
E’ appena finita la Fiera Marca, la massima espressione della GDO italiana in termini di eventi, e le risultanze dei dati di settore sono state riassunte in questi giorni da tutti gli organi di stampa che hanno pubblicato i dati espressi nei work shop che hanno caratterizzato la manifestazione i quali, in estrema sintesi, hanno spiegato che esiste uno stallo sostanziale della crescita della Marca del Distributore, pur detenendo stabilmente una quota intorno al 18% del fatturato totale della GDO.
Prima considerazione: quel 18% non tiene minimamente conto dei risultati che stanno ottenendo i Discount, che valgono il 10% del fatturato totale e la cui quota di Private Label supera il 40%.
Seconda considerazione: il 18% è la media delle risultanze di fatturato dei diversi formati, ovvero dei supermercati e gli ipermercati. Ciò che non si vede dai dati è una situazione di forte instabilità che sta vivendo il mercato della Private Label su buona parte del mercato.
La maggior parte delle insegne della DO (quelle insegne che vivono di affiliazione dei Cedi territoriali), hanno seri problemi di volumi di vendita, e quindi di raggiungimento di masse critiche, che l’industria puntualmente lamenta nei tavoli appropriati. Nessuno lo dice alla Fiera Marca, che rappresenta purtroppo l’apoteosi del buonismo, ma una buona parte delle insegne della GDO, pur fatturando il 7-10% del loro fatturato totale con i prodotti a marchio del distributore, hanno seri problemi a rispettare i minimi quantitativi richiesti dall’industria per sviluppare prodotti con il pack del distributore.
Solita vecchia Italia, sempre divisa e sempre in conflitto
Sarebbe sufficiente che le famose Supercentrali fossero più efficienti e, oltre ad incontrarsi per confrontare i contratti, si sedessero umilmente e definissero con onestà i migliori attori sulle rispettive categorie. Ma, per chi non lo sapesse, questo è un tasto delicatissimo nel mondo della Grande Distribuzione che, proprio qui, scopre tutte le debolezze del sistema. Gli equilibri delle Centrali e delle Supercentrali, politici e relazionali, sono così delicati che il timore di un conflitto, che si possa generare da un aperto confronto sulla scelta dei migliori fornitori, determina l’opportuna decisione di evitare il tema. Non solo dentro le Supercentrali, che sebbene doveroso, è comunque più complicato riunire i fornitori sulle diverse Private Label, ma anche dentro le medesime centrali con la stessa insegna, esistono pressioni tali da generare delicati equilibri politici nella gestione della scelta dei fornitori.
Non solo, un altro problema di non poco conto è che spesso i prodotti di Private Label, sebbene definiti nella Centrale Acquisti, non vengono poi acquistati dai Cedi locali, creando vuoti di fatturato che i fornitori soffrono. La non obbligatorietà della trattazione del prodotto a marchio, nella DO spesso si trasforma nella vaga possibilità di inserimento in assortimento.
Tristi orticelli
Eppure in Paesi vicini e non così dissimili dal nostro, come la Spagna, dove comunque esiste una ramificata DO, le medesime Supercentrali (ce ne sono due grandi) condividono i fornitori, seppur dividendosi nelle strategie di marketing.
In Italia è apprezzabile l’esperimento che sta tentando Italy Discount, una Srl nata su iniziativa della Centrale Sigma, che di fatto si presenta in maniera trasversale sul mercato aggregando piccole aziende delle diverse Centrali di acquisto e che hanno punti di vendita Discount ma che, ovviamente, non hanno la possibilità in termini di concentrazione, di crearsi una propria Private Label.
E’ così che Isa Muscas, che fa parte del gruppo Vegè, si incontra con Realco che fa parte del Gruppo Sigma e CDS in Sicilia, che fa parte del Gruppo carrefour, si incontra con le precedenti nel terreno neutro del Discount condividendone la private label. E’ un primo ma significativo passo verso la maturazione della Grande Distribuzione, che accetta le proprie singole debolezze, ed in virtù di queste si incontra per condividere prodotti e fornitori, per dare al consumatore un’offerta qualitativamente efficace a prezzi competitivi, aggregando le singole masse critiche.
Poi ci sono casi come quello di Ekom che, pur non avendo i volumi, non considera la possibilità del terreno di incontro per condividere le masse critiche ed a questo preferisce appoggiarsi a fornitori “followers” che gli affidano marchi di loro proprietà. Insomma, è la DO bellezza.