Per l’Authority il cartello c’è stato. E l’Antitrust ha deciso di «punire» i pastai colpendo non solo le singole aziende ma anche l’Unipi (Unione industriale pastai italiani) e l’Unionalimentari.
Questa la decisione presa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La riunione presieduta da Antonio Catricalà ha così concluso l’istruttoria avviata il 10 ottobre 2007 (rivolta a un piccolo gruppo di aziende pugliesi) e allargata il 5 dicembre 2007 (per effetto degli accertamenti ispettivi) ai maggiori produttori italiani (28 imprese) con l’aggiunta delle due associazioni di categoria. Secondo l’Authority nel corso del 2006 e 2007 gli «imputati » avrebbero messo in atto «due intese restrittive della concorrenza» e quindi violato l’articolo 81 del Trattato Ce. Sotto accusa in particolare le riunioni del 18 luglio e del 26 settembre 2007. In tutto sanzioni per circa 12 milioni 500 mila euro inflitti a 26 imprese e alle due associazioni, dai quasi 6 milioni di Barilla a oltre un milione per De Cecco e Di Vella passando attraverso i quasi 500 mila euro a Garofalo. Secondo i consumatori il vero problema è che il prezzo della pasta continui ad aumentare mentre la materia prima scenda da mesi (Mr prezzi ha parlato di un «lento rientro» della corsa dei prezzi della pasta anche se la variazione tendenziale registra un + 25,4 a gennaio 2009). La difesa dell’industria, durante l’istruttoria, ha fatto leva sullo strapotere della grande distribuzione che rischia di schiacciare soprattutto i piccoli produttori e sulla necessità di far fronte a una crisi senza precedenti. In sostanza se di prezzi si è discusso lo si è fatto per proteggere un settore che dai 240 pastifici del 1980 si è ridotto a 130 di oggi. Secondo fonti interne all’Authority la delibera del Garante avrebbe tenuto conto di una serie di attenuanti e recepito la battaglia in atto tra il settore e la grande distribuzione.
L’Antitrust non è voluto però venir meno al principio della libera concorrenza: i cartelli non si fanno neanche in situazioni di crisi. La crisi, si sa, è sotto gli occhi di tutti. Ma per la pasta inizia nel 2005 quando il prezzo del grano è schizzato alle stelle con il risultato che nel primo semestre del 2008 il costo del frumento duro era più che triplicato (+220%) rispetto al 2005. Da almeno due anni si è così assistito al balletto delle cifre, cavalcato a seconda dei casi, da industria, grande distribuzione e coltivatori. Il punto di vista dell’industria. Se negli ultimi due anni il prezzo della pasta è aumentato fino al 32,3%, nel lungo periodo gli incrementi sarebbero in linea con l’inflazione, cresciuta dal 1995 a oggi del 34,2%. Gli aumenti del grano poi, non sarebbero stati immediatamente scaricati sui prezzi al consumo e comunque il prezzo della produzione (quanto le aziende fanno pagare alla distribuzione) è stato inferiore a quello dei prezzi al consumo. Secondo le associazioni dei consumatori invero il frumento duro da gennaio a ottobre si è quasi dimezzato (da 47 a 25 centesimi al chilo, fonte Altroconsumo) contro il prezzo di mezzo chilo di pasta avrebbe fatto un ulteriore balzo ingiustificato del 20% (dai 75 centesimi di gennaio ai 92 di ottobre). La Grande Distribuzione da canto suo tace. Chi infine ha parlato il giusto ma soprattutto agito è l’Antitrust che ha determinato un principio: indipendentemente dalle colpe eventuali è fatto assoluto divieto costituire qualsiasi forma di cartello.