Secondo uno studio dell’Università Cattolica il traguardo potrebbe essere tagliato già nel 2020. Il 2015 si è invece chiuso a quota 36,9 miliardi con una crescita dell’8%. Iran e Argentina sono i due nuovi mercati di frontiera
Marco Frojo
Obiettivo 50 miliardi di euro per l’export alimentare italiano Il settore alimentare italiano ha tutte le carte in regole per superare la soglia dei 50 miliardi di euro di export nel 2020. Di questo è convinto Fabio Antoldi, direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale dell’Università Cattolica, che all’evoluzione di questo importantissimo comparto per l’economia italiana (58mila imprese per un fatturato complessivo di 133 miliardi di euro) ha dedicato il libro “Strategie e performance dell’industria alimentare”, edito da McGraw-Hill e realizzato con la collaborazione di Daniele Cerrato e Antonio Campati. Il 2015, anno che ha registrato il successo di Expo2015, si è chiuso con vendite all’estero pari a 36,9 miliardi di euro, un valore in crescita dell’8% rispetto a dodici mesi prima.
“L’internazionalizzazione denota inequivocabilmente il Dna delle imprese di successo, un processo non recente e che si sta allargando: stanno comparendo nuove direttrici di export che sono prevalentemente Stati Uniti, Canada e mercati asiatici – spiega Antoldi – A ciò si associa spesso una notevole capacità innovativa, incrementale non radicale, che si manifesta soprattutto nel packaging, nei nuovi formati e nel lancio di nuovi prodotti. Mediamente le imprese d’eccellenza presentano tre, quattro innovazioni all’anno, puntando sulla qualità, ma anche sulla tradizione perché si tratta per la maggior parte di aziende familiari dove le generazioni che si susseguono garantiscono una certa continuità”. Per giungere a queste conclusioni, lo studioso dell’ateneo milanese ha rielaborato i dati di bilancio di ben 448 imprese e ha inviato un questionario a 120 di esse, scelte fra quelle caratterizzate da maggiore competitività.
L’azienda tipo che riscuote maggior successo è di grandi dimensioni e con una forte vocazione all’investimento e alla crescita. Le aziende di maggior successo puntano su “qualità del prodotto”, “caratterizzazione del Made in Italy del prodotto” e “qualità delle materie prime”. Per il triennio 2015-2017 le priorità di investimento sono “migliorare la qualità del prodotto”, “aumentare la capacità produttiva”, “aumentare il livello tecnologico” e “sviluppare e lanciare nuovi prodotti”. Per far fronte alla crisi, infine, le aziende intervistate hanno puntato soprattutto su “innovazione dei processi produttivi” e su “ricerca e sviluppo di nuovi prodotti”. Con questa ricetta il settore ha complessivamente reagito bene alla difficoltà degli ultimi anni facendo registrare una crescita media annua del 3,87% nominale nel periodo 2007-2013, una performance conseguita in parte sacrificando i margini.
Dopo l’esposizione universale milanese, per il settore alimentare c’è già in calendario il prossimo importante appuntamento, la fiera Cibus di Parma (9-12 maggio), durante la quale si potrà già verificare la tendenza dell’export nel 2016. “In maggio a Parma 3.000 espositori, tutti rigorosamente espressione del Made in Italy alimentare, daranno al mondo una rappresentazione straordinaria del nostro patrimonio di competenze lungo tutte le filiere, della nostra capacità di innovare valorizzando tradizione e territorio, dell’unicità antropologica del nostro tessuto imprenditoriale e manifatturiero – afferma Antonio Cellie, Ceo di Fiere di Parma – Ma il nostro lavoro, insieme a Federalimentare ed Ice, continua anche immediatamente dopo questo Cibus dei record intensificando le iniziative di marketing collettivo, in Italia e nel mondo, sempre dedicate alle aziende italiane che vogliano accelerare il loro sviluppo nei diversi Mercati Obiettivo”. Adesso i due più promettenti sono l’Argentina e l’Iran. Quest’ultimo è interessante soprattutto per i produttori di macchinari, mentre il primo per i prodotti alimentari finiti.