere una industria di produzione
L’industria fornitrice che vuole acquisire una catena di supermercati nel segmento della Private Label deve prima di tutto avere delle precise caratteristiche: produrre un prodotto di eccellenza, con un sistema di produzione che sia di un certo livello e con un prezzo che sia davvero competitivo, ovvero che non preveda un ricarico rilevante dal costo di produzione, deve essere in possesso delle certificazioni internazionali più famose e spiegare bene la propria offerta. Per tale ragione le aziende snelle e bene efficienti hanno qualche vantaggio in più che devono saper sfruttare.
Come valutare il cliente
Prima necessaria considerazione: non tutte le aziende del Mass Market Retail (le catene di supermercati) hanno lo stesso potenziale di fatturato. E’ una affermazione scontata, sempre in tutti gli ambiti si è sempre ragionato così, ma nella Private Label il cliente potenziale sa nascondersi molto bene, soprattutto se appartiene alla cosiddetta DO (imprese di associazionismo cooperativo o consortile al dettaglio, gruppi d’acquisto e multicanale, operanti in abito territoriale). Infatti in tale ambito di mercato gli operatori conservano la loro autonomia e non sempre esiste un vero obbligo alla trattazione della referenza inserita in Private Label.
Non saper valutare un cliente potenziale è il primo degli errori da non commettere. Tale casistica non è infrequente soprattutto verso quelle aziende di produzione che non hanno maneggevolezza con le Centrali Nazionali e che hanno sempre fatturato con clienti locali.
Sedersi al tavolo della negoziazione con una Centrale Nazionale significa negoziare con un interlocutore che ha, a sua volta, un differente potere negoziale a seconda dell’insegna che rappresenta. Tutti cercheranno di vendere la quota di mercato, la numerica dei supermercati, le prospettive di fatturato, ma di fatto la valutazione che deve essere compiuta deve essere profonda prima di iniziare la trattativa e deve coinvolgere le seguenti informazioni:
- Se si tratta di una azienda della DO, quindi con una quota di mercato ottenuta per aggregazione di singole imprese, oppure si tratta di una azienda che non ha soci ne affiliati, oppure se si tratta di un Discount.
Questa distinzione è fondamentale perché a seconda che rientri nelle 3 casistiche genera differenti fatturati potenziali. Nel secondo caso si ha una buona certezza che il prodotto verrà trattato da tutti i punti vendita coinvolti in quel progetto di format ma in ogni caso il prodotto avrà come competitor di categoria le Grandi Marche presenti in assortimento. Nel terzo caso invece i volumi che si presentano sono più rilevanti perché nel Discount la categoria di appartenenza non vedrà la presenza di molti competitors. Nel primo caso, invece, che è il caso più frequente in termini di disponibilità del mercato, le variabili da considerare sono molteplici.
- Numero di supermercati appartenenti all’insegna suddivisi per formati.
La medesima insegna spesso determina gli assortimenti in cluster, ovvero gruppi di negozi che hanno caratteristiche tra loro similari soprattutto in termini di metri quadrati. E’ molto probabile che un prodotto possa essere previsto in un cluster e non in un altro. E’, quindi, doveroso chiarire con il Retailer, magari per iscritto, quale sarà la destinazione del proprio prodotto. Non è impossibile che il compratore, che ha il dovere di massimizzare il risultato, venda all’industria tutto il pacchetto dei negozi disponibili, sapendo che potrebbe essere possibile l’inserimento su tutti.
- Quale tipo di Private Label andrà a ricoprire un determinato prodotto
Questa eccezione non è così dissimile dalla precedente, ma coinvolge un altro aspetto delle logiche della Private Label: la scala della categoria della marca commerciale. Infatti oramai tutte le catene distributive, compresi i Discount, al giorno d’oggi ha diverse linee a marchio d’insegna che coprono diverse fasce di necessità: dal prodotto di “primo prezzo”, ovvero una offerta che si caratterizza per l’economicità, al cosiddetto “mainstream” che rappresenta la fascia centrale della Private Label, al prodotto “premium”, senza dimenticare del “bio”. A seconda del segmento in cui verrà inserito un determinato prodotto può cambiare l’aspettativa di fatturato. Anche in questo caso è molto importante la chiarezza.