Che cosa sta succedendo nell’intricata vicenda di cessione dell’Aligrup?
Apparentemente nulla, i media (noi compresi) hanno pubblicato recentemente la notizia secondo cui la Coop (ma anche Conad ed Ergon) possono acquistare il ramo d’azienda di Aligrup. Di fatto la prima sezione della Corte d’appello di Catania (presidente Ignazio Santangelo) ha autorizzato la società Aligrup a trattare con Coop (Adriatica e Nordest), Conad ed Ergon sia la cessione di un suo ramo d’azienda, quello della grande distribuzione in Sicilia, sia l’ipotesi d’affitto: la cessione è, però, vincolata ad una trattativa alla quale dovrà prendere parte anche l’amministratore giudiziario, il dott. Massimo Consoli e che dovrà essere motivata dai giudici sulla congruità degli incassi dalle cessioni. Ma di fatto di vendita non se ne può ancora parlare perché il succitato amministratore giudiziario, da poco nominato successivamente al curioso allontanamento del precedente, pochi giorni prima della sentenza di vendita, ha bisogno di tempo per verificare la congruità dell’operazione. Il problema è che il tempo questa volta funge da perfetta ghigliottina.
La vicenda dell’Aligrup è però contrassegnata da una serie di curiosità che devono far riflettere, lo strano avvicendamento di amministratori giudiziari è solo ultima in termini di tempo.
Nella sentenza di primo grado Sebastiano Scuto, “il Re dei Supermercati della Sicilia”, è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa contro i 12 anni e mezzo che erano stati chiesti dalla pubblica Accusa. Inoltre la sentenza di primo grado aveva ordinato il dissequestro dell’85% dell’azienda, disponendo la confisca solo del 15% delle quote societarie dell’imprenditore. In primo Grado l’Accusa della Procura Generale aveva sostenuto che Scuto avrebbe “finanziato in modo continuativo” la famiglia Laudani “in cambio di una duratura protezione” e “riciclato in attività economica legale ingenti proventi delle attività illecite della cosca”. Da sottolineare che sempre in primo grado, l’imprenditore di San Giovanni la Punta è stato assolto dall’ipotesi di reato di estorsione aggravata nei confronti di un imprenditore e dall’accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss Bernardo Provenzano e Salvatore e Alessandro Lo Piccolo e il capomafia catanese Benedetto Santapaola.
La difesa ha sempre respinto le ricostruzioni della Procura sostenendo invece che Scuto è stato “vittima di estorsione da parte della mafia” e che “pagava il clan per evitare ritorsioni personali”. Al momento della sentenza di primo grado uno dei difensori di Scuto, l’avvocato Grasso, aveva spiegato quali sarebbero state le mosse successive per provare l’estraneità di Scuto ai capi di accusa, affermando: “E’ stato praticamente provato dai giudici che il patrimonio di Scuto non è mafioso e noi faremo ricorso in appello dove speriamo tanto che i dibattimenti non ruotino sui collaboranti, ma sui fatti, perché i fatti dimostrano che Scuto è estraneo alle accuse mosse contro di lui”. Scuto nelle dichiarazioni spontanee fatte in primo grado aveva sottolineato che era stato lasciato solo dallo Stato, che i Laudani avevano rovinato la sua vita colpendo la sua famiglia e in particolare suo figlio.
Ci si domanda: che significava la confisca del 15% delle quote societarie? Che, secondo la sentenza, Scuto era mafioso al 15%?
Di fatto, dall’intervento dello Stato in poi, la cronaca narra la discesa verticale del Gruppo verso l’attuale situazione, che avrebbe potuto essere recuperata attraverso un importante investimento ad opera di Coop e di altre due imprese distributive, ma ancora una volta la sorte ha voluto che l’amministratore giudiziario venisse rimosso pochi giorni prima della sentenza. Oggi si parla di affitto d’azienda, e pare (secondo alcune fonti) che il giudice a sua facoltà lo potrebbe revocare in qualsiasi momento. In tale situazione chi si assume il rischio di fare investimenti?
In questa vicenda di si sta facendo il bene? Dello Stato, che confisca non il 100%, ma il 15% delle quote ed in virtù di ciò rallenta una situazione disperata? Dei dipendenti che rischiano di non vedere la salvezza del loro posto di lavoro?
Aligrup era un fiore all’occhiello della distribuzione alimentare meridionale ed oggi la sua storia si sta spegnendo sotto i colpi di una classica vicenda all’italiana.
lettera inviata da parte del liquidatore di Aligrup ai fornitori:
“Oggetto: proposta accordo di ristrutturazione ex 182 bis l.f.
La scrivente società, nell’ambito di un piano di risanamento aziendale da proporsi anche ai
sensi dell’art. 182 bis l.f., al fine di concordare ed individuare i termini e le condizioni di una
possibile soluzione volta alla rimodulazione della esposizione debitoria nei Vs. confronti, Vi
invita a partecipare all’incontro appositamente fissato che si terrà nella giornata di martedì 21
agosto 2012, ore 16.00, presso la sede sociale di Aligrup S.p.A. in S. Giovanni La Punta, via
A.Manzoni s.n.. …
La riunione e’ per il 22 e non per il 21 come da lei scritto. Puo’ confermarmelo.
a me risulta il 21, forse hanno suddiviso i fornitori su piu’ date
Sono fornitore (impagato) di Aligrup, ma non ho ricevuto alcuna lettera di invito a partecipare ad incontri.
la tornata di incontri con i fornitori si è conclusa ; la proposta, in base al piano di ristrutturazione ex art 182 bis l.fall, prevede una % di soddisfacimento del credito intorno al 50% a seconda di quanti fornitori aderiranno.
Il Tribunale di Catania giorno 14/09/2012 ha reso parere favorevole alla cessione dei punti vendita di Aligrup, ma quattro giorni dopo la scadenza concordata tra Aligrup e Coop.
Inoltre ha modificato anche alcuni punti della perizia effettuata dal perito incaricato del tribunale che hanno fatto nuovamente bloccare le trattative e reso difficile un nuovo possibile accordo.
Nel frattempo i pdv non hanno merce, hanno avuto un calo del 70% del fatturato e i dipendenti non prendono lo stipendio da Luglio.
L’artico 4 della costituzione non dovrebbe riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto?
Ma il tribunale ha altre alternative a Coop o vuole solo fare fallire l’Aligrup senza pensare ai dipendenti (1 500 circa). Speriamo che non si verificano problemi derivati dal mancato accordo perchè i dipendenti sono esasperati non avendo soldi e garanzie sul futuro. Se il tribunale non riesce a risolvere il problema Aligrup, perde ed insieme a lui anche lo Stato.