La crisi economico finanziaria, oltre ai conosciutissimi problemi di fatturati, ha portato una importante novità: è cambiato il modo di negoziare, ma ancor di più, è cambiata la maniera in cui distribuzione ed industria si relazionano. Sino a poco tempo fa le relazioni commerciali erano fondamentali, le capacità di relazione interpersonale, unite all’adeguatezza dell’offerta ed alla capacità recondita di negoziare erano la base del successo tra imprese. Oggi la base del successo tra imprese è determinata dalla capacità di relazionarsi in termini finanziari. La contrapposizione manageriale tra chi aveva competenze commerciali e chi aveva competenze amministrative è sempre stata nota, ed i commerciali hanno sempre sofferto i limiti imposti da direttori generali di provenienza amministrativa. Il commerciale ha in sé l’obbiettivo di aumentare le vendite, di migliorare le performance, i clienti, sempre con un occhio ai ritorni economici ma non così a fuoco quanto la riuscita degli obbiettivi prima elencati. Gli amministrativi dal canto loro hanno sempre sofferto la “superficialità” dei commerciali nell’adempiere al loro dovere senza avere quel rigore finanziario necessario per una serena sopravvivenza, ed il dualismo è stato negli ultimi anni sedato dai successi dei commerciali, che hanno sempre avuto ruoli su palchi privilegiati. Oggi, di fronte ad una crisi di liquidità così grave, e di fronte ai fallimenti sempre più copiosi che invadono il campo di battaglia del mercato, gli eventi e le abitudini stanno cambiando. Se ne accorgono gli stessi manager commerciali che sino a ieri avevano come tema unico e dominante nelle trattative quello delle migliori performance (di margine, di fatturato, di penetrazione, di quote di mercato) ed oggi hanno come tema dominante quello finanziario. Il problema è che nessuno ci capisce nulla. Di colpo, ascoltando qualche amministrativo illuminato (o presunto tale), ci si è trovati a vivere trattative commerciali che hanno come base di discussione fidi, assicurazioni del credito, timori di somministrazione, senza avere la dovuta “maneggevolezza” del tema. Lo stesso dilagare delle arcinote assicurazioni del credito la dicono lunga sullo sforzo limitato dell’industria di saper fare business con la distribuzione. Ma lo stesso si dica relativamente alla capacità della Distribuzione di saper produrre prodotti a marchio d’insegna: quante aziende produttrici falliscono ogni anno? Troppe. Non si creda che le conseguenze di tali avvenimenti sono di poco conto, il prodotto a marchio erode quote ai grandi Brand giorno dopo giorno, la medesima distribuzione investe capitali importanti in comunicazione del proprio Brand, lo stesso consumatore, anche per risparmiare denari (ma non solo) si auto-elegge sempre più selettore di prodotti a marchio d’insegna. Un fallimento significa un cambio: di prodotto, di gusto, e soprattutto significa attesa e scaffali potenzialmente vuoti per periodi rilevanti. Molta distribuzione non ha ancora compreso come gestire questo fenomeno che ha di fatto conseguenze gravi, solo Conad si è preoccupata di verificare lo stato di salute dei propri fornitori di prodotto a marchio con sistemi di controllo che siano molto più profondi di obsolete analisi di bilancio (l’ultimo bilancio disponibile è di fatto uno strumento obsoleto). In una recente intervista a GDONews il direttore amministrativo di Conad il dott. Mauro Bosio alla domanda su quanti fornitori di prodotto a marchio falliscono ogni anno ha dato una risposta davvero sorprendente: “Nessuno dal 2006. Però in via preventiva ogni anno ne sostituiamo una decina”. La materia finanziaria è una materia seria e complicata, e non basta una analisi di un bilancio per dare la sentenza, è troppo facile smettere di fare business, per questo le assicurazioni del credito o tutte quelle aziende che svolgono questo tipo di attività consulenziale non possono essere la risposta ai problemi del mercato, infatti la valutazione del problema finanziario e la conseguente analisi sul cliente (o affiliato) devono più seri e profondi. I manager commerciali sono destinati a rivedere la propria sfera di influenza, il loro ruolo deve essere necessariamente ridimensionato, il loro operato deve succedere ad una analisi finanziaria moderna e profonda che in quanto tale non può avere come deus ex machina un manager amministrativo che si basi su consulenze aventi ad oggetto analisi di bilancio. In tale maniera alimenteremo tutti il virus dell’ignoranza che non porta a nulla di buono.