La GDO italiana è popolata da diverse insegne che, a loro volta, sono il risultato della somma dei fatturati dei gruppi locali, o interregionali. Non fa eccezione il mondo dei discount che, salvo i primi tre player del mercato, è anch’esso una somma di insegne seppur non frazionate come accade nei formati tradizionali. I discount si caratterizzano, rispetto ai formati tradizionali, per il fatto che sviluppano generalmente altissime rotazioni in assortimenti ristretti, lavorando con margini generalmente più bassi.
Queste caratteristiche differenziano decisamente anche la struttura di questo particolare segmento di mercato, perchè non è la stessa cosa lavorare con il 35% di margine lungo, invece che con il 20%. Per tale ragione, ad esempio, non è semplice per un discounter operare come ad esempio Conad, ovvero con un Cedi che vende ai propri soci mantenendo un margine per se, e delegando la vendita al dettaglio con un margine adeguato ai suoi piccoli imprenditori associati. L’esempio di Conad è il più eclatante e rilevante numericamente, ma in verità il business del franchising (che si sostanzia in affiliazione oppure associazionismo) in GDO è fondamentale. Il mondo dell’affiliazione in Italia è molto eterogeneo e rappresenta un pilastro importante del retail, sia in termini di volume che di fatturato sviluppato e la complessità di questo comparto risiede nel fatto che si tratta di un mercato popolato da piccoli e medi imprenditori che si ramificano sotto le varie insegne nazionali.
Eppure è fuor di dubbio che il mercato si concentra esclusivamente sulle dinamiche che caratterizzano i cedi delle insegne nazionali o locali e non certamente quella di esasperare il dettaglio di tutti i punti vendita affiliati che compongono, insieme alle reti dirette dei grandi gruppi, l’ultimo pezzo della filiera, vendendo beni direttamente al consumatore finale.
Ovviamente, la rilevanza del comparto dell’affiliazione è molto accentuata nei formati tradizionali (I+S+LSP) per le ragioni prima addotte, ed è vero che nel discount questa diminuisce ma, comunque, rimane presente. Non solo, è anche necessario affermare che soprattutto negli ultimi anni gli stessi imprenditori affiliati/associati alle insegne tradizionali accarezzano sempre più l’idea di avvicinarsi anche all’offerta discount. Per tale ragione, colta questa particolare dinamicità, l’ufficio studi dell’Istituto Georetail ha recente realizzato uno studio dove ha approfondito il peso dell’affiliazione nel segmento discount, e questa analisi porta con sé alcune sorprese che probabilmente sorprenderanno i più.
Prima di arrivare alla spiegazione dello studio, ai suoi dati ed ai suoi grafici, chiediamoci quali sono generalmente gli aspetti interessanti dell’affiliazione. Intanto, il franchising rappresenta uno strumento che il retailer può utilizzare per aumentare le proprie quote di mercato, investendo meno di quanto prevederebbe lo sviluppo diretto. Le vendite, infatti, passano dall’essere B2C a B2B ed il rischio reale si sposta sulle spalle dei singoli imprenditori che approcciano i territori e che, comunque, devono attenersi alle linee guida del franchisor.
Ovviamente, fare franchising ha anche dei limiti. Esiste, ad esempio, il rischio dei pagamenti anche se, ormai, tale pericolo si è ridotto viste le regole stringenti relative al credito diffusamente applicate. C’è poi la possibilità che l’affiliato tratti il cedi come semplice fornitore e non come partner, acquistando solo parzialmente da esso. Qui si delinea la problematica della bassa fedeltà verso il cedi di riferimento. Diciamo poi che quando si fa franchising bisogna costruire una rete di servizi che abbiano l’obiettivo di mantenere l’affiliato all’interno della rete dell’affiliante, diminuendo il rischio di cambi insegna che, spesso, si concludono con perdite di fatturato notevoli per quei cedi che non si adoperano a sufficienza per trattenere i propri franchisee.
Fare affiliazione è tipico dei mercati che si avviano alla saturazione perché la densità competitiva spesso e volentieri abbatte i fatturati dei singoli negozi e, di conseguenza, la massa di margine utile a pagare i costi i quali, come noto, sono più alti in caso di gestione diretta. È per questo che chi sviluppa molti diretti, predilige format meno vulnerabili e dotati di più armi per competere (vedi Esselunga, Tosano, Gros etc.)
Per il mondo discount, fino a qualche tempo fa, non c’era ombra di saturazione e, quindi, per molti anni molti retailer (non tutti) hanno preferito sviluppare negozi diretti altamente profittevoli. Inoltre, la rigidità assortimentale di quel modello discount – che si è dimostrato vincente – non garantisce a chi si affilia i margini di manovra a cui molti piccoli imprenditori sono abituati, altro elemento che può risultare limitante.
Comunque in un mercato come quello attuale, anche per il discount, approcciare territori ostici (poco produttivi) con il franchising è utile, oltre che conveniente.
Arriviamo ai dati partendo da una domanda: “Quanto vale il mercato dell’affiliazione discount in Italia?”. È un quesito non banale visto che si tratta di un mercato concentrato, a differenza di quello tradizionale, ed in cui diversi player principali sviluppano solo negozi diretti, cosa anch’essa decisamente insolita nel comparto tradizionale. È raro, infatti, incontrare retailers convenzionali che decidono di dedicarsi esclusivamente agli store di proprietà.
Per fare alcuni esempi, hanno solo negozi diretti Lidl (in primis), Penny ed In’s i quali rappresentano, ad ogni modo, una fetta importante del mercato. Nel resto del comparto discount sono diversi gli operatori che fanno franchising ma chi, tra loro, ha più franchisee e quanto vale il comparto dell’affiliazione nel suo complesso?
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