A pochi giorni dall’entrata in vigore del decreto legge che autorizza la vendita dei farmaci di fascia C nei supermercati cominciano ad emergere alcune domande che per ora non hanno trovato risposta. Ci si chiede infatti se, così come è stato concepito, il decreto possa realmente portare un vantaggio al consumatore e contemporaneamente non favorire un dannoso (per il consumatore) aumento delle vendite di farmaci.
Sicuramente un’importante calo di prezzi si avrà con l’avvento del private lable, che però porterà con se un calo nella vendita dei prodotti di marca. La prospettiva per i grandi gruppi farmaceutici non appare quindi molto rosea, specialmente se, come sbandierato, l’obiettivo di questa iniziativa non è quello di vendere più medicinali ai consumatori. Fino a che punto, quindi, le multinazionali saranno disposte a perdere marginalità sui loro prodotti, tenendo conto che ogni calo di prezzo dovrà per forza riflettersi anche nell’ambito delle farmacie?
Se, come si dice, i grandi gruppi della GD sono orientati a destinare superfici importanti all’area farmaceutica, lo dovranno fare con un ben chiaro obiettivo in termini di fatturato. Inoltre il costo di nuovo personale specializzato influenzerà non poco la politica dei prezzi nei gruppi. E’ evidente che non sarà facile trovare un equilibrio tra fatturato, costi di personale specializzato e spazio sottratto ad altre categorie senza promuovere la vendita.
L’impressione è che i cittadini italiani troveranno sicuramente farmaci di fascia C meno cari, ma che non sarà cosi facile per la Grande Distribuzione trovare equilibri economicamente vantaggiosi.