Il primo round è andato al padre. La prossima settimana è attesa la risposta dei figli. Dagli atti emerge, intanto, per la prima volta la conferma che Esselunga stava per essere venduta all’americana Walmart nel 2004; ipotesi che gli stessi documenti dicono oggi non essere, però, più d’attualità. Sale, però, il termometro del contrasto che oppone il patron di Esselunga Bernardo Caprotti ai figli primogeniti Giuseppe e Violetta per il controllo del gruppo della grande distribuzione da 6,4 miliardi di fatturato.
Lo scorso 15 febbraio il giudice Angelo Mambriani ha respinto la richiesta di sequestro del pacchetto azionario di Esselunga avanzata da Giuseppe e Violetta perché l’assegnazione in nuda proprietà ai figli era una simulazione fittizia, avendone Caprotti senior sempre esercitato «ogni e qualsivoglia» potere. Gli avvocati di Giuseppe e Violetta non hanno fatto reclamo contro l’ordinanza, ma si apprestano a presentare nei primi giorni della prossima settimana un ricorso al Tribunale civile di Milano per rivendicare la proprietà della maggioranza del gruppo della grande distribuzione. Chiamando in causa, anche questa volta, l’Unione fiduciaria, la società delle Banche popolari che deteneva fiduciariamente i titoli di Supermarkets Italiani (controllante di Esselunga). Tutto questo mentre è in corso l’arbitrato promosso da Bernardo e che vede al lavoro tre dei maggiori nomi del diritto italiano, Ugo Carnevali presidente, Pietro Trimarchi per Bernardo, Natalino Irti per Giuseppe e Violetta. È una sorta di corsa contro il tempo. L’arbitrato dovrebbe, infatti, concludersi con una decisione entro 90 giorni dal suo insediamento, avvenuto l’11 aprile scorso. Il 28 maggio sarebbe in calendario il deposito delle memorie conclusionali, il primo giugno la discussione. Secondo fonti vicine ai due figli, il collegio arbitrale sarebbe stato messo al corrente della decisione di ricorrere al Tribunale civile, luogo più adatto, sostengono, a giudicare su una materia tanto estesa e che non riguarda la sola Esselunga ma comprende, appunto, anche il comportamento di Unione fiduciaria.
Le azioni contese
Il punto centrale del contrasto tra Bernardo e i figli Giuseppe e Violetta è la proprietà delle azioni Esselunga. Come si ricava dalle memorie depositate dalle due parti nell’ambito della richiesta di sequestro presentata lo scorso 12 gennaio, la questione nasce nel 1996 quando, il 29 aprile, Bernardo Caprotti decide di intestare la nuda proprietà delle azioni ai tre figli – Giuseppe e Violetta avuti dalla prima moglie Giulia Venosta, Marina Sylvia dalla seconda moglie Giuliana Albera – nell’ambito di un complesso programma di riassetto delle società operative e finanziarie. Secondo i figli maggiori si trattava del primo passo per «cominciare a configurare – è scritto nella memoria – i termini di una futura successione dei propri figli nella proprietà e nella conduzione delle società di famiglia». All’epoca la holding di controllo si chiamava Bellefin, poi trasformata in Supermarkets Italiani. Giuseppe – il figlio primogenito che ha lavorato nel gruppo fino al 2004, anno in cui lasciò la carica di amministratore delegato al termine di un violento scontro con il padre – era intestatario del 33,19% delle azioni, le due sorelle Violetta (in Esselunga per 10 anni) e Marina Sylvia del 29,19% ciascuna. Il padre deteneva l’8,43% in piena proprietà più l’usufrutto sul 52,36% dei figli.
La richiesta di sequestro
Dopo sedici anni, a febbraio del 2011 Bernardo estingue i mandati della fiduciaria con i figli e ne costituisce uno nuovo a proprio nome, si intesta il 70% delle azioni e lascia il restante 30% intestato a Unione fiduciaria. I figli maggiori scoprono questo passaggio per caso (nella memoria si parla di «blitz»). Così, il 12 gennaio scorso si rivolgono al Tribunale di Milano per chiedere il sequestro giudiziario dei pacchetti precedentemente da loro detenuti. Secondo Bernardo, invece, l’intestazione era «meramente fittizia», il vero proprietario delle azioni era lui e come tale se le è reintestate. Con un provvedimento datato 15 febbraio 2012 il giudice Mambriani riconosce le ragioni del patron di Esselunga – il quale ha intanto avviato il collegio arbitrale – scrivendo che «pur nell’ambito di questo procedimento a cognizione sommaria, i non trascurabili elementi sopra indicati fanno propendere per la simulazione del rapporto tra i figli e Unione fiduciaria, nel senso che fiducianti reali non sono i figli ma il padre».
Gli interrogativi
Perché Bernardo Caprotti ha deciso oggi, a 86 anni, di riprendersi il 100% del capitale Esselunga? E perché, subito dopo essersi intestato le azioni, ha «diviso» in due il gruppo, da una parte la società distributiva (Esselunga spa) e dall’altra gli immobili (La Villata Partecipazioni spa), la gran parte dei quali è sede dei supermercati del gruppo? Bernardo Caprotti spiega che la scissione immobiliare «costituisce un’operazione programmata, anche in ambito familiare, da tempo» e ha il fine di porre «il patrimonio immobiliare in una cassaforte di famiglia». Il timore dei figli maggiori è, invece, che il padre voglia vendere il gruppo senza condividere insieme a loro le decisioni. E che siano lesi i loro diritti di successione in favore della seconda famiglia di Caprotti, della figlia Marina Sylvia e della moglie Giuliana. Per il padre, invece, l’iniziativa dei figli maggiori mira «a spogliare il proprio padre ante tempus dell’azienda dallo stesso creata» e si traduce in un’azione «già di per sé destabilizzante e disgregatrice di un’azienda con ben 20 mila dipendenti».
La cessione
Da anni si dice che il patron di Esselunga sia pronto a passare la mano. Di volta in volta si sono fatti i nomi più diversi, Walmart, Tesco, Mercadona, Delahize… Ipotesi sempre smentite. Dagli atti emerge, però, per la prima volta la conferma che Caprotti è stato vicino a vendere. Era il 2004, un anno difficile per il fondatore di Esselunga. «Nel frattempo – dice la memoria presentata da Caprotti senior – la statunitense Walmart aveva manifestato il proprio interesse all’acquisizione della Supermarkets Italiani. In vista di una possibile cessione, il dottor Bernardo Caprotti richiedeva ai tre figli di trasferirgli, mediante tre atti di donazione simulata, una quota delle azioni di Supermarkets Italiani di cui erano fiducianti apparenti, in modo che egli avesse titolo, anche formale, per incassare una parte dell’eventuale corrispettivo» (è questo il momento in cui, cioè, Caprotti ridiventa titolare ufficiale di un pacchetto di azioni attorno all’8%). E oggi? Nel suo scritto il patron di Esselunga si affida alla smentita «Esselunga non è in vendita» pubblicata dal Sole 24 Ore dell’8 dicembre 2011.
[Fonte: Corriere Economia]