La settimana appena trascorsa va ricordata come quella in cui un’insegna leader agli albori della storia della Moderna Distribuzione è riapparsa sul mercato per sostenere e superare, con la sua gloria, le incertezze e le debolezze del presente. Chi ha più di 45 anni non può non ricordare l’insegna “Vegè”. Era quell’insegna che si incontrava fuori dai piccoli negozi del quartiere, la bottega, quella dove, quando eravamo bambini, lasciavamo su un foglio scritto da pagare per la mamma che una volta alla settimana saldava il conto delle merende pomeridiane. E’ opinione comune che nei periodi di crisi, come quelli che si stanno vivendo da diverso tempo, il legame alla tradizione sia uno degli strumenti più efficaci per superare il presente nella speranza di un futuro migliore. Questa teoria diventa pratica nella logica del Gruppo Interdis che dalla scorsa settimana si chiama Vegè.
Al di là delle finezze di marketing, pur apprezzabili come il rifiorire di un’insegna storica, che ha costruito le fondamenta della Moderna Distribuzione, che ricorda in maniera sensibile una Italia che aveva una sua ragione d’essere nel mondo europeo e mondiale, i cui tratti distintivi si sfogavano nella crescita dell’industria di Marca e di conseguenza della Moderna Distribuzione, e che viene rispolverato, ringiovanito, modernizzato, ci si domanda: cosa si incontra nella sostanza? Quale valore aggiunto porta questo cambio?
Nella strategia di Vegè, si suppone, ci siano due obiettivi: uno incrementare le quote di mercato attraverso nuove adesioni di imprese territoriali, oppure incrementare i fatturati attraverso un incremento delle vendite delle imprese attualmente appartenenti, quindi intervenendo sul consumatore finale.
Il secondo caso non può essere l’obiettivo della strategia per la semplice ragione che il Gruppo nazionale (quello che si chiamava Interdis) adesso si chiama Vegè ma, come dichiarato dal dott. Santambrogio, continuerà l’autonomia delle aziende a proseguire il loro mestiere con le insegne Dimeglio, Migross etc etc. Quindi, a parte il caso in cui un’azienda non decida di cambiare insegna, cosa piuttosto improbabile almeno a medio e breve termine, il consumatore non verrà toccato dalla ventata di novità.
Il secondo obiettivo è quello di acquisire nuove imprese associate. Conoscendo i protagonisti della distribuzione nazionale quello che può convincere ad aderire ad una Centrale Nazionale sono essenzialmente tre cose: ottimi contratti, buona strategia, bassi costi. In teoria il naming “Vegè” si inserirebbe nella seconda casistica, la buona strategia, ma a parte il nome di cosa si sta parlando?
Il Network: la logica della Private Label
Una cosa invece va rilevata: l’idea di creare un network, più che un brand, a rappresentanza della Private Label, che in maniera trasversale si può spalmare dentro i negozi aventi diverse insegne, è un’idea che in Italia ha una sua ragion d’essere. Interdis, perdon, Vegè ha pensato bene di dirigersi verso l’unica direzione che le permette di creare masse di fatturato sufficienti per dare una propria distintività assortimentale ai supermercati appartenenti alla Centrale. Il Petalo, ovvero il tratto distintivo della PL di Vegè, è un buon compromesso per ottenere tali obiettivi. Selex, ad esempio, che continua ad sviluppare due marche private (Selex e Vale) per risolvere il contraddittorio nelle sovrapposizioni territoriali, di fatto creare figli legittimi e figli illegittimi (o assortimenti legittimi ed illegittimi) date le diverse distribuzioni di fatturati. In Italia la logica del Network è assolutamente inevitabile per chi professa la politica della “multi insegna”. A dire le cose come stanno la prima azienda della GDO a comprendere che la logica del network era vincente è stata Sigma che nella convention al Teatro Manzoni del Marzo 2012 presentava la logica della Moderna strategia delle centrali nazionali. Il Petalo è una conferma di un concetto che a quel tempo non tutti avevano chiaro: l’Italia, la sua straordinaria cultura enogastronomica, così varia e profonda, deve per forza di cose essere rappresentata in profondità nei singoli territori, e la frammentarietà di aziende e di insegne sono una logica conseguenza della nostra storia. Per unificare le culture e creare una logica di Private Label è imprescindibile la filosofia della molteplicità delle insegne sul territorio e dell’armonia di un network che con la sua diffusione ne legittimi la notorietà. Vegè ha copiato, sulla strategia della PL, un modello di successo, quello di Sigma, che con i risultati ottenuti ne conferma la bontà della direzione.
Egr. Meneghini,
Le sue riflessioni sono sempre approfondite
Io ero presente alla serata e come altri colleghi dell’industria abbiamo fatto fatica a capire il concetto di rivoluzione che era stato lanciato prima della convention
Il messaggio cardine e’ raggruppiamo tutti gli imprenditori possibili sul territorio per fare massa critica. Ma e’ possibile pensare ancora a una centrale con 25, 30, 40 soci che vanno dai 10 ai 400 milioni di euro ?
Se questa e’ innovazione noi dell’industria non abbiamo capito nulla del mondo retail e forse non lo capiremo mai