
La moderna Distribuzione ha la missione di comprendere il consumatore per rispondere alle sue esigenze emozionali. Il mondo Retail, dalla moda, passando per la ristorazione ed arrivando ai supermercati, ha compiuto negli ultimi anni una profonda evoluzione rivolta ad attrarre il consumatore verso l’acquisto in ogni metro quadrato che percorre nel negozio.
Però uno dei temi più contraddittori è forse da ritenere quello relativo all’evoluzione del packaging. Il presente articolo vuole rappresentare una riflessione verso uno stile in voga oggi per cui il pack assume un valore fondamentale nel processo di acquisto del consumatore, al punto che supera talvolta, in termini di valore, il prodotto stesso.
Andiamo con ordine.
Da sempre i prodotti venduti sullo scaffale hanno avuto un contenitore che li avvolgeva, e che consentiva loro di essere riconoscibili e salubri. Successivamente, il packaging ha iniziato a promuovere il prodotto stesso, le sue qualità ed a renderlo riconoscibile. Infatti, se vuoi vendere un prodotto in un Supermercato, dovrai fare pubblicità in parte al prodotto ed in gran parte al pack, altrimenti non verrebbe visto e scelto dallo scaffale.
Fase 1 e 2
Successivamente, i prodotti a scaffale sono diventati sempre di più con i listing che superano regolarmente i delisting (v. tabella 1, fonte Nielsen L4L febbraio ‘16).
Tabella 1
Lo spazio a disposizione, per sua parte, è sempre inferiore (si aprono punti vendita sempre più piccoli) e quindi la capacità del pack di attrarre diventa fondamentale per il successo delle vendite del prodotto (in una fase iniziale, direi anche indipendentemente dalla qualità).
Fase 3

A questo punto non fa più scandalo (e invece dovrebbe) che il contenitore sia più costoso del prodotto che vende. In Giappone, come è noto, l’imballaggio dei prodotti assume una rilevanza superiore al bene in sé. E’ un fatto culturale, certo, ma produce costi davvero importanti che dovrebbero, in qualche modo, essere ridotti e non enfatizzati.
In quest’ultima fase, il contenitore è diventato più importante del prodotto anche perché il prodotto non si vede più, viene comunicato esclusivamente attraverso il suo pack.
Fase 4

Arrivati a quest’ultima fase di evoluzione, il prodotto industriale, messo ordinatamente sugli scaffali, dovrebbe fare un ulteriore salto di qualità che ancora non vedo: dovrebbe integrarsi con lo scaffale nel quale viene posizionato.
E’ capitato, in una recente visita nei supermercati UK (tutti inclusi, nessuno escluso) che i prodotti cosiddetti “Food to Go”, che sono oramai uno dei pilastri dei retail inglesi, siano stupendamente inseriti in packaging con splendide sfumature di colore, intonati con le luci dell’ambiente, con i colori sociali aziendali (molto belli tutti i prodotti Marks & Spencer e Waitrose) ma che hanno un unico grande problema: i prodotti non si vedono! Lunghi scaffali di cartoncini colorati che non comunicano assolutamente niente in termini di tipologia, differenze e varianti.
Ritorno quindi all’affermazione iniziale: la necessità di integrare lo scaffale con i packaging. Ma non sarebbe stato meglio, lavorare per mettere i pack in verticale, anziché orizzontali, posizionando i prodotti visibili e senza rischio di farli scivolare? Mi vien quindi da pensare che forse i prodotti venduti non siano così belli da vedere e che quindi si preferisca nasconderli in scatole colorate ben chiuse.
E allora, alla fine del viaggio, si ritorna al punto di partenza, anzi prima ancora. Fa sorridere e riflettere l’idea di trasformare il pack in prodotto stesso. La pizza di Vinnie’s, a Brooklyn che diventa essa stessa il suo cartoni di pizza.
Ed ecco la naturale evoluzione del processo di packaging: il pack diventa il prodotto!
Fase 5
In conclusione, il costo del prodotto rischia di diventare sempre più figlio delle decisioni marketing che riguardano il pack e questo, se ci pensate bene, è una distorsione che va oltre il normale buon senso ed in tempi come questi dove less is more, fa un po’ a pugni con il buonsenso.