L’aumento del costo delle materie prime, e dei prezzi in generale, non sta risparmiando nemmeno il settore della grande distribuzione che, come tutti gli altri, anche nei prossimi mesi dovrà ancora fare i conti – in tutti i sensi – con la crisi mondiale della logistica, le incertezze sull’inflazione e la reperibilità dei prodotti trasformati. Problemi ingigantiti dalla pandemia – dalla quale non siamo ancora usciti – ma con radici più profonde capaci di influenzare l’economia mondiale.
Temi approfonditi da Fabio Scacciavillani – economista, asset manager e divulgatore di fama internazionale – nel corso dell’intervista al “Supermercato delle Idee” nella pagina linkedIn di GDONews, partita proprio da quelli che potranno essere gli scenari dei prossimi mesi.
“Questa situazione non nasce dalla pandemia ma parte da lontano – ha esordito – agli inizi degli anni Duemila con la bolla delle dot-com e il loro crollo in Borsa che ha costretto le autorità a stampare moneta. Un quadro che è ulteriormente andato in frantumi dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. L’immissione di liquidità sul mercato è così diventato il modo per affrontare ogni emergenza e anche la politica monetaria europea si è allineata con quella americana”. Fra le dot-com e il Covid c’è stato anche il fallimento di Lehman Brothers con un’altra ondata di liquidità che però non si è riassorbita negli anni successivi: “Con il Covid l’economia è andata in lockdown e la risposta è stata ancora quella di aprire i cordoni delle borse e finanziare, con la stampa di altro denaro, un’immensa spesa pubblica per i sussidi. Un’inflazione globale di cui l’America è diventata epicentro, superando il 6% (livello impensabile due anni fa) mentre la gente chiusa in casa e con un po’ di denaro in tasca ha aumentato in modo esponenziale l’offerta a fronte di una sua diminuzione, dato che molti prodotti arrivavano dalla Cina dove infuriava l’emergenza. Così quando sono state esaurite le scorte c’è stata la necessità immediata di ristoccare i magazzini, con una domanda enorme su tutto il settore manifatturiero che ha fatto esplodere la fornitura di servizi di trasporto”.
Significativo in tal senso l’esempio portato da Scacciavillani del porto di Long Beach a Los Angeles, uno dei più importanti negli Usa per l’arrivo di navi porta container dall’Asia, in cui i tempi di entrata in rada e lo scarico delle merci sono passati da un giorno a due settimane. “Questo – ha proseguito – ha avuto ripercussioni su tutto il commercio perché i container sono rimasti bloccati lì insieme alle navi. Con loro anche gli chassis (carrelli che servono per spostarli) tutti di proprietà delle compagnie di navigazione che ne hanno migliaia in porto. Chassis sui quali Trump aveva messo un dazio del 225% e che ora non possono svolgere la loro funzione. Una situazione quella dei porti che proseguirà così per almeno un anno o due”.
Dai problemi della logistica dunque a quelli del costo del petrolio: “L’energia è l’economia – ha puntualizzato l’ex membro di Fondo Monetario, Banca Centrale Europea e Goldman Sachs – c’è una perfetta identità fra lo stato del settore energetico e le condizioni economiche. Senza energia torneremmo a zappare perché la nostra economia si basa su di essa a costi sostenibili. Se raddoppia il prezzo del petrolio l’effetto sull’inflazione è evidente e non c’è settore che possa esserne immune, nemmeno quello alimentare”. “Negli anni passati – ha spiegato – negli Stati Uniti è stata sviluppata la tecnica del fracking per l’estrazione petrolifera che li ha portati ad essere il maggior produttore al mondo e quindi ad abbassare i prezzi e ad azzerare gli investimenti per la ricerca e lo sfruttamento di altri giacimenti tradizionali. Con la pandemia però c’è stato uno shock violento che nel giro di un giorno, con tutta l’economia ferma, ha portato il prezzo del petrolio in negativo. Dopo l’estate 2020 il sistema è ripartito e la domanda è esplosa, le scorte sono state esaurite e ci si è accorti che gli investimenti fatti in sette o otto anni non erano in grado di sostituire la produzione che si stava esaurendo. Inoltre in America il vento politico è cambiato e da un occhio iper favorevole verso il fracking si è passati alle nuove politiche green di Biden, mentre la Russia continua ad avere in mano il pallino in Europa essendo connessa agli oleodotti”.
Qual è dunque lo scenario sul fronte dell’inflazione? “Le banche centrali in questi anni hanno monetizzato il debito pubblico stampando moneta e tenendo il bordone ai governi che fino a pochi anni fa spendevano cifre impensabili. L’inflazione – ha ricordato Scacciavillani – è lo strumento perfetto perché l’uomo della strada non la percepisce in modo chiaro e non si accorge che di fatto è una sorta di patrimoniale con cui i governi si finanziano. In tutto questo le banche centrali hanno perso la loro indipendenza perché quando compri debito pubblico in quantità stratosferica ti metti in una situazione tale da arrivare a una bancarotta sovrana. Le banche oggi sono in piena Sindrome di Stoccolma, non possono venir fuori da logiche di monetizzazione del debito mentre le banche centrali fischiettano sperando, con un po’ d’inflazione, di aiutare i governi a pagare i debiti, togliendosi così dall’abbraccio mortale che hanno creato fra politica fiscale e politica monetaria. Di fatto mentre Lagarde e Powell sono i tosatori, la Detusche Bank recita la parte delle pecore”.
Intendendo allora l’inflazione come qualcosa di stabile e non passeggero, che ne sarà dei prezzi? “L’inflazione è l’aumento costante dei prezzi quindi se ad esempio quello del petrolio arriva a quota 100 e rimane lì, nel giro di un anno l’impatto di questo aumento si esaurisce e l’inflazione – se non ci sono altre spinte – torna su valori accettabili. Se non si innescherà una spirale prezzi-salari, nel giro di 18-24 mesi si tornerà ad una “nuova normalità”. Spirale spiegata con il precedente del 1973 quando l’inflazione dettata dal primo shock petrolifero arrivò in Italia al 20% e fu risolta dalla politica con la “Scala mobile” e l’accordo fra Lama e Agnelli che portò all’adeguamento dei salari ai prezzi. “Nei primi vent’anni di questo secolo c’è stata molta deflazione dovuta all’ingresso deflagrante della Cina nell’economia globale – ha evidenziato – una nuova realtà che beneficiava di salari bassi, grande forza lavoro ed efficienza tecnologica. La Cina produceva sempre di più a costi sempre più bassi ma questo fenomeno ora è in esaurimento”.
Così infine sulla politica cambiaria che riguarda molto da vicino anche l’industria alimentare: “Il tasso di cambio Euro-Dollaro è rimasto stabile, non è un fattore destabilizzante perché sui due lati dell’Atlantico le politiche monetarie sono simili. Questo al momento è un fattore secondario perché in Europa avendo la stessa moneta abbiamo una perfetta stabilità di cambio”.