Il 2011 ci rimane alle spalle come uno degli anni più difficili che la moderna distribuzione ricordi e si è concluso con l’abbandono di Confcommercio da parte di Federdistribuzione. A dire il vero non è la prima volta che accade questo “strappo” ma questa volta le ragioni sono più profonde e si radicano negli enormi cambiamenti in atto ed alla inevitabile contrapposizione degli interessi in gioco. La questione di fondo è legata alla capacità di un’ associazione così grande, attualmente guidata da Carlo Sangalli, di difendere allo stesso tempo piccoli negozi e grande distribuzione, soprattutto alla luce della fase riformatrice in atto ad opera del Governo nazionale. In un comunicato datato 27 dicembre 2011 Federdistribuzione ha infatti spiegato che attualmente la stessa “rappresenta aziende alimentari e non alimentari della distribuzione moderna nei cui punti vendita si rivolgono decine di milioni di consumatori ogni settimana e dove vengono acquistati il 40% di tutti i prodotti venduti in Italia. Una realtà coesa intorno a valori forti, con una visione di un commercio votato al servizio del consumatore e al continuo miglioramento di se stesso, alla ricerca di sempre maggiore efficienza al proprio interno e in tutta la filiera, alla sostenibilità economica, sociale e ambientale del Paese e dei suoi territori. Questa cultura e questi valori meritano di essere meglio conosciuti e diffusi. Federdistribuzione intende portarli direttamente all’attenzione di istituzioni, media e clienti e così contribuire al dibattito che ci deve portare a una Italia più forte, per il futuro di tutti.” Non si può dare torto a Cobolli Gigli ( Presidente di Federdistribuzione) che questo è un momento cruciale e bisogna rappresentare in maniera precisa , puntuale e determinata le esigenze della moderna distribuzione, che non possono collimare con i negozi di tipo tradizionale.
A sostegno di questa scelta, Federdistribuzione ha reso noto uno studio svolto da Trade Lab dove si rivelano una serie di dati interessanti: in ricordo delle tensioni che si erano create durante il processo di liberalizzazione voluto dall’allora Ministro Bersani si è voluto dare un quadro preciso di quelle che sono oggi le conseguenze dell’allora “lenzuolata” di Bersani, e soprattutto gli effetti reali della paventata desertificazione; ebbene secondo lo studio citato la modernizzazione della rete distributiva non ha portato a una riduzione del numero di punti vendita disponibili per il consumatore. “Più precisamente, fra il 2000 e il 2010, i punti vendita in sede fissa nel loro complesso sono passati da 721 mila a 776 mila (+7,7%). Ad essi si possono aggiungere 171 mila esercizi ambulanti (erano 156 mila circa nel 2004). Quanto ai punti vendita tradizionali, nel decennio, segnano un aumento in numero del 6,1%, a fronte di un aumento del 34,7% della grande distribuzione. Certo il trend di sviluppo è ben diverso, ma «in ogni caso – osserva Pellegrini – non c’ è quell’ arretramento del numero dei negozi tradizionali che ci si sarebbe aspettato”. Interessante appare anche il raffronto tra l’ Italia e le altre maggiori economie europee: Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna. La densità della rete tradizionale italiana è paragonabile solo a quella spagnola, mentre è quasi doppia rispetto a quella francese e più di tre volte superiore a quella tedesca e britannica. Ecco il motivo per cui era necessario un allontanamento da Confcommercio, è una deriva che probabilmente poteva già essere presa in passato, ma adesso era davvero inevitabile.
Buongiorno, in merito all’uscita di Federdistribuzione da Confcommercio vorrei sapere se questo si tradurrà in un cambio del contratto di riferimento, in caso affermativo quali sarebbero le scadenze per l’avvio del nuovo contratto e se ci sono già informazioni su quali punti forti verteranno i cambiamenti.
Grazie.
Dott. Rosella Ghiosso
Direttore negozio LEROY MERLIN
Carugate MI