Luigi Rubinelli, direttore responsabile del mensile Mark Up, ha lanciato il sasso nello stagno: in un recente editoriale ha posto una domanda che può avere varie e divergenti risposte. Il tema della Private Label è non solo di estrema attualità, ma di fronte agli entusiasmi per i successi che riscontra questo cambio strutturale dell’offerta del Trade, ci sono e ci devono essere le prime mature considerazioni. E su queste si concentra Rubinelli ponendosi una domanda che può apparire controcorrente:
“Private Label in errore?
Le private label stanno aumentando le vendite. Probabilmente, a giudizio di MARK UP, non stanno intercettando tutta la domanda di convenienza nel settore alimentare, nonostante gli investimenti di marketing. Infatti crescono molto discount, mercati alimentari, vendite dirette. Uno degli ostacoli all’intercettamento risiede, forse, nella forte differenziazione della strategia di sviluppo delle private label da quella della rete, concentrandosi sulle PL, quasi fosse un’altra azienda, con altre logiche, altre funzioni, obiettivi. Così facendo, però, le private label non sono più organiche alle strategie di insegna e alla politica di brand. Oggi, crediamo, ci sono due/tre retailer che interpretano appieno un posizionamento delle private label in modo congruente al posizionamento di insegna: Coop, Esselunga e, per alcuni cedi, Conad. Pur con una storia societaria e un approccio al cliente differenti la loro strategia è molto simile e le politiche di sviluppo e di marketing delle private label aderiscono senza strappi alle strategie del brand insegna, al completamento del disegno commerciale, alla selezione dei fornitori, all’ambientazione del pdv e al suo impatto ambientale per concorrere a creare una politica di fiducia (di trust) a 360°. Altre insegne, e non è un problema di taglia ma di filosofia, fanno fatica ad amalgamare le strategie sotto un unico cappello e in un’unica direzione, con parziali scollamenti. Altre hanno ritenuto di avere ormai raggiunto il posizionamento desiderato nelle private label e sono passate a vendere servizi (telefonia, assicurazioni) o altri prodotti extra-largo consumo (auto). MARK UP crede che sia un errore: allontanarsi dal core business e disperdere energie e investimenti in mille rivoli anziché cercare nuove strade di sviluppo e di segmentazione non servirà ad aumentare il margine e a dare un servizio concreto al consumatore. Soprattutto in un momento in cui i discount sono ormai tangenti al supermercato (il caso Lidl è illuminante) e la loro politica di marca appare molto più focalizzata di altri competitor della Gda.”
I temi da affrontare sono quindi quelli dell’analisi dell’offerta, sono giudizi sul mix retailing attualmente presenti nei PdV, e nella distinzione delle insegne. Rubinelli considera mature le Private Label di tre insegne Coop, Esselunga e talvolta Conad. Siete d’accordo? Rubinelli infine considera pericoloso l’atteggiamento di quella Distribuzione che sperimenta nuove vie di business, e bisogna dire che la difficoltà della Insim telefonica del gruppo Conad sembra dare ragione al direttore di Mark Up. Siete d’accordo?
buongiorno a tutti, ( piccolo inutile preambolo) è la prima volta che scrivo e volevo ringraziare gli ideatori di questi forum dello spazio che lasciano e dedicano alla criticità ed al pensiero di tutti su tematiche rilevanti di settore, argomenti che, ogni tanto, non sono facili da analizzare “liberamente” ed apertamente nelle aziende.
Detto ciò, io concordo in ciò che è stato riportato dell’argomento. Credo che Coop, Esselunga e Conad abbiano e una logica di posizionamento e concezione del prodotto insegna visibile, identificabile ed identificata dal consumatore, e COERENTE. Forse è proprio la coerenza orizzontale tra i mercati dettata da logiche piramidali commerciali molto ben strutturate, conosciute, relamente attuate l’arma in più che hanno avuto queste insegne. Certo è che sono partite anche tempisticamente prima rispeto le atre.. ma perchè? le altre catene vivono un pò di riflesso di queste. Ciò accade per motivi economici, strutturali e culturali, esso porta ad una scarsa conoscenza di se, e quindi mancanza di una propria identità verso il pubblico. Purtroppo il cambio di mentalità non è facile, alcune aziende della GDO sono ferme a logiche commerciali ancora di tipo grossita, e non orientato al Pdv al cliente. Lentamente stanno e sono obbligati a cambiare, ma c’è chi, appunto, lo ha già fatto da anni, ed il gap è sempre più ampio. Io credo che tra le altre insegne solo in Aspiag del gruppo Despar ci sia qualcosa di simile alle 3 menzionate, capostipite di un gruppo che porta logiche strutturate e realmente attuate, con marca insegna e di fantasia correttamente posizionate ed un disegno studiato. Personalmente, credo quindi che altri gruppi abbiano portato avanti alcune scelte di marca privata in quanto obbligate dal mercato, dalla domanda, vogliose di cogliere le opportunità di margine e volumi che ne conseguono, ma mancando di un approccio globale, posizionando il prodotto in modi diversi a seconda delle circostanze, perdendo quindi opportunità e comunicazione.