Il Gruppo Selex (A&O; Famila, C+C più altre insegne) negli ultimi due anni ha sviluppato un fatturato considerevole nell’ambito della Private Label, incrementando del 50% il suo fatturato. E’ quanto emerge da una Convention che in questi giorni si è svolta a Milano (“Convention Marche Commerciali Selex”). Erano presenti oltre 300 rappresentanti delle industrie fornitrici dei prodotti a marchio. “Lo sviluppo della marca commerciale è al centro delle nostre strategie – ha esordito Marcello Cestaro, presidente del Gruppo -. I prodotti Selex rappresentano il cuore dell’assortimento nei nostri supermercati e ipermercati di tutta Italia, l’elemento trainante e distintivo per garantire ai clienti il miglior rapporto qualità-prezzo. I risultati raggiunti fino a oggi confermano la validità di questa nostra impostazione”.
In questi tempi di crisi economica e dei consumi, la marca privata gioca un ruolo fondamentale per tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, è stato detto più volte nel corso della Convention.
“Nel 2009 – ha sottolineato Riccardo Francioni, procuratore generale di Selex – grazie anche alla riduzione dei costi di alcune materie prime, abbiamo ribassato i prezzi di vendita su oltre il 50% dei prodotti Selex, soprattutto quelli ad alta rotazione e di acquisto quotidiano. Questo, insieme a un’intensa attività promozionale focalizzata sulla marca commerciale, ci permette di raggiungere i nostri clienti con un’offerta davvero competitiva”.
Il Gruppo Selex vanta oggi più di 2.000 referenze a marca privata e si prepara ad inserirne altre 500 entro il 2011, rafforzando la sua presenza in comparti strategici, come l’ortofrutta a filiera controllata e il non food. Inoltre ampliando il portafoglio prodotti delle linee speciali, come “Selex Più” e “Selex Convenienza”.
Elemento centrale del successo della marca privata Selex, il grande lavoro che viene fatto sulla qualità dei prodotti: analisi con laboratori specializzati, panel test interni, monitoraggio costante del mercato per incontrare la domanda dei consumatori. Inoltre forti investimenti promozionali e iniziative mirate in tutti i punti di vendita.
Nel corso della Convention sono stati presentati i dati di IRI relativi alle vendite del Gruppo Selex LCC nei primi quattro mesi di quest’anno, dove si registra un aumento a parità di rete di vendita del + 2,8%, contro una media di mercato del + 0,6% e del + 11,5% a rete corrente, cioè comprese le nuove aperture, rispetto a una media del + 3,8%.
I numeri emersi dalla Convention, al di là della debole importanza oggettiva, infatti la quota della PL rimane non significativa rispetto ai leaders della distribuzione, però danno una importante indicazione: la volontà di emergere della DO. Selex infatti, come tutti i gruppi DO, è rappresentato da una moltitudine di realtà locali le quali hanno sempre visto con diffidenza la crescita della Private Label in seno al proprio fatturato. Le problematiche da risolvere sono sempre state molteplici nella gestione del prodotto a marchio a livello periferico: a partire dai cambiamenti dei fornitori locali ( assieme alle loro abitudini e storiche consuetudini di mutuo soccorso) a vantaggio di quelli caduti dall’alto per opera della Centrale, senza dimenticare che spesso la PL non è sinonimo di servizio, inteso come facile gestione dei minimi d’ordine, oppure gestione a PdV del prodotto, etc. etc. Ma quanti gruppi locali del mondo Selex sono in grado di regolare e gestire i fornitori indicati e scelti dalla Centrale Acquisti? Ben pochi, se si pensa alle realtà che lo compongono: il gruppo Brendolan, come anche il Gruppo Unicomm sono certamente in grado di sopportare i quantitativi imposti nel caso di importazioni congiunte dall’estremo oriente sul non food, o gli ordinativi non minimali del food, ma il Gruppo Abbondanza, il Gruppo GDA Group, per non parlare di quelli ancora più piccoli come fanno? Questo è il problema, che poi è l’annoso problema di tutta la DO, come si può gestire una marca commerciale senza avere i volumi? Il Gruppo Agorà qualche anno fa ha creato un CeDi che rifornisce tutte le centrali appartenenti al Gruppo, e questa può essere una soluzione, ma altra soluzione può essere anche la disponibilità del fornitore. E qui si apre un tema interessante: il follower , o il piccolo e sconosciuto fornitore che ha in se la forza manageriale ed economica per crescere potrebbe trovare spazio su questi frangenti, ma non sempre succede che emerga. Perché? Per colpa della distribuzione che con miopi buyer non si domanda chi c’è dietro l’angolo? O perché l’industria continua la sua vita di ingordi profitti? La verità sta sempre in mezzo, ed il numero della Private label della DO stenta a superare l’8%, contro il 30% dei gruppi GD internazionali ed il 20% degli autoctoni.
Premetto una cosa: le mie considerazioni sono ancora da studente, ma tutto ciò che sta dietro ai rapporti fra industria e distribuzione mi ha sempre affascinato e spero un giorno di poterci lavorare.
Non conosco ovviamente la realtà organizzativa di Selex, ma posso immaginare dove sia il problema: la frammentazione porta in seno dei problemi che alla fine della catena si riversano sui risultati operativi; è una banalità, ma ciò vale e per la distribuzione e per l’industria (parlando – in questo caso – di industria in senso aggregato). L’associazionismo visto come soluzione di tutti i problemi sta evidentemente mostrando tutti i suoi lati più deboli… e se da una parte può essere una soluzione accettabile per certe industrie (che magari hanno una produzione frammentata di beni scarsamente differenziabili, mi viene in mente ora, ad esempio, il consorzio Melinda), per realtà più complesse dove la coordinazione e le politiche time-based impattano direttamente sulle performance aziendali è una soluzione che sta mostrando i suoi limiti strutturali. Caro Dott. Meneghini, il problema forse non è solo nei buyer, ma è nella struttura in sè (ripeto, però: non conosco la realtà organizzativa e parlo in base alle mie conoscenze teoriche) e forse la standardizzazione non dovrebbe essere applicata solo alla gestione della marca insegna e alle relative politiche commerciali, ma anche a procedure, sistemi informativi e – cosa che forse potrebbe rivelarsi più difficile fra tutte – standardizzazione delle culture aziendali.
Su una cosa, però, non mi trova d’accordo: l’ingordigia di profitti dell’industria; Fra industria e distribuzione il conflitto ha come oggetto del contendere il profitto, per entrambi. E’ noto che lo squilibrio delle forze pende a favore della distribuzione (intendo la distribuzione in generale, non parlo di GD o DO) e il risultato di ciò è stata una costante erosione dei margini dei produttori a favore dei distributori. E’ come un lupo affamato che accusa un altro lupo di essere troppo affamato, non le pare?
Saluti.
MC
Salve Marco,
ho letto con interesse il suo intervento e concordo con Lei relativamente all’associazionismo ed i suoi limiti. Tuttavia la standardizzazione delle culture aziendali e dei sistemi informativi sono da un lato un obbiettivo da raggiungere, dall’altro, nell’attualità, una pia illusione. E’ vero, infine, il suo giudizio sull’erosione dei margini e sul suo spostamento, io nel mio articolo dovevo dare una doppia ipotesi, una imputabile all’industria ed una alla distribuzione, ma avevo preferito rimanere lontano dall’espressione della mia opinione personale..sino a quando non sono stato sollecitato.
Un caro saluto
Marco ti posso raccontare che non solo la do ha problemi di standardizzazione dei sistemi informativi etc, ma anche la Gd con esclusione indovinate di chi?. esselunga, bennet
questo è figlio in parte delle acquisizioni di aziende diverse negli anni, vedi le francesi, in parte per cultura, ed altre come le coop perchè ognuno è partito per conto suo e dopo si è pensati a unirsi, ancora poco tempo fa in coop avevano un sistema per ogni grande coop + uno nazionale, così il category o buyer di distretto per monitorare le vendite vendite doveva chiamare i colleghi a livello locale.
una risposta a tutto questo potrebbe venire dall’industria che in molti casi ha una conoscenza dei pv e delle logiche della categoria, ma l’approcio della distribuzione è quello di pretendere e non di cooperare per cui anche l’industria si guarda bene di condividere informazioni per non trovarsi in difficoltà quando deve negoziare.
Insomma la somma delle miopie butta via una win win situation in cui i vantaggi sarebbero per tutti distribuzione, industria e non ultimo consumatore.
Il lato più incredibile è quello dei distributori stranieri che nei loro paesi hanno questo approccio ma che in Italia hanno saputo ben adattarsi all’andazzo locale.