
Questo articolo richiama l’attenzione sull’importanza degli aspetti legali per le aziende che affrontano (o intendono affrontare) lo sviluppo internazionale. La volontà è quella di analizzare brevemente la posizione di partenza delle aziende italiane, le implicazioni legali nella crescita per acquisizioni e le due filosofie di base delle aziende riguardo alle attività di natura legale.
Premessa
Per le imprese manifatturiere e per quelle che operano nella distribuzione, l’espansione internazionale è una possibile direttrice di sviluppo. Nel caso dell’Italia ci sono però alcune particolarità che condizionano fortemente la fattibilità e le modalità con cui lo sviluppo all’estero può essere effettivamente perseguito, specialmente per ciò che attiene alle problematiche della distribuzione nei Paesi esteri.
Le aziende italiane hanno degli innegabili punti di forza, spesso non sufficientemente sfruttati, ma risentono anche di pesanti limiti, in parte superabili con l’approccio giusto.
Questo articolo tratta degli aspetti legali, che influiscono grandemente sulla concreta fattibilità dei piani di espansione all’estero, con una particolare attenzione alle questioni rilevanti per le aziende italiane che operano nella GDO e per quelle manifatturiere che servono questo canale.
Perché la GDO e i suoi fornitori devono affrontare bene gli aspetti legali internazionali?
Ci sono diverse buone ragioni per considerare fin da subito gli aspetti legali nei piani di sviluppo internazionale: inquadriamo prima il problema dal punto di vista strategico e operativo.
Le implicazioni strategiche e operative
Com’è noto, la competizione nell’ambito della GDO si gioca non solo a livello di catena in ambito regionale o nazionale, ma anche a livello di singolo punto vendita in ambito locale.
Affrontare lo sviluppo all’estero significa essere pronti a competere anche a livello internazionale, il ché introduce un ulteriore livello da gestire non solo a livello strategico, logistico commerciale e e operativo, ma anche a livello amministrativo, finanziario e legale.
A ciò si aggiunge anche la storica contrapposizione tra gli interessi del comparto manifatturiero (che puntano a sviluppare una fedeltà alla marca (brand fidelity) e quelli del canale distributivo, che punta a sviluppare la fedeltà ai punti vendita (store fidelity): nel caso di sviluppo all’estero, ciò comporta delle importanti implicazioni che coinvolgono anche gli aspetti legali (si pensi alla tutela della proprietà intellettuale, alla regolamentazione amministrativa, alla responsabilità da prodotto, alla concorrenza sleale, alla contrattualistica, alla logistica e ai trasporti, ecc.).
La posizione di partenza in ambito internazionale
Anche se le aziende italiane hanno un forte appeal per diversi comparti merceologici e di servizi, devono comunque competere su più livelli, e devono farlo con concorrenti di dimensioni più evolute, che godono di maggiori economie di scala, e con più esperienza in ambito internazionale.
Le sinergie operative e le economie sulla logistica giocano un ruolo fondamentale per conseguire uno sviluppo che possa apportare risultati economici marginali migliorativi in tempi brevi.
Sotto questo profilo, la più naturale direttrice di sviluppo per le aziende italiane è rappresentata dai Paesi limitrofi alla propria area di riferimento geografica. Anche i Paesi nei quali il parco fornitori è ben rappresentato sotto il profilo strategico possono costituire un’alternativa alla posizione geografica limitrofa.
Il vero problema per le aziende italiane, però, è rappresentato dalla notevole frammentazione delle culture, delle lingue parlate e dei sistemi normativi nazionali dei Paesi europei: una vera barriera alle economie su molte attività primarie e di supporto (packaging, comunicazione, promozione, sistemi informativi, contratti di lavoro e altri, autorizzazioni amministrative, approvvigionamenti, ecc.).
Si consideri che nei 28 Paesi membri dell’Unione Europea si parlano ben 24 lingue ufficiali,[1] che comportano diseconomie nei costi necessari ad affrontare diverse attività.
Ma allora le aziende italiane della GDO sono destinate a rinunciare allo sviluppo internazionale?
La risposta è no. O meglio, dipende. Dipende da fattori competitivi e di mercato, la cui valutazione costituisce il nucleo delle competenze del management della GDO. Ma dipende anche dall’approccio e dalla impostazione degli aspetti organizzativi, amministrativi e legali che si adottano prima di affrontare lo sviluppo internazionale. Facciamo un esempio pratico.
La crescita per acquisizioni
Proprio per la notevole frammentarietà delle culture, delle lingue e dei sistemi normativi, in Europa la modalità di sviluppo internazionale più logica è quella delle acquisizioni di operatori esteri.
Questa modalità non è scevra da aspetti problematici, che si manifestano fin dalle prime fasi: dalla identificazione e selezione delle realtà target da acquisire, alla valutazione del livello di integrabilità strategica, all’analisi delle sinergie conseguibili, alla determinazione del prezzo, alla finanziabilità dell’operazione, alla valutazione della qualità del management, all’analisi competitiva e al grado di possibile integrazione delle attività nell’ambito del gruppo. E poi la gestione delle risorse umane, la struttura organizzativa, l’elaborazione dei piani strategici integrati, i rapporti con i fornitori per gli approvvigionamenti e per le attività logistiche, l’integrazione dei sistemi informativi, ecc.
Ma ancor prima di affrontare e risolvere tutti questi aspetti, si entra negli aspetti legati alle differenze culturali, linguistiche e dei sistemi normativi: già prima di iniziare, occorrerà affrontare e svolgere (in lingua estera) numerose attività di natura legale relative a vari aspetti, ecco qualche esempio:
- tutela della riservatezza e confidenzialità delle informazioni (a mezzo di Confidentiality agreement o NDA, cioè non-disclosure agreement)
- lettere di intenti (LOI, cioè letter of intent, o MOU, cioè memorandum of understanding)
- regolamenti di data-room e attività di due diligence anche di natura legale e fiscale
- delibere assembleari inerenti alle possibili operazioni
- covenants richiesti da parte degli eventuali finanziatori e imposti al management della target
- contratto preliminare (preliminary agreement)
- costituzione della eventuale newco o società veicolo (SPV, cioè special purpose vehicle)
- contratto di acquisto delle quote o azioni (SPA, cioè share purchase agreement)
- impostazione e strutturazione della pianificazione fiscale internazionale e relative eventuali attività di interpello e ruling, nonché degli adempimenti fiscali (transfer price, normativa sulle CFC, cioè Controlled Foreign Companies, Intrastat, reverse charge, norme antielusive, trattamento delle operazioni con paesi in black-list, convenzioni contro le doppie imposizioni, world-wide taxation e consolidato mondiale, trattamento delle royalties, degli interessi, ecc.
- adempimenti anti-trust e verifiche di compliance con la normativa speciale a livello nazionale
- responsabilità precontrattuale e contratti con i vari soggetti coinvolti nelle attività
Come si vede, anche valutare un’operazione di acquisizione coinvolge fin da subito numerosi aspetti di natura giuridica: affrontarli bene consente di ridurre la superficie di attacco legale e quindi di contenere il livello di vulnerabilità ai rischi di natura legale.
Ora si presenta spontanea un’altra domanda: come identifichereste, e con quali criteri scegliereste, i consulenti esteri che vi devono assistere? La risposta non è facile e dipende da molti fattori.[1]
Le due filosofie di base delle aziende riguardo alle attività di natura legale
Le attività legali si possono essere vedere da due angolazioni differenti: come un costo, o come una modalità per guidare il processo di negoziazione negli affari.
Le aziende che le considerano un costo, tendono a scaricarne gli oneri sulle controparti. Così facendo, però, devono subire gran parte delle previsioni che le controparti predispongono nel testo contrattuale: si dovranno accontentare di tentare di negoziare alcune di esse, ma la maggior parte gli verrà imposta senza possibilità di effettiva variazione. Non c’è niente di peggio che subire un testo contrattuale predisposto da altri: se è redatto male, porterà con sé un sacco di problemi che si manifesteranno non appena subentrano criticità nel rapporto; se è fatto bene, si può stare tranquilli che non è certo a svantaggio di chi lo ha predisposto.
Le aziende che considerano le attività legali come una leva strategica per guidare le negoziazioni relative ai loro affari hanno un approccio antitetico al precedente: anziché considerare le attività legali alla stregua di un costo, le considerano un investimento per tutelare il valore aziendale, preservandolo da inutili rischi e da responsabilità che possono essere evitate o limitate se si gestisce attivamente la redazione dei testi contrattuali.
E’ un aspetto su cui si dovrebbe riflettere a fondo: come ha scritto un noto guru di marketing «Le aziende si preoccupano troppo di quanto costa fare. Dovrebbero preoccuparsi, invece, di quanto costa non fare.»[2]
Conclusioni
Molte aziende italiane hanno finora sottovalutato le potenzialità di sviluppo all’estero, e spesso hanno utilizzato un approccio «try and see» che non garantisce certo risultati ottimali.
Sotto il profilo della pianificazione strategica, non si può prescindere dai presupposti strategici e di mercato, ma basarsi solo -o quasi esclusivamente – su questi è pericoloso.
Le implicazioni di natura legale (e fiscale), oltre che quelle relative a tanti altri aspetti (organizzazione, risorse umane, logistica, sistemi informativi, ecc.) sono ugualmente cruciali per il successo.
Sotto il profilo temporale, gli aspetti legali devono essere considerati addirittura prima di quelli strategico-operativi, perché già nelle primissime fasi una errata o non soddisfacente gestione degli aspetti legali può comportare rischi e responsabilità rilevanti (anche di natura precontrattuale) che si possono evitare.
Le attività di natura legale possono essere viste come un costo o come una leva strategica. Specialmente nell’ambito dello sviluppo internazionale, le aziende devono anticipare la pianificazione delle attività legali rispetto alle prime attività di ricerca e di contatto.
[1] Ad esempio, l’autore ha collaborazioni con più di 80 studi legali in oltre 50 paesi esteri.
[2] Philip Kotler, considerato il massimo esperto mondiale di marketing
[1] Nei 28 Paesi membri dell’Unione Europea, si parlano le seguenti 24 lingue ufficiali:
- Bulgaro – Bulgaria
- Ceco – Rep. Ceca, Slovacchia
- Croato – Croazia, Italia, Austria
- Danese – Danimarca, Germania
- Estone – Estonia
- Finlandese – Finlandia
- Francese – Francia, Belgio, Lussemburgo, Italia
- Greco – Grecia, Cipro
- Inglese – Regno Unito, Irlanda, Malta, Paesi Bassi
- Irlandese – Irlanda, Regno Unito
- Italiano – Italia, Slovenia, Croazia
- Lettone – Lettonia
- Lituano – Lituania
- Maltese – Malta
- Olandese – Paesi Bassi, Belgio
- Polacco – Polonia
- Portoghese – Portogallo
- Rumeno – Romania
- Slovacco – Slovacchia, Rep. Ceca
- Sloveno – Slovenia, Austria, Italia, Ungheria
- Spagnolo – Spagna
- Svedese – Svezia, Finlandia
- Tedesco – Germania, Austria, Lussemburgo, Italia, Belgio
- Ungherese – Ungheria, Austria, Romania, Slovenia, Slovacchia