Gli anni che stiamo vivendo ci stanno portando ad una inesorabile concentrazione delle forze in campo nell’ambito della distribuzione alimentare. Noi stessi qualche anno fa, prima che la crisi inasprisse i numeri di ritorno dei bilanci delle imprese, ci eravamo domandati quanto potessero essere efficaci le supercentrali quando rimanevano a tutti gli effetti dei meri punti decisionali relativi agli acquisti e nulla più. L’uscita di Esselunga da Esd qualche anno fa, assieme alla quasi concomitante disgregazione del gruppo Intermedia dava adito, a nostro parere, ad un dubbio in tal senso. Successivamente le varie difficoltà a sopravvivere da un lato, e le crescite di alcune insegne dall’altro, che hanno saputo preparare bene il territorio per tempi come questi, stanno portando in pochi anni a rinvigorire il concetto diametralmente opposto: oggi più che mai sono necessarie le aggregazioni.
Andiamo a verificarne le ragioni:
a) I consumi sono in stagnazione, i costi di gestione in aumento e la qualità degli acquisti diventa una leva fondamentale.
b) La competitività tra chi ha buone performances e quella che vive di numeri negativi trova oggi una forbice sempre più in aumento e se non si trova la forma per aggregare i morti seminati sul territorio sono destinati ad aumentare eccessivamente.
c) L’impoverimento della DO è una perdita del Paese prima ancora che una vittoria dei pochi retailers performanti. Il rischio di arrivi di concorrenti dall’estero sarebbe reale e lesivo anche per i leader attuali.
d) All’Estero il rapporto tra industria e Grandi Marche ha equilibri differenti proprio per i gradi di concentrazione delle principali insegne presenti sui mercati più importanti ( si pensi all’Inghilterra ma anche alla Francia).
e) La Supercentrale leader di mercato si sta organizzando a tal punto che si iniziano a vedere interconnessioni che vanno oltre i meri acquisti con le Grandi Marche. La Private Label, altro tema attualissimo, è un terreno fertile per approfondire le aggregazioni. Di conseguenza gli altri non possono pensare di rimanere organizzati come oggi, devono aggregarsi e rispondere.
Partiamo dall’ultimo punto. Oggi il contratto di Centrale Italiana è il più solido sul mercato sia per il periodo di vita che vive da protagonista, sia per l’affiatamento che esiste nel suo interno, oltreché essere, non ultimo, estremamente competitivo. Le insegne appartenenti al contratto hanno la possibilità, grazie a risibili percentuali dallo stesso derivanti, di affrontare investimenti di tipo pubblicitario senza mettere a rischio i conti economici. Si pensi che lo 0,5% dei ritorni del contratto potrebbe essere sufficiente per un buon progetto di comunicazione annuale sui media più importanti. Lo 0,5% potrebbe anche rappresentare lo spread che esiste tra lo stesso contratto ed altri contratti della concorrenza. Ma anche le Stesse associate hanno un potere contrattuale nei confronti dell’industria di tutto rispetto nelle trattative locali. All’interno dell’aggregazione il processo di unificazione si sviluppa sotto criteri di condivisione e di palese accettazione della leadership in seno all’organizzazione, in questo modo i problemi di convivenza si fanno rarefatti. E’ sottinteso che l’evoluzione del progetto “ Centrale Italiana” ha spazi immensi, dalle attività di marketing alle politiche commerciali nei singoli territori, e proprio la solidità del gruppo è un importante stimolo per la concorrenza a rimanere uniti e cercare di rispondere meglio possibile al leader di mercato. Ecco così materializzarsi uno dei motivi per cui le supercentrali hanno una loro chiara ragione di esistere. E’ chiaro che affermare che le stesse debbono esistere perché esiste Centrale Italiana è una assurdità, se il ragionamento qui si fermasse. La vera ragione del motivo di esistenza delle stesse è racchiuso nelle caratteristiche genetiche della nostra distribuzione: ovvero in quelle riferibili al localismo estremo che ci caratterizza. Se si volesse porre da un lato della trattativa le multinazionali dell’Industria, e dall’altro le aziende locali, o al massimo le Centrali di Acquisto si avrebbero delle forze in campo notevolmente sbilanciate, soprattutto rispetto a ciò che succede all’estero. Nel prossimo numero analizzeremo anche gli altri punti menzionati e cercheremo di capire i movimenti in atto, silenziosi ma operosi, senza sosta. Quale sarà il futuro di Centrale Italiana? Il colosso Carrefour come si comporterà? E le altre aggregazioni? Lo analizzeremo nel prossimo numero.
Gentile Dott. Meneghini, innanzitutto mi permetta di complimentarmi con lei per l’ottima qualità e serietà del servizio che ci offrite. In merito al suo articolo non posso che condividerne i contenuti. Riallaciandomi alle problematiche inerenti il punto a) (consumi & costi) ci terrei a sottolineare anche l’importanza che va data, a mio parere, all’attento studio dei cosiddetti “costi occulti”: quelli cioè derivanti da una attenta gestione delle merci in giacenza. L’analisi dei principali indicatori di performance quali rotazioni, sfridi, ecc… spesso viene riferita al reparto od al settore. Sottolineo l’esigenza di spingerla fino al singolo pezzo o referenza per ottimizzare i flussi di acquisto e vendita. Spesso mi son sentito dire che questo tipo capillare di analisi è superflua ma invece continuo a ribadirne la necessità: i grandi numeri nascono come somma dei piccoli. Gradirei, se possibile, un suo parere e quello degli altri lettori. Grazie e buon lavoro.
Le supercentrali sono un falso problema.
Si dovrebbe, per prima cosa, analizzare il peso delle private label all’interno della nostra distribuzione rispetto a quella di altri paesi.
Si dovrebbe proseguire poi nello studio della proposta pubblicitaria.
Ampia argomento dovrebbe poi focalizzarsi sui sell-in & out, per non parlare poi dei tronchi di assortimento e finire con la tecnica della proposta prezzi.
Evidentemente questi sono dei punti da sviluppare in relazione ai vari segmenti della distribuzione italiana dalla DO passando alla GDO per concludere con le GDS.
….tutto questo senza aver sfiorato l’argomento valore…..