I primi tre mesi dell’anno sono stati tra i più duri vissuti dall’economia italiana dall’inizio della crisi nel 2009. Ultima conferma sono stati i dati della produzione industriale che a febbraio è calata dello 0,7% rispetto a gennaio.
E’ ormai evidente che anche il consumatore italiano si sta adattando, in tempi molto brevi, ad una prospettiva economica di austerità e di incertezza del proprio reddito, essendo le prospettive di crescita generali dell’economia quantomai negative.
La recente ricerca di Eurisko “Climi di consumo” ci restituisce un quadro di forte peggioramento rispetto al medesimo periodo del 2011 (marzo) quando 6 famiglie su 10 si aspettavano un anno finanziariamente stabile. In questo inizio 2012 i consumi superano solo la soglia della depressione: ci si astiene dal comprare più che cercare prodotti meno cari e a buon mercato. Le famiglie spendono con molta più riluttanza del già scoraggiante marzo 2011, quando pianifica la propria spesa per i generi di grande consumo, il 42% delle famiglie decide di dare un vero e proprio taglio ai viveri. A marzo dell’anno scorso era il 32%.
Intervistato dal Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Eurisko Remo Lucchi, ammette di non credere ai suoi occhi quando legge i dati delle ricerche. “Mai vista una situazione così in quarantaquattro anni di lavoro: faccio ricerca dal 1968 e oggi mi tocca registrare il disastro. Gli italiani non vogliono spendere perché temono la catastrofe e sono senza prospettive. Non comprano le cose normali: una bibita, i biscotti per la colazione, un panino in pausa pranzo… Oltre a rinviare gli acquisti più costosi ma necessari, si riducono anche quelli da pochi euro”.
Uno dei dati più indicativi, a fronte di un’inflazione reale del 3,3% (a marzo), è quel 77% di italiani che vive con la sensazione di un aumento costante dei prezzi. «La gente è sopraffatta dalla preoccupazione, l’inflazione percepita è questo: tutta la minaccia del costo della vita è ingigantita perché non la possono affrontare. Ci sono prezzi oggettivamente in impennata – energie, benzina, trasporti – ma altri sono stabili. Se a questa sensazione nefasta aggiungiamo l’ansia per la richiesta di sacrifici a causa di nuove tasse e la continua minaccia alla sicurezza del lavoro, ecco che si vive come fossimo al massimo della depressione».
Remo Lucchi conferma anche la grossa difficoltà che sta attraversando il modo retail: «Le più grandi aziende di largo consumo – sia in ambito alimentare che in quello cura della persona e della casa – stanno contraendo le vendite come mai avevo registrato da parecchi lustri. Con la flessione della pubblicità è arrivata la prova: dal 3% di tagli alla spesa nel settore nel 2011 adesso sono arrivate al 20%. Una catastrofe: non riescono neanche più a investire sulla voce che può stimolare i consumi».
Non c’è dubbio che la situazione sia critica, come pochi giorni fa affermava il D.G. di Conad Franesco Pugliese relativamente ai cambiamenti introdotti dall’art. 62 del Salva Italia, molte imprese distributive sono a rischio anche per questi cambiamenti repentini del comportamento dei consumatori sullo sfondo della crisi economica. E non si intravedono ancora risposte adeguate in termini di marketing che non siano le classiche offerte a volantino.