L’articolo della scorsa settimana sul cambio delle abitudini dei consumatori, e di conseguenza dell’esigenza di aggiornare gli assortimenti della Distribuzione alimentare in funzione delle nuove necessità, soprattutto verso una più accentuata vocazione alla Private Label, ha provocato un vivace dibattito, non tanto nei commenti allo stesso articolo quanto nelle e-mail che abbiamo ricevuto durante il corso della settimana. Scrivendo il pezzo ci eravamo domandati a chi avremmo sollecitato la fantasia, in termini positivi si intende, e pensavamo di aver scritto un pensiero che poteva avvicinarsi maggiormente alla mentalità dell’industria che a quella del Trade, soprattutto per i violenti cambiamenti che chiedevamo, perché necessari, alle strategie delle Supercentrali. La sorpresa è stata grande quando ci siamo accorti che abbiamo invece dato voce alle esigenze reali della Distribuzione e minacciato di attaccare le necessità dell’Industria. Insomma il contrario di ciò che pensavamo. Le Grandi Marche non potevano, ovviamente, essere in accordo con chi chiede un sacrificio (decodifica) alla presenza delle Marche, quantomeno ad una parte di assortimento, a discapito della Marca Commerciale, però il mondo dei Follower, delle PMI che animano l’offerta nelle varie categorie pensavamo di rappresentarlo nell’esprimere un parere in tal senso. Invece ci siamo trovati in piena sintonia con i category manager del mondo Retail che devono sacrificare alcune marche, ed alcune referenze pronti a rinunciare ai contributi di inserimento o di marketing per dare la prevalenza a fatturati che siano rappresentazione delle vendite a scanner. Significa che la volontà di cambiare e recuperare la fiducia del consumatore rappresenta una reale esigenza degli operatori del mondo del Trade. Si è notato come nei commenti dei nostri attenti lettori si abbia la percezione (che si trasforma in delusione ed amarezza) che i prodotti a Marchio d’Insegna non siano di qualità. Non si può dire che sbaglino, anche se noi di GDONews non siamo s’accordo. Esiste una catena (lo ha specificato anche un altro nostro lettore) che effettivamente punta al basso prezzo della marca a discapito della qualità, ma le altre insegne hanno per certo diversi obbiettivi. Che poi gli obbiettivi si traducano in certezze è altra questione. E’ un dovere professionale portare la miglior qualità ai prodotti che rappresentano l’insegna, tutti devono avere fiducia in essi. Troppe volte capita che gli stessi manager nelle varie periferie della DO, coloro che devono delistare prodotti branded per avvantaggiare i prodotti a Marchio, rivolgano serie critiche alla qualità dei prodotti a Marchio della propria Insegna, e talvolta hanno anche ragione. E’, lo ripetiamo, un dovere professionale e morale fare in modo che il prodotto a Marchio sia il miglior rappresentante della propria insegna, perché è l’unica arma che abbiamo per fidelizzare il consumatore. Non sono le promozioni che fidelizzano, al massimo possono avvicinare il consumatore potenziale nei momenti di reale sacrificio di marginalità, ma si è facilmente traditi dallo stesso se si punta solo a quella strategia. Il prodotto a Marchio che trova la miglior qualità rapportata al prezzo ha invece la capacità di sedimentare la fedeltà, soprattutto se l’offerta viene espressa in maniera vasta su tutte le categorie. Per contro è letale, per il raggiungimento della fedeltà all’acquisto, presentare nelle gondole prodotti a Marchio che non trovino il consenso del gusto del consumatore, anche se il prezzo è conveniente, oggi il consumatore che vuole scegliere cosa mangiare a prescindere dalle Grandi Marche condanna senza sconti di pena la bassa qualita. Se ci allontaniamo dalla dittatura delle Marche, mantenendole ovviamente nelle loro eccellenze e nelle loro qualità, troveremo un consumatore che si dividerà nel suo interno e che si riconoscere in un insegna piuttosto che in un’altra. In Inghilterra chi compra da Waitrose (genericamente di alta qualità) è un consumatore che difficilmente si può trovare in Asda (prezzo conveniente). In Italia lo stesso consumatore va in un’insegna e poi nell’altra soprattutto per la qualità della promozione in atto, perché spesso non riesce a distinguere in maniera netta le diverse offerte.
La Private Label: il sogno dei Category Manager
Dott. Andrea Meneghinihttps://www.gdonews.it
Analista ed esperto di Grande Distribuzione alimentare. E’ un attento osservatore delle dinamiche evolutive dei diversi format in Italia ed in Europa. Collabora con alcuni Gruppi della GDO italiana nelle aree di crisis communication management e news management. Affianca la Direzione Generale di alcuni Gruppi della GDO nella gestione delle strategie aziendali. Collabora anche con aziende del Mass Market Retail all'estero come assistant manager sull'italian food. Si può contattare scrivendo a meneghini@gdonews.it
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Molto d’accordo sulla funzione del prodotto a marchio, MIGLIORE ARMA PER FIDELIZZARE IL CONSUMATORE. Ed è un vero peccato che un’insegna come U” che ha avuto lo spunto giusto, assortimento limitato che punta sulla massiccia presenza del prodotto Unes come quasi unico competitor della marca con un’offerta capillare e dal prezzo decisamente competitivo rispetto al leader cada poi proprio sulla qualità dei prodotti a marchio. Mediamente infatti i prodotti U confronta e risparmia offrono un livello qualitativo molto modesto, a volte inferiore a quello dei discount. Ma il consumatore che apprezza la vasta offerta e il prezzo conveniente, accetterà anche di penalizzare così fortemente le sue apsettative dal punto di vista organolettico?
Molto d’accordo sulla funzione del prodotto a marchio, MIGLIORE ARMA PER FIDELIZZARE IL CONSUMATORE. Ed è un vero peccato che un’insegna come U2 che ha avuto lo spunto giusto, assortimento limitato che punta sulla massiccia presenza del prodotto Unes come quasi unico competitor della marca con un’offerta capillare e dal prezzo decisamente competitivo rispetto al leader cada poi proprio sulla qualità dei prodotti a marchio. Mediamente infatti i prodotti U confronta e risparmia offrono un livello qualitativo molto modesto, a volte inferiore a quello dei discount. Ma il consumatore che apprezza la vasta offerta e il prezzo conveniente, accetterà anche di penalizzare così fortemente le sue apsettative dal punto di vista organolettico?
Praticamente in Unes il prodotto da primo prezzo o discount , diventa il prodotto a marchio proprio,
Invece di avere tre linee ne hanno due !
U2 ha difficoltà nel supporto degli investimenti nella marca commerciale anche per l’approccio pricing every day low price che nel medio/breve periodo lo costringerà a pesanti abbattimenti di costi per garantire un prezzo mediamente sotto il 20% dei loro competitors di riferimento. Per questo, paragonandolo ad un discount, non si sbaglia poi molto 😉
Per adesso gli U2 sembrano essere in crescita malgrado la crisi … se è vero la loro politica funziona o sbaglio ?
A mio modo di vedere, un trade intelligente dovrebbe costruire l’assortimento partendo da un prodotto a marchio buono e conveniente (-20% ca rispetto alla marca) e completarlo con i prodotti di marca evitando sovrapposizioni.
Ma in realtà gran parte degli assortimenti sono guidati dai contributi anche di marche intermedie che vanno a sovrapporsi al prodotto a marchio.