La società di investimenti Bespoken ha messo a punto l’indice “Death by Amazon”. Misura l’andamento di 54 società di retail tradizionale e dopo l’acquisto di Whole Foods da parte di Amazon è crollato. Sono tempi duri, ma c’è chi, come Best Buy, ha imparato a convivere con il gigante dell’e-commerce
Amazon cresce, si espande e ha un impatto sempre maggiore sul retail tradizionale, se questo non si aggiorna e non trova delle tattiche di sopravvivenza adatte al Ventunesimo secolo. Ma quanto è grande questo impatto? Un’indicazione arriva da un indice messo a punto dalla società di investimenti Bespoken, negli Stati Uniti. Il nome dell’indice è lugubre, di sicuro effetto mediatico: “Death by Amazon”, morte a causa di Amazon. Se ne torna a parlare molto (di recente lo ha fatto il Wall Street Journal) perché questo indice è sceso ai valori minimi dal maggio 2014, nonostante Wall Street continui a macinare record. A causare l’ultima discesa è stato l’annuncio da parte di Amazon dell’acquisto della catena di cibo di alta qualità “Whole Foods”, per 13,7 miliardi di dollari. In quello che è stato definito “venerdì Whole Foods”, riecheggiando i vari “venerdì neri” del passato, l’indice è sceso del 4 per cento. Hanno patito società come la catena californiana Smart & Final Stores (-19%), Kroger (-9,2%), ossia la più grande catena di supermercati degli Usa e il secondo retailer per quota di mercato nel grocery dopo Wal-Mart, che pure quel giorno ha visto una discesa del 4,7 per cento del titolo. Sono stati cali dettati più dalla sensazione che Amazon non si lascerà scappare l’occasione di sfruttare al meglio la sua rafforzata presenza nella distribuzione fisica, più che dalla conoscenza di piani precisi, oggi riservati.
L’indice, in ogni caso, aveva cominciato a mostrare la sua debolezza ben prima dell’operazione Whole Foods. Il punto di partenza preso da Bespoken per monitorare l’andamento delle azioni è il febbraio 2012. Da allora l’indice S&P 1.500 è salito dell’81 per cento, quello delle società dell’indice “Death by Amazon” di solo il 20,8 per cento (dati allo scorso 19 giugno). Le azioni di Amazon nel giugno 2012 valevano 228 dollari, oggi ballano attorno ai mille (poco meno del +400%).
Nel listino di Bespoken sono compresi 54 titoli di retailer “tradizionali”, ossia che hanno una presenza online relativamente limitata e che vendono soprattutto prodotti di terze parti, rispetto al private label. Tra i nomi più noti ci sono quelli di Wal-Mart, Walgreen, Target, Macy’s, J.C. Penney, Kohl’s, Costco, Gamestop, Best Buy e Barnes & Nobles.
Alcuni dati di diverse società di ricerca, raccolti da Usa Today il 26 giugno, danno l’idea di cosa stia succedendo. Se si considerano tutte le vendite di prodotti online, la società di Bezos ha il 43% di quota di mercato. Sono dati che sommano i prodotti venduti direttamente da Amazon e quelli di terze parti appoggiate al sito e che pesano all’incirca in parti uguali. Rispetto al mare magnum del commercio al dettaglio, stiamo però ancora parlando di una frazione. Nel primo trimestre 2017 le vendite online hanno pesato per l’8% del commercio al dettaglio, secondo i dati del Department of Commerce statunitense. La presenza della società di Seattle varia molto al variare delle categorie di prodotti. Nei libri, primo amore del sito, c’è la quota più alta: su Amazon viene venduto il 42% di tutti i libri fisici degli Usa, librerie comprese, quota che sale al 75% per gli ebook e al 90% per gli audiolibri, secondo di dati di AuthorEarnings.com. Nei vestiti è relativamente più indietro ma corre: secondo gli analisti di Cowen, Amazon ha il 6,6% di quota di tutto il mercato dei vestiti americano. Ma già alla fine di quest’anno la quota dovrebbe salire all’8,2% e tra cinque anni al 16,2 per cento.
E nell’alimentare? È ancora più indietro, per ora. Sempre Cowen stima che la quota di mercato di Amazon sia ben al di sotto dell’1%. Wal-Mart ha il 14%, Kroger il 7%, mentre il neo-acquisto Whole Foods l’1,2 per cento. Ma le preoccupazioni dei reatailer tradizionali risiedono nel trend, perché Amazon in due anni potrebbe arrivare al 3% di quota di mercato. Oggi l’online grocery pesa solo per il 2% del totale degli acquisti, ma la crescita nel 2016 negli Usa è stata del 44,6 per cento. La quota di Amazon, nel grocery online, è di un quinto ma l’acquisto di Whole Foods potrebbe portare a un’accelerazione.
Il trend, peraltro, è in forte crescita anche in Italia. Secondo l’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, presentato il 28 giugno, il “food&grocery” online vale in Italia 812 milioni di euro nel 2017, in salita del 37% rispetto al 2016. C’è stato un boom nella ristorazione (+67% e valore di oltre 200 milioni). Il primo segmento (257 milioni di euro, +13%) rimane l’enogastronomia. Il grocery, cioè i prodotti da supermercato, valgono 240 milioni (+57%), in un mercato ancora trainato dagli operatori tradizionali.
Il messaggio, che ci sia ancora spazio per i retailer tradizionali, è ripetuto a chiare lettere anche dalla stessa società Bespoken. Che nel presentare i dati dell’indice “Death by Amazon” riporta le storie positive di Best Buy e di Nordstrom.
Best Buy è un retailer di elettronica di consumo, categoria di venditori che più ha sofferto la concorrenza dell’ecommerce, assieme alle librerie. Tra le varie vittime negli Usa si segnalano Radio Shack e Circuit City. Eppure Best Buy, rispetto ai valori minimi del 2012, ha segnato una nettissima ripresa del valore delle azioni (passate da 11 a 48 dollari). La chiave per la ripresa? Secondo Bespoken è stata non inseguire Amazon sul prezzo e investire sul servizio, a partire dalle sue “Geek Squad”, sull’esperienza nel negozio e dagli investimenti in tecnologia. In questo modo ha potuto mantenere dei margini accettabili pur in presenza di vendite piatte.
Nordstrom è invece un esempio positivo di come possa reagire un’altra categoria sotto assedio, quella dei “department store” (quella della Rinascente e Coin, in Italia, per capirci). In questo caso la tenuta di Nordstrom è figlia non solo di servizio e di esperienza in negozio, ma anche della vendita di prodotti esclusivi e private label, che i clienti non possono trovare altrove. Un ruolo fondamentale ce l’ha anche la tecnologia, specialmente dopo l’acquisto di Trunk Club e Hautelook, per aumentare la propria piattaforma di vendite online, che oggi valgono un quinto dei ricavi totali della società.
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