La chimera dei buoni pasto è un tema su cui si potrebbe parlare e scrivere per settimane e mesi, ma oggi esiste una incombenza che si è creata dietro ad un silenzio che faceva comodo a molti e che, alla fine, ha portato ad un disastro.
Chi oggi ha portato, a voce alta, a galla il tema del fallimento di QUI!Group e dei 200 milioni di debiti che il crac ha portato con se è la FIDA, la Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione, per mezzo della sua Presidente, Donatella Prampolini Manzini, che alla luce del fallimento della società leader del segmento emissione buoni pasto, sta raccogliendo adesioni per ammettere più aziende possibili alla procedura fallimentare in corso, allo scopo di recuperare più denaro possibile dei circa 200 milioni persi dai vari dettaglianti (imprenditori affiliati alle principali insegne della GDO e non solo).
Il Business dei Buoni Pasto è stato per anni un metodo semplice per creare fatturato, con bassi margini, allo scopo di mantenere volumi e ricavi in linea con gli anni precedenti. Il passaggio è molto semplice: una società vince una commessa e consegna alle aziende committenti (pubbliche o private) dei buoni pasto che formano parte dei benefit dello stipendio dei loro dipendenti o collaboratori. In pratica è moneta sonante. Questi buoni pasto sono usufruibili presso quegli esercenti che ne accettano l’incasso, quindi anche supermercati ed ipermercati. Ovviamente il vero incasso non è mai quello riportato nel valore del buoni, ma ad esso viene riportata una commissione della quale in primis ne beneficia l’azienda mandante che acquista i buoni, ed in secondo luogo l’azienda che emette i medesimi e che poi li deve pagare, una volta tornati indietro, all’esercente ricevente.
Spesso accecati dalla possibilità di estendere il business verso nuovi consumatori, ed allo stesso tempo di crescere volumi e ricavi aziendali, i piccoli imprenditori proprietari di supermercati, affiliati alle maggiori catene nazionale, ma anche le grandi aziende retail, hanno accettato ed incentivato questa logica di business, senza pensare che dove c’è finanza c’è rischio.
Il fatturato che ogni piccolo imprenditore affiliato a catene GDO recuperava a seguito di questa attività era di circa il 5%-10%, con punte del 15% laddove l’ubicazione era in prossimità di grandi uffici. La DO, quindi proprio coloro i quali possono soffrire particolarmente le problematiche dovute all’incasso dei buoni pasto, dovrebbe avere una incidenza che per prudenza non dovrebbe superare l’1%-2% e comunque non oltre il 5%.
Abbiamo chiesto a Donatella Prampolini Manzini quali erano le dinamiche che hanno portato a questo disastro che oggi sta preoccupando chi non ha “le spalle così forti” da sopportare una perdita economica (eventualmente) rilevante a seguito della procedura fallimentare in corso.
“La pratica di accettare buoni pasto per l’acquisto della spesa è minimamente plausibile sempre e quando non si ecceda nell’equilibrio tra fatturato azienda e quello ottenuto con questi metodi di pagamento – spiega la Presidente di FIDA – Il rischio, anche in caso di mancanza di rischi di fallimenti di società emittenti, è quello di vendere sottocosto. Bisogna infatti considerare che la commissione media oggi è di circa il 10-12% a cui però vanno necessariamente aggiunti i costi derivanti da problemi legati al mancato incasso dei buoni scaduti, di quelli rubati, etc. Spesso e volentieri le società emittenti aprono contestazioni a cui bisogna far fronte. Altrettanto spesso non si tiene conto dei costi che comporta la gestione di queste attività in termini amministrativi oltre alla oggettiva dilazione di pagamento: insomma non è azzardato dire che il vero costo per incassare i denari dei buoni pasto sia del 15% e non del 10-12%. Chi lavora in Grande Distribuzione con serietà e qualità sa benissimo che con un dumping di questo genere si rischia di lavorare sottocosto, sempre che non succeda nulla alle società emittenti.”
La Presidente della FIDA prosegue spiegando: “Il problema dei buoni pasto va affrontato soprattutto dal punto di vista delle norme: quelle oggi in vigore creano mostri come QUI!Group il cui fallimento lascia in rosso gli esercenti per circa 200 milioni di euro di buoni pasto non pagati. Confcommercio sta tentando di lavorare perché venga modificata la normativa evitando in futuro casi analoghi e sta cercando insieme alle altre parti coinvolte, di trovare con Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione, una soluzione per questo fallimento il cui danno è per la maggior parte in pancia agli esercenti.»
L’appello finale di Donatella Prampolini Manzini va agli esercenti, quegli imprenditori oggi creditori dei 200 milioni di crack. «In questa fase però –sottolinea la Presidente– è urgente che i creditori si inseriscano nella procedura: come in ogni fallimento, non possiamo garantire la percentuale di recupero del credito, che dipende dalla capienza del fallimento stesso, ma siamo certi che i creditori troveranno utile la calmierazione dei costi legali che abbiamo concordato. Peraltro, la partecipazione al tentativo di recupero del credito è necessaria per poter eventualmente imputare a costo le cifre non incassate.»
Possono accedere al servizio a costo convenzionato tutti i soci FIDA, nonché i soci delle Centrali D.It e Crai. Per informazioni consultare il sito web della Federazione www.fidaonline.it.
Per informazioni:
Donatella Prampolini Manzini, Presidente FIDA
oppure Roberto Marta, Segretario FIDA
email: presidente@fidaonline.it
Telefono: 06 5866477