Bernardo Caprotti è stato, nel Mass Market Retail italiano, il più grande imprenditore della storia del nostro Paese: non solo perché è stato l’inventore di un modello di Supermarket irripetibile con una piena competenza dei costi industriali in anni dove questo aspetto del business era praticamente cosa oscura, ma soprattutto perché lo ha fatto nel modo più eccellente, creando una azienda, un colosso da 6 miliardi di euro, perfetta in ogni dettaglio, con una competenza senza confini ed una metodicità straordinaria.
Queste poche righe si possono considerare il riassunto di una esperienza imprenditoriale eccezionale che ha portato Esselunga ad essere seconda solo a Tesco, in Europa, in termini di redditività per metro quadrato, ed in Italia seconda ad Eurospin, altro gioiello italiano, come profitti.
E se la storia di Esselunga, dell’azienda e dei suoi successi, e la storia ufficiale di Bernardo, sono quelle di una grande azienda e di un grande uomo, dietro a questi successi si celano altre verità che dipingono quel lato oscuro che accomuna, loro malgrado, molti grandi uomini della storia dell’arte, dello sport e dell’imprenditoria.
Esselunga è oggi, nel 2016, ancora una macchina decisamente superiore alla concorrenza pero è anche vero che mentre sino ai primi anni 2000 sapeva anche guardare molto lontano, intuendo il futuro e poi ricorrendolo, creando un vuoto tra lei e i concorrenti praticamente incolmabile, oggi questa qualità è sparita.
Fu il primo supermercato moderno d’Italia, fu il primo a creare un sistema organizzativo e di corporate efficiente, fu il primo a scommettere sul format del Superstore quando tutti, ma proprio tutti, guardavano agli Ipermercati. Fu il primo a scommettere sul cibo organico, il Bio, fu il primo a scommettere sulla vendita on line. Non bastava essere il leader delle vendite, era soprattutto leader nei progetti: e proprio questo è sempre stato l’elemento che ha distanziato Esselunga dal resto del mondo.
Va però detto che una buona parte di questi progetti portano la firma di Caprotti, ma non Bernardo, bensì Giuseppe!
Il rapporto con i figli dal 2004 in poi è stato assai problematico, Bernardo usò la stampa per raccontare la sua idea dei fatti. Era molto abile nel attrarre verso se l’attenzione quando era necessario.
Purtroppo Esselunga, dopo l’uscita di Giuseppe, ebbe una battuta di arresto in termini di progetti verso il futuro: è vero che dopo il 2004 aprì il terzo polo logistico, aprì molti altri punti di vendita, aprì a Roma, ma non volle puntare la freccia lontano distinguendosi come in passato.
Bernardo era dotato di una personalità che aveva la forma del parallelepipedo, con tanti angoli. Poteva fare guerre come quelle che tutti noi abbiamo letto sui giornali con le sue dichiarazioni contro i figli, e commuoversi con un suo dirigente nell’ascoltarlo raccontare del padre, aveva una eccellente abilità nel giustificare tutte le azioni che era costretto a compiere, dalla rottura con Brunelli alla cacciata dei figli.
Era buono con chi gli giurava fedeltà, diffidente con chi voleva emergere. Amava i suoi dipendenti perché amava essere amato, però allo stesso tempo sapeva essere spietato con chi tradiva il suo credo (come capitava a chi si appellava ai sindacati).
Il suo amore per l’azienda era totalizzante ed attraverso le regole (ferree) e l’esempio sapeva trasmetterlo ai suoi, tutti i manager dell’azienda dovevano amare prima l’azienda della stessa famiglia.
“Esselunga è una azienda di separati” raccontò un giorno ironicamente un suo manager, raccontando la totale devozione alla causa.
Era temuto ed allo stesso tempo amato, talvolta molto odiato.
In un epoca dove l’amore e l’attaccamento per una azienda o per un ideale è un residuo del passato, per tutti quelli che hanno vissuto il mondo Esselunga è una esperienza indelebile della vita, una esperienza che solo una grande personalità può costruire sino a farla diventare un gigante.
Per questa ragione, oggi, nelle ore della sua morte, tutti lo piangono, chi lo ha amato e chi lo ha odiato, chi è stato amato e chi è stato distrutto.