Greenplanet.net ha recentemente pubblicato una bella intervista concessa dall’amministratore delegato del colosso francese in Italia. Premettiamo che l’intervista è lunga ed intensa pertanto vi suggeriamo di leggervela con tutta calma durante la pausa o al termine della giornata. La vogliamo pubblicare con l’intenzione di incrementare le conoscenze del nostro lettore e se possibile aprire un dibattito ad ampio raggio su determinate tematiche presenti nell’intervista: dallo sviluppo di Auchan in Italia, alla gestione dei loro assortimenti, alla politica, alle frecciate lanciate contro Coop Italia e contro le ingerenze che, secondo il parere del signor Lheureux, esistono in Italia. Insomma di tutto e di più in una bella intervista che, ricordiamo, non è opera nostra, ma che noi vogliamo portare a tutti voi come elemento di possibile meditazione ed eventuale confronto. Buona Lettura.
D: […] In Italia gli ipermercati Auchan sono 42 (sul nostro territorio, uno a Bergamo e uno a Curno), i supermercati (a insegna Sma, Cityper e Simply Market) sono 219 (di cui 3 nel territorio Bergamasco).
Presidente e amministratore delegato di Auchan è Benoit Lheureux, un signore dai modi eleganti e cordiali, che parla – non a caso – un perfetto italiano.
Monsieur Lheureux, in 17 anni siete cresciuti molto in fretta in Italia. Qual è stata l’idea vincente?
R: «Prima di tutto il fatto che la proprietà sia rimasta in mano a una sola famiglia: per una società di queste dimensioni è una cosa abbastanza anomala, normalmente dopo due generazioni una famiglia quota in borsa oppure vende, almeno qualche pezzo. I Mulliez invece hanno una filosofia particolare, basata sulla creazione di una rete di azionisti tutta interna al ceppo familiare. La gestione è demandata a imprenditori che devono portare avanti in maniera autonoma le singole imprese, ma i Mulliez hanno un preciso impegno nell’accompagnarli. Auchan si è organizzata cercando di affidare il massimo della responsabilità a tutti i livelli: l’idea cardine è che la scelta più giusta sia quella che viene presa il più vicino possibile al cliente, non quella che passa per la testa di un dirigente di alto grado. In questo modo Auchan ha creato aziende piuttosto decentrate, dove si è cercato di massimizzare la motivazione di tutti gli attori. E se la gente lavora meglio, se ascolta di più il cliente, è più efficace nel suo lavoro: il nostro è un mestiere di dettagli».
D: Dettagli? Non siete i killer della vendita al dettaglio?
R:«L’ipermercato è una somma di dettagli. È evidente che il prodotto non alimentare viene spesso fatto in Cina e arriva a Bergamo attraverso una catena di acquisti organizzata a livello internazionale. Però l’addetto che alla fine passa il prodotto alla cassa lo può fare bene o male, e nel suo contatto personale con il cliente può determinare un successo o una sconfitta commerciale. Se non metti il prodotto sul banco al momento giusto, se non è pulito, tenuto bene, tutta la filiera a monte non servirà a nulla. Tante catene di supermercati molto centralizzati hanno dei negozi indecenti: perché il direttore locale non è bravo, non segue la propria squadra, considera noioso il proprio lavoro…».
D:Il cliente guarda molto ai prezzi.
R:«Auchan ha sempre sviluppato l’attenzione all’affare da proporre, all’offerta, guadagnandosi l’immagine di un promotore di vere opportunità commerciali. Alcuni concorrenti ci hanno seguito su questa strada, e in questi anni sono diventati bravi, ma questa cultura della “festa”, delle proposte stagionali, delle grandi offerte è una cosa che noi abbiamo molto sviluppato e che ci ha dato sicuramente dei vantaggi competitivi».
D: Curate anche la fascia bassa dei consumatori, mi pare.
R: «In Auchan c’è una volontà dichiarata di contenere molto i prezzi, di essere attenti ai bisogni delle famiglie. Due anni fa abbiamo lanciato la grande campagna dei prodotti “Pollice giallo”, quelli di “primo prezzo”; è un modo per dire al consumatore: se scegli questi, quando passi alla cassa avrai uno scontrino molto più basso. Senza rinunciare a nutrirti bene, perché i prodotti sono sani e sicuri».
D: Con l’arrivo di molti immigrati, la situazione sta cambiando?
R: «Qualche negozio sta facendo dei test per prodotti specifici, ad esempio la carne hallal, macellata secondo l’uso dei musulmani: è un tema non facile, perché ci sono anche fenomeni di rifiuto da parte degli altri clienti. Se uno si butta a vendere prodotti caratterizzati dal punto di vista etnico, il cliente locale si lamenta: perché fate venire questi nel “mio” negozio?. Tendenzialmente però noi cerchiamo di rispondere a tutta la popolazione che vive su un territorio: questa è, in senso profondo, la nostra mission. Quindi se c’è una comunità musulmana che aumenta, cercheremo di avere quello che cerca. Non possiamo pensare di soddisfare solo una parte dei clienti: sarebbe come voler vendere prodotti francesi agli italiani».
D: Non lo fate?
R: «Qualcuno dice di sì, ma non è assolutamente vero».
D: Dica la verità, fate qualche piccola eccezione per il vino…
R: «Ci sarà qualche caporeparto che ritiene che sia utile avere una piccola collezione di Beaujolais o di Sauternes, magari qualche cliente li chiede…».
D: Con che criterio proponete prodotti esteri o italiani?
R: «La centrale acquisti di Auchan e quella di Sma sono italiane. I rapporti che abbiamo a livello internazionale servono per cercare di portare nei diversi Paesi le migliori opportunità che si prospettano nel mondo. Questo funziona prevalentemente nel settore non alimentare: parliamo di scuola, di giocattoli, del bricolage. Tutti questi prodotti, ormai, vengono dalla Cina. Le varie Auchan nazionali li comprano assieme per spuntare prezzi più bassi. Il resto è acquistato direttamente in Italia».
D: Sui prezzi di vendita il direttore del magazzino ha autonomia?
R: «Addirittura il caporeparto: quella del prezzo è assolutamente una decisione sua. La centrale acquisti gli sottopone un prezzo consigliato, ma lui può decidere di alzarlo oppure di abbassarlo, a seconda del suo bacino, della concorrenza, della politica commerciale che intende seguire».
D: Nel campo alimentare cercate di puntare di più sul prodotto «locale»?
R: «Abbiamo il nostro parco fornitori, italiani e multinazionali, non nascondiamoci dietro un dito: la Procter, la Coca Cola sono grandi società con le quali, noi e tutti gli altri, lavoriamo molto. Nel campo del prodotto fresco invece, dell’alimentare “tipico”, cerchiamo di instaurare delle collaborazioni anche con i produttori locali».
D: Alcuni sono molto piccoli, quasi artigianali. Ad esempio nel campo dei formaggi.
R: «L’input che diamo ai nostri direttori è che in ogni ipermercato – o in ogni gruppo di supermercati per la Sma – devono creare una gamma di prodotti locali».
D: Quanti sono «i Mulliez», e come controllano l’azienda?
R:«La famiglia è raggruppata in un’associazione di circa 500 azionisti. Gérard Mulliez, il fondatore, è uno di loro. Il gruppo è numeroso anche perché siamo già arrivati alla quarta generazione. Il sistema è “blindato” contro possibili scalate, e Auchan ha deciso di non essere quotata in borsa».
D: In Italia il «capitalismo familiare» di solito è criticato perché è considerato un tipo di ricchezza che sfrutta rendite di posizione, e innova poco.
R: «L’associazione degli azionisti in Auchan mira a conservare una cultura d’impresa che favorisce non la rendita ma la crescita. Più o meno tutti i Mulliez lavorano: ci sarà qualche signora che preferisce occuparsi del figli, ma è una scelta personale; normalmente gli azionisti hanno un lavoro dipendente, non è gente che vive di rendita. Tutti devono seguire dei corsi di formazione per conoscere le aziende, per sapere come vanno. Inoltre, l’azionista Auchan ha chiara l’idea che possiede quote di proprietà per un periodo limitato, che prima o poi dovrà passarle a qualcun altro, che la sua è più che altro una custodia. È una visione un po’ particolare, nella quale c’è anche un’impronta cristiana, che fa parte della tradizione di questa famiglia».
D: Che peso ha?
R: «Gérard Mulliez è cristiano. Si percepisce chiaramente nella filosofia familiare questa educazione, questa dedizione dei singoli che spesso va al di là degli interessi delle loro imprese, con iniziative di appoggio ai giovani, con l’intervento in molti progetti di aiuto, ad esempio a favore di alcune onlus. Ma credo che sia soprattutto attraverso la filosofia aziendale di Auchan che gli azionisti stiano dando un aspetto concreto alla loro vita di cristiani».
D: Date notevole importanza al fattore umano.
R: «È fondamentale per noi. Assumiamo molti giovani, favorendo la loro crescita interna. Il colloquio individuale in Auchan è un’istituzione: ogni capo deve parlare di come vanno le cose con ciascuno dei suoi collaboratori almeno una volta l’anno, con tutta calma, prendendosi due o tre ore a disposizione. Abbiamo scelto sistemi di gestione “trasparenti”, che offrono anche ai dipendenti informazioni sui risultati che si stanno ottenendo: se uno lavora e non vede come vanno le cose, non capisce cosa sta facendo. Abbiamo premi di reparto, di squadra, di negozio, basati sui risultati. E nel maggio scorso in Auchan abbiamo finalmente lanciato l’azionariato dei dipendenti, una cosa molto innovativa in Italia, anche se in Francia esiste già da trent’anni».
D: Come funziona?
R: «Il dipendente compra delle quote di un fondo che investe nell’azienda. Ogni anno una valutazione fatta da esperti indipendenti sancisce l’andamento dei risultati, e il dipendente partecipa alla crescita dell’azienda: se questa va bene, i suoi titoli salgono».
D: È un sistema facoltativo?
R: «Assolutamente. Per il momento sta riscuotendo un buon successo».
D: Con i vostri ipermercati siete presenti in Spagna, Portogallo, Russia, Marocco, Taiwan… Non in tutti i Paesi però siete riusciti a imporvi.
R: «Negli Stati Uniti abbiamo subito una sconfitta. Quello è un sistema dove la competizione è estrema, e il livello del turn-over del personale è incredibile: ci sono delle aree dove il dipendente rimane legato all’azienda mediamente sei mesi. Una politica delle risorse umane come la nostra dà dei risultati solo nel lungo periodo. Per insegnare a un caporeparto a gestire bene il suo lavoro ci vogliono tre anni, se uno rimane 6 mesi il nostro modello non funziona più. In un sistema come quello americano reggono solo le strutture centralizzate, nelle quali chi si trova sul punto-vendita è semplicemente un operaio che deve obbedire. Il limite, se vogliamo, del nostro sistema, è che si basa sul singolo: se questo viene meno non regge. Più è forte il dipendente base, più il sistema Auchan è solido».
D: Nei giorni scorsi lei è intervenuto al Meeting di Rimini. La Compagnia delle opere sta insistendo molto sull’idea che l’azione del privato non deve essere contrapposta all’idea di «bene comune», ma può concorrere a realizzarlo.
R: «Sono d’accordo con questa prospettiva. In Italia ci sono delle anomalie che complicano le cose: soprattutto il lavoro nero è diffuso in maniera davvero impressionante. Ma il compito del governo è quello di creare un sistema che metta i privati in condizione di competere veramente, non creare delle rendite a loro favore».
D: Invece in questi anni si è spostata la rendita dalle tasche dello Stato a quelle di alcuni grandi privati. Queste sono state le nostre «privatizzazioni»: monopoli spesso svenduti. Complimenti ai liberisti di casa nostra!
R: «Al Meeting ho voluto prendere una posizione chiara: per un Paese, affidarsi alla rendita vuol dire declino. Auchan è schierata dalla parte della crescita e dello sviluppo: investe i propri profitti nelle strutture e nelle persone italiane. Su questo tema sto leggendo un saggio molto interessante di Geminello Alvi, Una repubblica fondata sulla rendita (Mondadori, pp. 135, euro 16), in cui l’autore documenta che negli ultimi trent’anni è molto calato il valore del lavoro mentre è aumentato quello della rendita. Nel nostro campo, ad esempio, molti gruppi commerciali hanno l’abitudine di creare nuove società nelle quali vanno a collocare i propri immobili. Poi le vendono, realizzando profitti. Le aziende, da produttrici e proprietarie, diventano così affittuarie dei locali, per i quali pagano prezzi altissimi: la ricchezza esce dunque in buona parte dalla produzione per avviarsi verso la proprietà. E non viene più reinvestita nel sistema, nella ricerca, nel prodotto, negli uomini. Il risultato è che l’azienda si impoverisce, e spesso finisce per essere venduta, mentre le società immobiliari fanno soldi: un fenomeno drammatico a mio giudizio».
D: Avete avuto difficoltà a farvi accettare in Italia?
R: «Dal punto di vista del consumatore, sinceramente non vedo nessun problema: il cliente non dà importanza al fatto che la società sia straniera o meno. Anzi, l’etichetta francese ha una connotazione relativamente positiva. C’è invece una strumentalizzazione politica, e anche da parte della concorrenza. Sentiamo tutti i giorni Coop lanciare allarmi contro “l’invasione dei francesi”. Ebbene, mi lasci dire che Coop in Italia è molto più invadente di noi».
D: Osservando una cartina con le bandierine dei vostri ipermercati, si nota un grosso «buco» nel Centro Italia.
R: «Ci sono delle zone dove nessun altro riesce a entrare: in Emilia Romagna non c’è altra insegna che Coop, in Liguria, in Toscana, in Umbria la situazione è quasi la stessa».
D: Come mai?
R: «È un problema politico. E la cosa va a scapito del consumatore. Noi abbiamo qualche cliente ligure che va a fare la spesa al nostro Auchan di Cuneo, e dice sorpreso: “Ma siete meno cari della Coop!”. Chiunque goda di una situazione di semi-monopolio ne approfitta per vendere con margini più confortevoli».
D: È una forma di rendita anche questa. L’Italia è un Paese in cui il capitalismo funziona a corrente alternata?
R: «Sì. È un paese di regioni: ognuna è un po’ un mondo a parte. Il potere locale è molto più forte che in Francia».
Ho trovato per caso questa intervista che ho letto attentamente perchè mi interessa approfondire il tema “il cristiano e l’imprenditoria”. Concordo a pieno sull’impostazione della famiglia Mulliez e del sig. Lheureuz. Immagino che questa impostazione riguardi anche la selezione di dirigenti a cui sta a cuore l’uomo. Ma chi controlla, in Italia, se questa filosofia è seguita o no? Io personalmente e con molta tristezza ho sperimentato come a CURNO (BG)questo non accada. Sarei felice di comunicare col sig. Lheureuz e di parlare di questo. Il suo intervento al Meeting non può restare solo parola ma deve incarnarsi nella vita. Per questo sarei felice di parlargli o avere un suo indirizzo. Grazie.
L’intervista è bella ma è dimostrazione del fatto che l’amministratore delegato non ha idea di quello che succeda in realtà negli ipermercati.. altro che attenzione alle persone.. altro che azionariato facoltativo.. altro che..