Il mese di dicembre quest’anno è stato molto caotico, la necessità di fatturare ha obbligato ad orari impossibili i manager dell’industria e quelli della distribuzione. Siamo alle porte di un 2020 che si presenta per alcuni attori decisamente incerto: causa di tutto ciò l’uscita di Auchan dal mercato.
Conad sta vivendo un momento particolarmente delicato perchè l’acquisizione si sta rivelando più complicata del previsto. Il fronte più delicato è quello della battaglia con i sindacati che sono palesemente sul piede di guerra. Non è cosa nuova che ogni passaggio di proprietà sia un trauma per i sindacati, il mantenimento del livello occupazionale e la gestione degli ammortizzatori sociali è sempre un negoziato arcigno e sofferto con le loro controparti. In questa occasione lo è di più, dato l’altissimo numero di dipendenti coinvolti da un lato, e la metodologia Conad dall’altro. Il personale dei quasi 300 punti di vendita di proprietà si è trovato totalmente disorientato dallo spezzatino che si sta facendo dei negozi ex Sma e Auchan. Non si parla solo di cessione dei negozi ai singoli imprenditori delle varie cooperative di Conad con le loro aziende che vivendo di bassi margini e costi alti sono attentissimi a non dare gravame ai deboli equilibri dei loro conti economici. Si parla anche di cessione di punti vendita al mercato, alla concorrenza. Oggi Conad, o meglio, la società Price Water House Cooper per suo conto, dialoga con tutta la GDO per vendere (o forse è meglio dire svendere) una parte della rete ex Auchan. I sindacati non si sarebbero mai immaginati di vivere una quadro così variegato e complesso. Sono agitati ed agguerriti, sono in atto una serie di scioperi che potrebbero innescare scenari imprevedibili. L’Italia, intesa come Governo del Paese, ha sul tavolo questioni occupazionali complicatissime, ma la numerica dei dipendenti coinvolti nella cessione di Auchan a Conad è rilevante, e se esplode potrebbe innescarsi un problema di risonanza nazionale. Conad, dal canto suo, tira diritto all’interno delle regole permesse dalla Legge, senza preoccuparsi troppo delle necessità dei sindacati.
Il 2020 sarà un anno cruciale per le sorti di questa vertenza. Come sarà molto importante verificare come avverrà l’integrazione dei negozi con la propria rete, soprattutto gli ipermercati.
E’ possibile che Auchan, prima di andarsene, abbia lasciato una cospicua somma a copertura delle perdite dei primi tempi della nuova gestione (dichiarazione dei sindacati), ma questo non è sufficiente. Oggi esiste la società Margherita, ex Auchan, che attraverso delle bollenti negoziazioni con i fornitori dovrà trovare risorse per coprire le eventuali perdite del “passaggio di consegne”. Questa è l’altra tensione, questa volta con l’industria. Pare che siano molte le aziende che stanno rispondendo “picche” alle richieste a loro rivolte, sarà interessante verificare come si risolveranno le trattative e le loro conseguenze.
Ma il vero problema che l’uscita di Auchan ha creato è quello dei contratti nazionali di quella DO che stava sotto il suo cappello.
Si pensava che le aziende coinvolte sarebbero state capaci di unirsi, ma così non è stato: si è preferito andare in autonomia. CRAI, che si era fatta promotrice di un progetto di unione della DO, Levante, non ha poi trovato dietro a sé il “plotone” dopo lo scatto in salita, per usare una parafrasi ciclistica, ha alla fine deciso di accasarsi sotto il tetto Margherita, ex Auchan, forte di un contratto già in essere e dove uno degli attori è subentrato. In teoria non dovrebbe cambiare molto per CRAI rispetto al passato, sempre e quando la medesima Margherita non paghi le tensioni che sta provocando con i fornitori per le sue questioni interne.
I gruppi C3 e D.iT hanno deciso di correre da soli. Sarà una impresa molto coraggiosa ma non impossibile. I rischi che si presenteranno alle porte saranno diversi: da un lato l’industria metterà in discussione il punto di partenza, il contratto Auchan, rimodulando un’offerta adatta al peso specifico delle aziende che incontrerà sul mercato. Dall’altro i due Gruppi Nazionali in teoria avrebbero moltissimo da offrire: è fuori di dubbio che sia D.iT che C3 hanno associate imprese locali che detengono interessanti quote di mercato nei loro territori, e non è conveniente per l’industria snobbare queste realtà.
Ma l’industria è notoriamente più abile e più agile del retail, come una automobile in autostrada rispetto da un TIR. Con la sua velocità l’industria tenterà di scavalcare la Centrale per accordarsi direttamente in periferia, investendo direttamente sui territori, ovvero sui negozi.
Se i Gruppi Locali che appartengono alle due Centrali rifiuteranno qualsiasi iniziativa in periferia, facendo quadrato con la Centrale, l’industria sarà costretta a cedere ed a rispettare le volontà dei negoziatori incaricati. Se invece la periferia non si presterà al rispetto delle indicazioni che arriveranno dall’alto i rischi di andare indietro con i contratti, e quindi con i margini, e quindi con la competitività sul mercato, sono altissimi, anche perché, dall’altro lato, Aicube sta inglobando una grande parte della DO rimanente e si presenterà molto agguerrita ai tavoli delle negoziazioni.