Scaffali vuoti, personale ridotto all’osso, interi reparti già chiusi e saracinesche in parte abbassate. Carrefour lascia Singapore, stroncato dalla concorrenza. A fine agosto il gruppo francese ha annunciato la chiusura ”prima di fine anno” dei due ipermercati a Suntec City e Plaza Singapura, a pochi metri da Istana, la residenza del presidente della città-stato. Le ”prospettive di crescita – hanno spiegato – non consentono di raggiungere una posizione di leadership nel medio e lungo periodo”. Gli ipermercati, che lo scorso anno avevano portato nelle casse del gruppo 76 milioni di euro (rispetto al picco di 98 milioni del 2006) e che hanno dato lavoro a oltre 380 persone, chiuderanno entro fine mese. La desolazione che si respira camminando tra le poche corsie non ancora “sigillate” dei due supermercati e’ il simbolo evidente della sconfitta di Carrefour in questo angolo di sudest asiatico dopo l’ormai dimenticato trionfale sbarco. A fare concorrenza a Carrefour a Singapore, dove il primo ipermercato e’ stato aperto nel 1997, ci sono ormai da tempo la catena Ntuc FairPrice e il gruppo Dairy Farm. Quest’ultimo ha annunciato per il 2013 l’apertura di un nuovo ipermercato proprio a Suntec, ma non negli stessi locali che verranno liberati da Carrefour, e starebbe valutando l’apertura di un altro spazio a Plaza Singapura. Per riempire il ‘vuoto’ lasciato dalla catena francese pensano di espandersi anche lo stesso Ntuc FairPrice e la catena Sheng Siong.
Già nel 2010 Carrefour aveva fatto sapere di voler lasciare la città-stato, così come i mercati di Malaysia e Thailandia. Solo in quest’ultimo Paese, il gruppo francese aveva aperto 42 punti vendita, tra i quali 34 ipermercati. Ma nel novembre di due anni fa gli affari sono stati ceduti alla catena thailandese Big C. Quasi contemporaneamente veniva annunciata l’inversione di rotta per Singapore e Malaysia. A Suntec e Plaza Singapura i contratti di affitto dei locali scadranno rispettivamente a dicembre e novembre.
I mercati orientali, considerati una grande opportunità, si stanno rivelando in molti casi vere e proprie sabbie mobili per i maggiori retailer mondiali. Scelte sbagliate o incompatibilità col nostro modello distributivo?