GDONews riceve con enorme piacere e pubblica una lettera del Dott. Tito Marrari, direttore della Comunicazione e Marketing del gruppo Sisa Calabria, sul tema dei rapporti Distribuzione-Industria. Il Dott. Marrari, oggi uomo di marketing ma alla stessa stregua esperto responsabile acquisti, è conosciuto nel mondo della GDO come un buon conoscitore delle dinamiche del mercato della GDO e quindi del rapporto tra industria e Trade.
Carissimo Andrea,
ho notevolmente apprezzato la serrata dialettica scaturita dalla pubblicazione dell’intervista al Presidente di Centromarca Luigi Bordoni e ampiamente commentata sul tuo sito, e devo dire che sono rimasto piacevolmente colpito. Tanti commenti, anche se con ottiche, punti di vista e soluzioni diverse, hanno sicuramente solleticato la voglia che vi è in ognuno di noi di confrontarsi, in modo civile e nel rispetto delle opinioni di ognuno. Concordo anch’io, ampiamente con il Dott. Masu: per uscirne bisogna semplicemente rispettare gli impegni presi. Anzi, dirò di più, bisogna “collaborare”, sia pure, e com’ è giusto che sia, nel rispetto reciproco dei ruoli. Distributori e produttori devono convincersi che sono elementi imprescindibili l’uno dall’altro. Fatta questa precisazione, vorrei poter commentare alcune considerazioni emerse durante il dibattito. Credo che il passaggio dei contributi da fuori fattura in fattura sarà, nel breve periodo, una necessità oggettiva (d’altronde sta già avvenendo in alcune supercentrali e in alcuni comparti merceologici) ed un elemento imprescindibile. Rispetto al fatto che una parte del sistema distributivo non sia d’accordo per la probabile ripercussione sui prezzi di vendita, obietterei che questi soggetti dovranno alla fine fare i conti con i bilanci, pertanto sarà anche probabile che qualcuno tenterà tale strada ma le conseguenze saranno disastrose. Riguardo alle PL credo che sempre di più le piccole medie imprese dovranno diversificare la loro produzione posizionandosi come fornitori a marchio privato. Ripensando la propria offerta con la produzione di base che viene venduta come PL o come primo prezzo, mentre quella a proprio marchio verrà posizionata sui prodotti a maggiore valore, o innovativi, o quelli a contenuto salutistico. Solo così eviteranno di essere schiacciati tra le aziende leader e quelle delle PL. L’IDM dovrà sempre di più investire in innovazione, sviluppo tecnologico e comunicazione infondendo nel consumatore quella fiducia e quella serenità di acquisto, che solo gli elevati standard di qualità, affidabilità e servizio proposti possono dare. I retailers dovranno, e al più presto possibile, cercare di abbandonare la spirale vorticosa della rincorsa al prezzo più basso. Il prezzo è sicuramente una delle variabili ma non la sola. Bisognerà intercettare anche quelle quote di reddito medio e medio/alto che sono facilmente coinvolgibili nella shopping experience. Quindi diversificare l’offerta assortimentale, rendendo fruibili al consumatore tutta una serie di servizi, finanziari (pagamento bollette, polizze assicurative, accesso al credito) d’intrattenimento (tour operator ) di telefonia mobile. Riguardo al rispetto dei pagamenti, assolutamente nulla da eccepire. Essendo una voce delle poste contrattuali và semplicemente rispettata. Ti ringrazio caro Andrea, per l’opportunità datami nell’intervenire in questo dibattito, e mi auguro un futuro prossimo di “vera e proficua partnership ” tra industria e distribuzione e se i presupposti sono quelli scaturiti da questo dibattito, credo davvero che siamo sulla buona strada.
Tito Marrari
Dopo il dibattito emerso dall’intervista al dott. Masu, è con piacere che si leggono le parole piene di buon senso del dott. Marrari.
Riporto ancora una volta la mia esperienza professionale di commerciale nell’industria dei salumi che si sta orientando con difficoltà nel nuovo contesto del mercato, le PL da un lato erodono quote di mercato, i contratti dall’altro erodono i margini. L’investimento in comunicazione dà risultati di difficile interpretazione mentre creare delle nicchie di mercato sembra dare ottimi frutti come dimostrano i risultati delle vendite di prodotti artigianali o attenti ai valori nutrizionali (ex prodotti “light”) o etici (ex confezioni bio).
Spero vivamente che i contratti spostino sempre più i contributi da un fuori fattura a uno sconto in fattura poichè più facilmente gestibili, la gestione di sconti e contratti fuori fattura è spesso onerosa in termini di tempo e soggetti impiegati nel controllo del rispetto del contratto stesso.
Il problema dei pagamenti è un problema concorrenziale all’interno del mondo distributivo poichè i termini di pagamento sono, per il comparto food, già determinati ai sensi della legge.
Spero che questi dibattiti sfocino in un tavolo comune di riflessione tra industria di marca e la distribuzione.
La parte più interessante del dr. Marrari è la disponibilitàa a dialogare con l’industria, sugli altri punti ho già espresso le mie idee e non vorrei essere ripetitivo ma l’analisi su ciò che deve fare la IDM e la piccola e media è la mia.
Ma questa può essere una strategia di successo solo se il trade si apre effettivamente all’innovazione, iniziando a considerare quei parametri che anche il dr. Massu aveva indicato e non solo il listing e i contributi fuori fattura.
Consumatore sempre più attento ai risparmi ai risparmi
Indagine Nielsen sugli effetti della crisi sulle spese degli italiani
Gino Pagliuca
14 Luglio 2009
Link
Il quadro non è tragico e forse il peggio è davvero alle spalle; i numeri arrivati oggi sul deficit pubblico e sul calo delle entrate fiscali potrebbero essere i peggiori dell’anno o, al massimo, calare ancora un po’ solo nel terzo trimestre per poi riprendere, non fosse altro perché il confronto verrà poi fatto con numeri a loro volta già depressi. Ma i motivi di preoccupazione non sono venuti meno e lo dimostrano, per passare dal macro al micro, le indagini sul consumatore. Molto interessante il survey rilasciato oggi da Nielsen sul tema “La crisi condiziona veramente il carrello della spesa”? La risposta all’interrogativo è che certamente il condizionamento è ancora in atto e rischia di durare a lungo.
L’analisi
Il primo dato da segnalare è che il 45% degli italiani ritiene la propria situazione finanziaria peggiorata nell’ultimo anno. Il dato smentisce le analisi un po’ semplicistiche effettuate da alcuni istituti di ricerca dopo il crollo delle Borse; secondo queste previsioni il problema avrebbe toccato solo la piccola minoranza di famiglie che investono in azioni. Il problema è che i rendimenti obbligazionari sono scesi ai minimi ed è impossibile convincere un investitore comune di fronte a interessi annui dell’1% che il suo capitale si sta difendendo dall’inflazione.
Il sentiment sulla durata ulteriore della crisi è poi molto pessimistico: solo il 15% dei consumatori ritiene che gli effetti negativi si esauriranno entro un anno; per il 50% serviranno ancora tra un anno e due e per il 35% occorreranno addirittura altri 24 mesi almeno.
Tutto questo comporta scelte sostanziali di risparmio: il 61% degli italiani ha tagliato le spese per i regali, il 57% ha ridotto lo shopping per abbigliamento, il 44% ha cambiato la composizione del carrello della spesa. Il dato più sorprendente è però un altro: la voce su cui gli italiani hanno dichiarato di aver meno ridotto le spese (solo il 12%) sono le sigarette. Un dato che collima con i recenti allarmi sulla ripresa del vizio del fumo.
… il germe del risparmio e dell eliminazione del superfluo rimmarra anche nel futuro perche come negli anni 50 l italiano ha patito la fame e negli anni70 2007 no ha badato a soese gli ultimi 12 mesi lasceranno nei consumatoriun ricordo che gli spingera a ponderare i loro acquisti secondo certi specialisti dele aziende e gdo sembrano come certi economisti dopo il default della lemhan brothers che non si capitavano di quello che era successo perche voleva dire abbandonare le prebende a cui erno abituati negli anni felici fino all inizio 2008 secondo me le aziende e lagdo devono aprire gli occhi e capireil futuro no guardare indietro mperche quel mondo passato e finito
mario il link non funziona
…corretto
Una piccola divagazione che riguarda comunque puntualità dei pagamenti e rischio insolvenza, qualcuno sta seguendo la vicenda Italiana alimentare, Italiana Food, Dierre Market ed Europa supermercati? Principale Franchisee delle Standa che usando un eufemismo si può definire in crisi?
Il gruppo è cresciuto molto negli ultimi anni e aveva concluso due bei colpi acquisendo i supermercati della Tigros in provincia di Varese e poi Agostini Cedis ma poi è esplosa la crisi.
Leggendo la risposta del dott. Marrari mi pare positivo notare il fatto che la disponibilità a sedersi un tavolo anche ai piani alti ci sia; allora forse la “coopetition” con l’ottica di stabilire delle partnership nel lungo periodo non rimane confinata nei testi universitari!
Come già avevo detto l’industria di marca dovrebbe continuare a muoversi nella direzione di dover sviluppare comunicazione, innovazione, ecc con gli strumenti che gli sono propri per acquisire massa critica per poter stare sul mercato. Ciò è possibile solo con grandi investimenti – e se n’è ampiamente discusso. Un’altra strada che dovrebbe intraprendere la piccola e media industria potrebbe essere quella della diversificazione e dello sviluppo di canali di distribuzione alternativi (Ho.Re.Ca., Food Service, ecc), soggetti a pressioni minori, ma non per questo meno profittevoli, anzi, forse sarebbe pure possibile spuntare margini migliori. Senza contare che potrebbero essere un valido supporto per costruire una brand image forte e più “preparata” per sbarcare successivamente nella GDO.
Aldo, ho chiesto più volte il tuo indirizzo email ma non mi ha risposto nessuno, ti do io il mio: marco.ciccone[AT]gmail.com. Ovviamente ci vuole la chiocciola al posto dell'[AT].
Un saluto a tutti.
Una volta, tanti anni fa si partiva dal tradizionale, e per alcuni prodotto (ferrero docet) qualcuno lo continua a fare e poi si andava nella gdo.
Cioè prima si creava una distribuzione numerica, si faceva provare e trovare il prodotto e poi si andava in gdo, con il vantaggio non indifferente di avere dei dati su rotazioni, vendite e poter stimare il vero e accettabile valore del listing.
Poi si è puntato a raggiungere per prima la ponderata per poter fare anche pubblicità prima.
entrambe le strade hanno vantaggi e svantaggi, negli ultimi anni un macinio importante sulla prima strada è stato posto da quello del problema dei pagamenti, il secondo è la fretta sempre maggiore che le aziende hanno di avere risultati immediati, per cui la seconda è diventata la strada meastra.
forse la crisi porterà a rivalutare le cose, resta un problema molto grosso sul canale tradizionale il problema dei pagamenti.
Oggi la DO è in crisi perchè molti affiliati non pagano con regolarità, ed anzì sfruttando partite iva doppie acquistano sui due canali.
Marco ti scrivo in privato
Oggi mi è venuta in mente anche un altro aspetto, il fisco, l’ufficio delle entrate con una sua risoluzione ha messo nero su bianco come devono essere gestiti da un punto di vista fiscale i contratti di somministrazione e quando una prestazionepuò essere liquidata in fattura, con nota di credito o fattura.
So anche che le risoluzioni sono il parere dell’amministrazione e non la legge per cui si può anche fare diversamente e poi trovarsi a discuterne nelle commissioni tributarie, ma il punto vero è che a oggi se la distribuzione e l’industria vogliono mettersi intorno a discutere di nuovi modelli contrattuali e forse il caso che prendano in considerazione cosa vuole anche il nostro stato.
La risoluzione nr 36 dell’Agenzia delle Entrate, pur non essendo legge, ha cercato di mettere ordine in una ” giungla comportamentale” dove nessuno si era mai inoltrato o comunque dove esistono poche altre disposizioni e il più delle volte molto contrastanti tra loro. Lo spirito contenuto nella risoluzione, può essere cosi riassunto: ” se noi, agenzia delle entrate, dovessimo effettuare un controllo documentale in ambito contrattuale, intrerpreteremo e agiremo con questa direzione”. A suo tempo si diceva” in mancanza di chiare disposizioni di legge forse conviene operare tenendo conto di quanto stabilito nella disposizione nr 36″.
Il vero problema è stato ed è tutt’ora che ne il mondo della distribuzuione ne il mondo dell’industria hanno mai pensato seriamente di mettere chiarezza sui nomi e cognomi da assegnare alle singole poste contrattuali o agli extrabudget elargiti in fase di contrattazione periferica. Nel pratico, la vaghezza delle indicazioni, è l’unico indice che viene usato sia da una che dall’altra parte. Il fornitore non vuol far sapere di aver dovuto investire ulteriori risorse su un contratto di centrale che in teoria viene pomposamente definito ” mononegoziale”, dall’altra il distributore, pur di portare dentro risorse, accetta qualsiasi descrizione e/o condizione per emettere o ricevere quanto ricevuto dal fornitore. Il problema subentra quando gli amministrativi di entrambe le parti, devono tradurre in documento quanto pattuito in fase negoziale. E qui scaturisce l’eterno dilemma di un commerciale che prevale su una amministrazione che a sua volta dovrebbe dettare le regole per una regolarità fiscale che , credo, importi poco a nessuno. L’importante e fare cassa. Al di la delle buone intenzioni dichiarate da una a dall’altra parte, personalmente penso che passeranno anni prima che possa maturare un linguaggio che accomuni veramente, nei fatti e nelle intenzioni, industria e distribuzione, come anche commerciali con amministrativi.