Olio EVO: agnello sacrificale dei volantini. Dialogo per un nuovo rapporto tra produttore e retailer

Il 2020 per molte categorie merceologiche è stato un anno molto fortunato e le aziende di produzione concentrate nel mass market retail che hanno saputo rispondere agli incrementi dei volumi generati dal lockdown hanno trovato ristoro nell’incremento delle loro vendite. L’olio EVO è stata una categoria che è cresciuta nonostante il netto calo della pressione promozionale 

Non solo: il 2020 si è caratterizzato per il forte incremento delle vendite di olio EVO 100% italiano a fronte di un leggero calo delle vendite di comunitario. Un dato che si potrebbe leggere come una ricerca della gratificazione da parte di un consumatore segregato in casa durante l’emergenza COVID, ma purtroppo non è così come sottolinea Amalia Menna Pantaleo, direttore commerciale dell’omonima azienda di famiglia: “Purtroppo non è così: la verità è che grazie all’abbondante raccolta del 2019 i prezzi del prodotto italiano si sono abbassati notevolmente avvicinandosi molto al prodotto comunitario, e portando ad una logica conseguenza di preferenza verso un prodotto della propria terra, oggettivamente differente. 

Che anno è stato per voi protagonisti del mercato? 

Anche in considerazione delle difficoltá generate dall’emergenza sanitaria, per noi il 2020 è stato un buon annosotto il profilo della crescita culturale aziendale e di fatturato, sebbene per questo dato non possiamo ringraziare del tutto la grande distribuzione.  

Perché? 

Non smetto di constatare che una buona parte della GDO, cercando di correre alla disperata ricerca dell’incremento dei suoi volumi e della fidelizzazione di un cliente sempre più ubriacato dalle offerte provenienti da più fronti, utilizza la nostra categoria come richiamo sul prezzo, provocando danni culturali e di marginalità consistenti 

Cosa intende per danni culturali? 

Siamo tra i più grandi produttori al mondo di olio extra vergine e, in assoluto, i più grandi consumatori per litro pro capite, eppure – complice il comportamento della grande distribuzione – il consumatore, soprattutto nel nord, sta perdendo il legame con questa parte della sua tradizione per volontà del retailer. 

Quale sarebbe allora il comportamento adeguato? 

Non posso permettermi di spiegare, dal mio osservatorio, quale sarebbe il comportamento adeguato del retailer. Comprendo che il suo mestiere nel tempo è mutato: oggi la competitività tra i diversi formati di vendita è portata agli estremi, ed i consumatori sono invasi dalle offerteè molto complicato creare distintività. Comprendiamo tutto perfettamente ma la nostra categoria si è trasformata nel più ambito agnello sacrificale di tutto l’assortimento, complice la battuta di cassa superiore alla gran parte dell’offertase si considera che la percezione valoriale che un buon olio extra vergine può trasferire al consumatore finale, appunto per cultura, è molto alta. Ma è qui il punto: si sta velocemente distruggendo una reputazione che trova origine nella nostra tradizione. 

Però anche il prodotto Pantaleo è oggetto di una forte attività promozionale 

Certo, non possiamo pensare di essere delle “mosche bianche” e rifiutarci di collaborare con i retailers. Ma sappiamo che non è una pratica sana, perché in tal modo i criteri di scelta del consumatore si vanno deteriorando, si appiattiscono sempre di più intorno al prezzo perdendo di vista tutti gli altri aspetti che stanno alla base della relazione consumatore e prodotto. E ripeto, quando si parla di olio EVO, di passate di pomodoro, di vino e di poche altre categorie, si sta parlando di tradizione, di identità, dove il prezzo deve essere importante, come in tutti gli ambiti, ma non può essere unico protagonista. 

Oggi i top seller sono gli oli comunitari quando le differenze di prezzo, in assenza di strategie promozionali, non sarebbero così distanti da un olio 100% italiano.

Noi abbiamo investito in 150 ettari di terra dove coltiviamo olio Evo 100% italiano; abbiamo fortemente voluto il 100% italiano terre di Puglia IGP, ma i volumi che possiamo generare nella GDO italiana con queste referenze non si possono paragonare a quelli generati dal nostro mainstream comunitario, come capita a tutti i nostri bravi concorrenti 

Voi cosa state facendo per distinguervi? 

E’ stato un anno di grandi volumi di vendita ma anche di riflessione. Abbiamo compreso che il retailer, se aiutato, può uscire da questa morsa a cui si è legatoVogliamo dialogare direttamente con il consumatore finale, condividere con lui valori e tradizioni. Stiamo realizzando forti investimenti sui social network e nei prossimi mesi aumenteranno. Il nostro obiettivo è investire soprattutto nei territori dove siamo “brand” e conquistare una buona percentuale della popolazione con le nostre iniziative. Abbiamo investito in testimonial molto conosciuti dentro i target di consumatori che sappiamo apprezzare il nostro prodotto, creando una relazione diretta e sincera tra il nostro marchio, suoi valori ed i consumatori finali. Questo sforzo deve poi essere diretto verso il retailer, ovvero verso il luogo in cui si trova il nostro prodotto.  

Quindi gli investimenti sono anche a vantaggio del retailer 

Non possiamo disconoscere il ruolo del distributore, al contrario lo dobbiamo valorizzare, ma puntando alla creazione di un dialogo con il consumatore finale che sappia incontrare una preferenza ancor prima di conoscerne il prezzo. Ovviamente promuoveremo anche azioni di co-marketing affinchè lo sforzo promozionale del retailer possa essere riconosciuto, ma non in quanto tale, semmai come conseguenza di una scelta già compiuta. E’ solo così che si possono ricostruire rapporti fatti di affinità e di relazioni che i volantini stanno inconsapevolmente distruggendo. 

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