C’è già chi si chiede quando Poundland arriverà anche in Italia, dove ci sono già negozi, poco più di botteghe, che vendono tutto a un euro o anche meno. Ma la particolarità della catena di supermercati britannici sta nel fatto che, invece di limitarsi a cancelleria e oggetti vari, sono discount veri e propri, con generi alimentarari, detersivi, prodotti per l’igiene personale e tutto quello che propongono i punti vendita esistenti. Altra particolarità, forse più importante della prima: qui tutto costa una sterlina, se non frazioni inferiori.
La prima esperienza all’estero sarà in Spagna
La formula, a giudicare dai 25 anni di storia di Poundland (il fondatore è Steve Smith che nel 2000 ha ceduto la sua “creatura” per 50 milioni di sterline all’attuale proprietà), sta funzionando dato che ha raggiunto un fatturato pari a un miliardo di sterline, circa un miliardo e 400 milioni di euro. Forte di 600 negozi che si punta quasi a raddoppiate facendoli arrivare nel Regno Unito a un migliaio, secondo il Guardian Poundland sta pensando anche all’avventura all’estero, a partire dalla Spagna. Inoltre la società starebbe trattando per rilevare un’altra catena, 99p, quella che in 250 punti vendita propone ogni oggetto a 99 penny.
Coldiretti: aumenta la spesa negli hard discount
Una migliore strutturazione di un’offerta del genere potrebbe trovare buone risposte in Italia dato che, in base a dati Istat elaborati da Coldiretti, i consumatori sempre più si orientano verso le catene di hard discount e a low cost. Nel 2014, infatti, l’incremento degli acquisti alimentari in questo settore è stato del 5,6% mentre la media della grande distribuzione non è andata oltre il 3,5 e nelle botteghe non ha superato lo 0,6.
Il 18% del reddito degli italiani va in cibo
Inoltre il cibo rimane la percentuale più elevata della spesa, quella che più incide sul reddito. Lo conferma un’indagine dell’Adoc (Adoc), che su media mensile, ogni mese, ciascuna famiglia spende 457 euro, 10 euro circa in più rispetto alla media europea nonostante il livello degli stipenti degli italiani sia del 25% inferiore se confrontata con gli altri Paesi del continente. A livello relativo, si tratta del 18% delle entrate che vanno in alimenti.