La Grande Distribuzione italiana, sebbene lentamente, sta iniziando, in termini di quote di mercato, a concentrarsi, infatti oggi i primi cinque gruppi sviluppano più del 50% del fatturato. È’ una buona notizia da un lato, perchè rende più stabili alcune aziende e la loro crescita, ma al contrario, per chi è fornitore non è una notizia entusiasmante: diminuiscono i clienti e quindi le opportunità di vendita.
Un’altro dato di fatto è una sorta di dialogo, sempre più profondo, che si sta intensificando tra aziende della cosiddetta DO, la distribuzione organizzata. E’ cosa certa che un possibile avvicinamento tra loro potrebbe portare, ad esempio, alla unione delle scelte dei fornitori dei prodotti a marchio, cosa che comporterebbe, inesorabilmente, una scelta definitiva tra fornitori, con una ulteriore esclusione di alcuni.
Queste sono, purtroppo o per fortuna, le logiche conseguenza di un mondo, quello distributivo, in continua evoluzione e che prima o poi si dovrà adeguare a quelle che sono le abitudini (differenti) dei “colleghi” europei.
In Italia esistono molte piccole/medie imprese che producono prodotti eccellenti (nel dolciario, nei freschi, negli olii, etc) e che popolano i banchi dei molti protagonisti della distribuzione nazionale. Spesso si tratta di fornitori di prodotti “regionali” che riscuotono il consenso del consumatore locale, il quale lo conosce, ma fuori da quel contesto trova difficoltà a crescere sul mercato.
La maggior parte di queste aziende locali, di numero indefinito ma tantissime, hanno la convinzione che la ragione per cui non sono presenti in più catene di supermercati è perché non hanno la forza per saper arrivare da tutti i compratori, perché gli manca l’uomo (agente) giusto, quello con cui si può fare tutto, partendo dal presupposto che il prodotto che si produce e si commercializza è ottimo.
Ebbene l’80% delle aziende che contattano PR Italia pensa che questa società, per il semplice fatto di rapportarsi a tutta la GDO per conto di GDONews, sia capace di “far entrare” ovunque le aziende solo grazie alle relazioni con tutta la distribuzione.
Sarà bene chiarire che non è così, conoscere il buyer non è per nulla sufficiente.
Oggi la distribuzione alimentare è piena di prodotti di alto livello qualitativo, su tutte le categorie, infatti il mondo della produzione italiana, negli anni, è cresciuto moltissimo in termini qualitativi, e la competitività è aumentata, al pari opposto della concentrazione della GDO. Oggi avere un buon prodotto non è più un plus rispetto agli altri, perché dal bottom price al premium price il livello della qualità è molto alto e la “conoscenza” non è giustificabile come ragione per porre in assortimento una azienda od un prodotto.
Ciò che, prima di ogni altra cosa, può destare l’attenzione di un ufficio acquisti della GDO è una serie di requisiti che devono necessariamente essere tutti ben presenti in una offerta.
Il primo requisito è intrinseco: la qualità del prodotto. Oggi i prodotti, soprattutto per le attività di Private Label, vengono opportunamente analizzati e vengono effettuate prove comparative.
Il secondo necessario requisito è la presentazione del prodotto: non è più possibile sedersi al tavolo della negoziazione con un formaggio chiuso dentro un foglio di carta come campione. Il packaging, lo abbiamo scritto tante volte, spesso vale più della parte estetica del prodotto, è requisito di marketing (vs il consumer) che ha la sua importanza nei criteri di scelta di un compratore.
In Inghilterra, lo abbiamo scritto su GDONews, l’attenzione al pack supera spesso il valore che riscontra la vista del prodotto in esso contenuto.
Oggi il piccolo produttore, che spesso vende all’estero, si è organizzato e sa perfettamente come risaltare l’immagine di ciò che vende, e quindi questa basica attività di marketing spesso accompagna la qualità del prodotto.
Questi due requisiti, necessari, non sono ancora sufficienti per vincere la sfida orizzontale tra piccoli produttori di categorie similari: sono infatti troppe le aziende già capaci i queste due attività.
L’amore per il proprio lavoro, l’attenzione ai dettagli. Noi italiani siamo famosi per essere degli ottimi artigiani, intesi come ottimi autori del proprio mestiere quotidiano, attenti osservatori dei dettagli che fanno un prodotto di qualità, e quindi tutto ciò viene riversato anche nel mestiere del fornitore.
È nelle nostre caratteristiche.
Purtroppo, spesso, l’artigianalità si scontra con la capacità dell’azienda di dare al proprio mestiere l’evoluzione necessaria affinché un prodotto, e quindi un MARCHIO, diventi un BRAND. Essere BRAND non significa produzione massiva (attività che fa leva sulle quantità), significa manifesta notorietà di un marchio (qualità della comunicazione).
Per essere tale, dietro all’indubbia qualità del prodotto ed all’indubbia presentazione dello stesso, ci deve essere una strategia di marketing molto precisa. Questa caratteristica, che non si realizza in un giorno e nemmeno in un mese, e che permette nel tempo di elevare la forza comunicativa del prodotto, è di vitale importanza per una serie di ragioni: prima di tutto un brand noto è sinonimo di certezza. Chi compra, acquista un prodotto sicuro, certo, conosciuto.
Per arrivare a questo livello di notorietà il lavoro da compiere è immenso e costoso, ma necessario.
Bisogna avere una idea chiara del posizionamento del proprio brand, e quindi prima ancora una idea chiara del mercato a cui appartiene il prodotto. Per idea chiara si intende la qualità dei concorrenti, le differenti quote di mercato, quali sono i prodotti che più si vendono in ogni regione, quali sono sottoposti a più intensa pressione promozionale e qual’è il vero prezzo di acquisto del distributore (catena di supermercati). Una volta che una azienda entra in possesso di queste informazioni, può sapere dove posizionare il proprio brand, a quale prezzo e con quale comunicazione.
Solo dopo viene la diffusione del prodotto, e quindi la vendita.
Ma questa si rende molto difficile se non è stata compiuta una metodica e ragionata strategia di comunicazione. Non è il rapporto tra agente e compratore a risolvere i problemi della piccola azienda che vuole conquistare mercato, questo può essere un supporto alla facilità di inserimento, ma oggi chi compra deve rendere conto delle scelte a chi dirige le aziende, e spesso il margine di errore nell’inserire un prodotto che non da il ritorno desiderato (redditività per spazio occupato) è enorme, soprattutto perché vengono mal valutate le aspettative, a fronte delle quali vengono richiesti importanti denari di fee list.
L’attività di comunicazione serve proprio a dare al brand (prima ancora che al prodotto) un posizionamento che lo aiuti a trovare il giusto valore sul mercato, oltre ad entrare nella testa di chi spesso lo sente diffusamente nominare.
Tutti i manager di PR Italia sono manager o ex manager della Grande Distribuzione, e di questa conoscono ogni pregio ed ogni difetto.