Esiste un futuro per i piccoli formati?

Da qualche anno a questa parte sentiamo parlare (anche su GDONews) della vulnerabilità dei piccolissimi formati, ovvero di quei negozi puramente “sottocasa” che, non avendo una grande superficie di vendita disponibile, tendono ad essere parzialmente trangugiati da quella prossimità qualificata (800/1500 mq) della quale abbiamo anche discusso in molte occasioni.

Il bello del commercio è, però, che dalle difficoltà, o meglio dai limiti “strutturali” si parte per elaborare delle soluzioni innovative che spesso generano ottimi risultati. Questo articolo ha, infatti, l’obiettivo di presentare qualche approccio relativo alle piccole superfici e di identificare le premesse alla base di tali approcci.

Partiamo con il dire che le riflessioni da cui prende forma l’articolo scaturiscono dalla visita effettuata presso il punto vendita LaEsse” di Roma in via Tomacelli.

LaEsse non è un formato nuovo, in termini di superficie. Diciamo, infatti, che un po’ tutti ormai si cimentano in tale cluster. Pam Panorama lo fa con i suoi “Local”, Crai con i “Cuor di Crai”, Carrefour con gli “Express”, Coop con quelli che, fino a poco tempo fa, si chiamavano “InCoop”, Conad con i “Margherita” e così via.

Commetteremmo un errore, però, se pensassimo di accomunare le formule sopra citate. Procediamo con ordine e vediamo, ad esempio, come si comporta Esselunga.

Teniamo presente intanto che, fino a qualche anno fa, pensare che il leader lombardo si potesse cimentare in superfici di 2/300 mq sarebbe stato abbastanza difficile. Ciò perché, come sappiamo, Esselunga dà il suo meglio su metrature ben più importanti (2/3.000 mq) che consentono di esporre assortimenti ampi e profondi, ben strutturati (senza ridondanze) e con un’assoluta qualità dei freschi.

Come mai, allora, anche Esselunga ha deciso di entrare nei piccoli formati? Forse perché è possibile distinguersi qualitativamente in modo significativo anche in mancanza di grandi superfici. Per farlo, però, è utile capire che tipo di cliente si sta servendo.

Se è vero, infatti, che in parte i clienti del piccolo e del grande formato sono “fisicamente” gli stessi, il momento di consumo che intercettano i due cluster è profondamente diverso. Ad esempio, un cliente che si mette in macchina con la lista della spesa nella tasca sarà probabilmente meno propenso ad acquistare determinati prodotti di impulso, rispetto a qualcuno che si trova a passare davanti ad un piccolo negozio magari proprio vicino all’orario dei pasti.

Detto ciò, se pensiamo che i negozi di estrema prossimità siano semplicemente un depotenziamento dei grandi perché menomati dalla mancanza di spazio, ci precludiamo l’opportunità di pensare che anch’essi hanno il lusso di poter avere un punto di forza caratterizzante che gli consente di elevare lo scontrino medio.

Nel caso di LaEsse, il “gancio” commerciale è costituito dalla gastronomia e, più in generale, dai piatti pronti da mangiare o da scaldare. Entrando, infatti, si viene accolti da una parete refrigerata di tali prodotti i quali costituiscono un elemento di servizio importante per chi si trova a passeggiare davanti al negozio (ovviamente, parliamo di una zona ad alta intensità turistica) oltre a rappresentare una caratteristica fidelizzante per i residenti del quartiere.

Il resto dello store mira solo a dare un assortimento di base, abbastanza ampio ma poco profondo e a facilitare il check-out con delle casse self. Se altrove ci imbatteremmo in scaffali molto alti, utili ad aumentare pesantemente la numerica di referenze, qui ciò non avviene perché Esselunga il proprio vantaggio competitivo lo costruisce con la gastronomia, una selezione limitata di panificati sempre fragranti ed un focus particolare sul take away di qualità.

Al momento, dunque, forse proprio per mantenere questo tipo di vantaggio, Esselunga ha scelto location molto visibili, posizionate su marciapiedi ad alto traffico pedonale, approcciate con un format che cerca sicuramente di sviluppare un’alta redditività/mq (anche attraverso l’afflusso generato dal bar latistante), garantendo un livello di servizio importante che prevede un certo investimento in termini di personale.

Ma come si comportano altri operatori?

Contrariamente alle grandi superfici che, in un certo qual modo, cercano tutte di soddisfare appieno le esigenze dei consumatori, esprimendosi nel fresco e nel secco con fortune alterne, i piccoli negozi forzano i retailer a fare leva sulle proprie peculiarità, cercando contemporaneamente di interpretare le esigenze di un bacino d’utenza pedonale molto limitato che presenta spesso e volentieri caratteristiche particolari.

Se ci spostiamo a Napoli, città che per la propria morfologia e storia rende quasi indispensabili le piccole metrature, ci accorgiamo di come esse riescano comunque a dare servizio. È il caso, per esempio, di Ciro Amodio che, con negozi anche sotto i 100 mq, valorizza in particolare i latticini (driver storico) e tratta alcuni prodotti a marchio selezionati che, nel tempo, hanno fidelizzato la clientela, seppur siano numericamente pochi.

Lo stesso vale per Flor do Café, insegna napoletana di superette che aumenta il flusso clienti fornendo piatti gastronomici di alta qualità (in larga parte consumabili anche freddi) offerti nel banco servito.

Tali negozi, come altri della stessa dimensione e tipologia, non riescono ovviamente competere con tutte le attività specializzate di zona (se aprono ad es. vicino ad una frutteria non potranno pensare di vendere molta ortofrutta) ma con i propri punti di forza caratterizzanti tendono a mantenere competitività e redditività nonostante, a volte, qualche negozio di più ampia metratura gli apra relativamente vicino. Non accade sempre ma, comunque, spesso.

Quando l’unica forza commerciale dello store diventa la vicinanza al cliente, invece, si assiste solitamente ad una diminuzione del fatturato/mq che si assesta su valori più modesti. In questi casi, da un lato si può ottenere un conto economico abbastanza snello (es. format completamente self), dall’altro però si è quasi sempre più vulnerabili all’ingerenza della concorrenza eventuale.

Se guardiamo, ad esempio, il format “Local” di Pam Panorama, in molti casi vediamo l’assenza di banchi serviti ed un layout molto lineare e chiaro che agevola il percorso cliente. Sono negozi comodi che cercano di andare incontro ad un consumatore pedonale senza però fare leva su una vocazione fidelizzante specifica.

Concludendo, possiamo dire che il format di prossimità non è unico perché cambia radicalmente in base al bacino d’utenza (limitato) che serve ed alle latitudini (tra Nord e Sud esiste, infatti, una differenza abissale). È quindi un terreno in cui il retailer può esercitarsi al meglio per tarare gli assortimenti ed il servizio in modo tale da performare bene in contesti diversi.

Forse è anche per questo che i leader del comparto discount tendono a non cimentarsi nelle piccolissime metrature, vista la rigidità del loro modello commerciale.

Stante quanto sopra, potremmo dedurre che nel campo delle superfici di questo genere non c’è un concetto assoluto ma, piuttosto, una gara a chi interpreta al meglio le esigenze del territorio, costruendo formati vincenti capaci di scegliere bene a cosa rinunciare ma anche in cosa specializzarsi.

 

Fondatore e Amministratore della Netbound, società specializzata nel management consulting indirizzato al Retail ed all’industria alimentare, è appassionato del commercio in tutte le sue forme. È stato membro del CdA ed Amministratore Delegato di società operanti nella produzione e distribuzione di beni di largo consumo. Ha viaggiato in Europa e negli Stati Uniti (dove ha risieduto) per analizzare le formule di retail con le migliori performance. e-mail: m.schiraldi@netbound.net