domenica 8 Dicembre 2024

La crisi della GDO passa anche attraverso un eccesso di offerta. Che fare?

Lunedì 18 ottobre a Lugo si è svolto un incontro su “Il ruolo del commercio nella pianificazione urbana. Città integrata anziché ipermercati periferici”. L’incontro è stato introdotto da Giacomo Melandri (presidente Confesercenti Lugo), ed hanno successivamente dato un contributo Alessandro Bucci del Dipartimento Ingegneria Università di Ferrara, il sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e Maurizio Filippucci, sindaco di Conselice e referente per lo Sviluppo economico e promozione del territorio per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna. Nel corso dell’incontro sono stati presentati casi di pianificazione europei rivolti ad evidenziare lo stato di massificazione di Centri Commerciali avvenuto nel nostro Paese negli ultimi dieci anni. La scelta di organizzare questo importante incontro a Lugo da parte della Confesercenti non è stata casuale, infatti si tratta del comune che, rispetto agli altri simili della provincia, più di tutti è riuscito a contenere la grande espansione commerciale di grandi metrature. Con questa iniziativa la Confesercenti, dopo le azioni svolte sul Ptcp, ha voluto portare all’attenzione delle istituzioni e dei cittadini la necessità di cambiare rotta nelle politiche commerciali nell’interesse dei paesi e del territorio, della loro qualità della vita, riportando al centro delle politiche urbanistiche e di governo del territorio la vita delle persone e l’equilibrio tra le diverse funzioni. A tal fine, ha sottolineato Giacomo Melandri, “servono città integrate e vivibili anziché grandi strutture e ipermercati periferici. Le politiche devono concentrarsi a livello regionale cambiando le stesse attuali normative per evitare che le province facciano la rincorsa per accaparrarsi più metri di strutture commerciali possibili e soprattutto i Comuni, a partire da quelli più attenti e sensibili al loro territorio, devono farsi sentire in quanto le scelte mirate al contenimento delle superfici di alcuni, vengono vanificate dalla rincorsa di altri, magari per accaparrarsi gli oneri di urbanizzazione”. Per la Confesercenti è il caso di fermarsi e di guardare la pianificazione da chi dimostra di aver superato questi momenti e di concentrarci sulla trasformazione e progettazione dei quartieri urbani integrati, evitando desertificazione; anche questo è Pil e lavorare nell’interesse della collettività con politiche lungimiranti”. Al di là del fatto dell’ovvietà dell’interesse che ha la Confesercenti nel bloccare questo moto inarrestabile, bisogna in ogni caso fermarsi ed iniziare a ragionare sulle conseguenze che possono provocare l’inflazione di offerta, superato il punto della libera e sana concorrenza si rischia una degenerazione nell’offerta che non porta benefici più a nessuno: non le porta al consumatore che si vede proporre le stesse cose agli stessi prezzi e smette di dare il giusto valore a determinati stereotipi di offerta, non porta sicuramente benefici alle aziende della distribuzione che vedono i loro costi superare le entrate con conseguenti rischi di chiusure e buchi economico-finanziari che si ripercuotono a cascata nella società civile. A Firenze, proprio questa settimana, è scoppiata una polemica in Consiglio Comunale perché sulla Via Pistoiese è stata autorizzata l’apertura del quinto supermercato in 800 metri di strada.

Dott. Andrea Meneghini
Dott. Andrea Meneghinihttps://www.gdonews.it
Analista ed esperto di Grande Distribuzione alimentare. E’ un attento osservatore delle dinamiche evolutive dei diversi format in Italia ed in Europa. Collabora con alcuni Gruppi della GDO italiana nelle aree di crisis communication management e news management. Affianca la Direzione Generale di alcuni Gruppi della GDO nella gestione delle strategie aziendali. Collabora anche con aziende del Mass Market Retail all'estero come assistant manager sull'italian food. Si può contattare scrivendo a meneghini@gdonews.it

7 Commenti

  1. salve sicuramente il ragionamento non e’ sbagliato ma vorrei rivolgere l’attenzione sui tanti posti di lavoro che questi centri commerciali nel corso degli anni hanno creato inoltre bisogna dire che oltre a questo bisogna sottolineare che la gente che ci lavora e’ regolarmente assunta cosa che purtroppo nelle piccole imprese non sempre succede e la conseguenza di questo sono i famosi lavori a nero.inoltre questi centri nel loro indotto ospitano a loro volta altre aziende nelle gallerie creando altri posti di lavoro.infine vorrei sottolineare che grazie alle varie offerte poste da questi centri la gente riesce a risparmiare aquistando merce di qualita’unita ad un servizio di cortesia che molte volte nei piccoli supermercati non e’ presente.grazie

  2. Qualcuno di voi conosce l’effetto “wal-mart” nella economia degli states?
    come tutti sapranno, wal-mart è la maggiore catena di distribuzione americana
    per farla breve, durante gli anni 80 nel periodo del massimo “splendore” del consumismo reaganiano, dove la parola d’ordine nel settore era (e forse per qualcuno lo è ancora..) grande quantità di prodotto al minor prezzo possibile…il gigante della distribuzione usa cominciò dunque ad importare una massiccia quantità di prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo, la risposta delle grandi major della produzione americana fu quella di abbattere i costi della produzione dei loro prodotti attraverso una massiccia delocalizzazione della produzione industriale verso i paesi in via di sviluppo in modo tale da mantenere competitivi i prodotti in commercio..
    Questo provocò un rapido smantellamento dell’industria in gran parte degli states e un incremento del terziario.
    il bilancio economico statunitense tra l’import e l’export cominciò a pendere verso l’import, creando un debito verso paesi fornitori come la cina di proporzioni enormi, con la mancanza di una industria di “base” e l’aumento delle importazioni causate da un generale impoverimento della popolazione e con l’aumento del disavanzo economico causate da tali asimmetrie economiche dovute quindi a questo squilibrio tra il fattore della produzione in decadenza con il terziario in crescita l’economia americana cominciò ad entrare in una fase di profonda recessione economica le cui conseguenze sono tuttora tangibili e non ancora risolte.

  3. A proposito di effetto Walmart, non per fare polemica, ma semplicemente per allargare lo sguardo mi permetto di aggiungere che l’economia americana non entrò in recessione ma anzì crebbe fortemente, la crisi del 2000 e quella del 2008, sono in realtà la conseguenza di un pericoloso mix di liquidità enorme, debito delle famiglie elevato, negli ultimi 20 anni negli stati uniti in parecchi anni il risparmio è stato negativo e o vicino allo 0, e bolle speculative.

    Non per ridurre il fenomeno del debito commerciale, ma va anche detto che lo stesso spesso è di fatto una partita di giro tra le stesse società americane, che comprano da filiali e fornitori locali, un esempio è Apple, di cui si calcola che fatto 100 il prezzo di vendita del prodotto 90 resti negli usa dove ci sono i centri di ricerca e marketing, e 10 in cina, dall’altro ha permesso alle stesse di entrare su mercati che sono oggi molto promettenti per lo sviluppo.

    Vista la complessità della materia, credo che anche il mio post illumini soltanto una parte della cosa.

  4. http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704865704575610452319977706.html?mod=WSJ_hp_LEFTWhatsNewsCollection
    The Just in time consumer, vi posto questo articolo uscito oggi sulla versione americana del WSj.
    Mi riprometto di farvene un sunto ed un commento nei prossimi giorni.
    In sostanza per gli impazienti, il consumatore con la crisi ha modificato le proprie modalità d’acquisto e non stocca più e lo fa molto meno, attenzione parliamo di consumatore americano, ma il fenomeno è valido con i dovuti se e ma anche in Italia, domanda ma industria e distribuzione se ne sono accorti? vedendo i dati usciti sul sole 24 ore della scorsa settimana sulle promozioni in Italia sembra di no, in sostanza offriamo per illuminare la casa candele e non lampada a led.

  5. E’ uscito questo interessante articolo sul WSJ, in cui si da finalmente voce e numeri a quello che molti economisti sostengono, lo studio riguarda gli USA ma può con i giusti se e ma anche per altri paesi, e cioè che il famoso debito commerciale usa non è altro che una partita di giro delle imprese USA, e che bisognerebbe anzichè fermarsi ai numeri delle statistiche, con le sue miopie, capire dove i profitti/ valore aggiunto vengono creati e distribuiti.

    http://online.wsj.com/article/SB100014240527487048281045760211
    42902413796.html?mod=WSJ_business_whatsNews

    Ps: mi approvate un commento su Carrefour grazie

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