sabato 14 Settembre 2024

Il Libero Servizio tra limiti ed opportunità per il retailer del futuro

Quando si entra nel merito della composizione assortimentale dei piccoli negozi, bisogna evitare di incappare nella trappola delle generalizzazioni. E sì perché, per sua natura, la superette vera e propria, è frutto di un compromesso.

I retailers “rigidi”, infatti, ovvero coloro che sono abituati ad applicare pedissequamente un format definito, non amano molto questo segmento. I locali raramente presentano una pianta regolare perché sono spesso labirintici. Possono presentare dislivelli (soprattutto nei centri storici) o essere pieni di pilastri che di certo non consentono la massima espressione dello scaffale.

Insomma, superette è un termine sotto il quale risiedono migliaia di negozi. I più fortunati constano di una forma regolare, che garantisce spazi congrui per il passaggio clienti e dove i reparti possono essere allocati nei luoghi commercialmente più indicati. In altri casi, bisogna fare di necessità virtù, specialmente laddove la location meriti davvero.

Oltre a quanto già detto, ci sono altri temi da approfondire. C’è chi gestisce il piccolo negozio in modo “classico”, fornendogli, di fatto, una bassa attrattività legata principalmente al volantino e dotandolo di un assortimento che rappresenta una versione “light” di quello appartenente ai cluster più grandi.

Questi operatori hanno man mano ridotto lo spazio appannaggio dei banchi serviti perché essi rappresentano un costo del personale elevato. Tra l’altro, in alcuni contesti, trovare manodopera qualificata diventa di anno in anno più difficile.

Ci si limita, dunque, a fornire il servizio di base con un piccolo banco al taglio (più o meno conveniente) o con l’ampliamento dello spazio frigo per i prodotti confezionati (vedi Pam Local). In questo ultimo caso si rinuncia ad una parte di fatturato a favore dell’abbattimento dei costi di gestione ed alla facilità di replicare il format.

Altri attori (guardiamo ad es. La Esse di Esselunga), fortificano alcune merceologie dotandole di un numero di referenze importante (es. enoteca) mentre, per altre, riducono l’assortimento alle unità di bisogno essenziali. In questo scenario, La Esse affianca il bar, il bistrot ed un’ampia gamma di gastronomia pronta da consumare.

In sostanza, c’è chi continua a voler dare un livello di servizio omogeneo su tutte le merceologie, seppur minore rispetto a quello garantito dalle grandi superfici e chi, invece, punta su alcune categorie per rendere il negozio forte almeno in uno o 2/3 campi.

È come scegliere se essere un pilota che si piazza sempre al quarto posto oppure uno che su pista arriva primo e sullo sterrato a metà classifica. Sono, appunto, scelte commerciali.

Certo è che il negozio “classico”, a meno che non si trovi in una location poco vulnerabile dalla concorrenza, rischia più spesso di vedere la propria cifra d’affari erosa da nuove superfici più grandi che aprono in bacini d’utenza limitrofi.

Il negozio che abbiamo deciso di chiamare “classico”, proprio in virtù della propria vulnerabilità, si presta ad una gestione in affiliazione che permetta al singolo imprenditore di trovare la propria specializzazione extra format, sia essa sulla carne, sul pesce, sulla gastronomia o semplicemente sul rapporto con la clientela.

Il fatto che Esselunga abbia impostato il format “LaEsse” così come descritto in questo e in un altro articolo, è un segnale che, per una gestione diretta, è bene rendersi più distintivi, puntando su una o più carte vincenti, invece di dare un servizio piatto.

Resta il fatto che, per quanto ci si possa distinguere, il ruolo di un piccolo negozio cittadino è quello di offrire servizio immediato al cliente pedonale. In quest’ottica l’ampiezza assortimentale diventa più importante della profondità.

È meglio avere più tipi di riso piuttosto che quattro referenze di carnaroli. In questo modo, il cliente riesce a trovare tutte le unità di bisogno che cerca e, in virtù della vicinanza, è magari disposto a rinunciare a un po’ di scelta, a patto che trovi il prodotto alimentare per cui entra in negozio.

È ovvio che un contesto del genere diventa il regno della MDD, pensata proprio per coprire le unità di bisogno principali al giusto prezzo. Aggiungo che il piccolo negozio diventa una vetrina per il prodotto a marchio, proprio perché il cliente, in questo scenario, tende a guardare più al prodotto in sé che al brand.

La speranza, ovviamente, è che il prodotto MDD entri poi nelle abitudini di spesa dei clienti che, se si trovano bene, lo acquisteranno anche quando faranno una spesa più importante, magari nel weekend.

Entrando dentro LaEsse, ad esempio, si vede come in alcune merceologie la presenza della PL sia imperante. Lo stesso vediamo nelle piccole superfici di Coop che sul prodotto a marchio ha svolto, negli anni, un importante lavoro in termini quanti-qualitativi.

Ogni merceologia ha però il proprio grado di penetrazione dell’MDD. Ciò dipendente da molteplici fattori ma, principalmente, possiamo dire che ci sono dei prodotti difficilmente sostituibili i quali sono riusciti a scavarsi una fetta considerevole di aficionados. Parliamo dei soliti noti come Nutella, Mulino Bianco, Coca Cola, Pan di Stelle, Algida, Lavazza etc. che, sebbene vengano “attaccati” costantemente dalla PL, riescono a mantenere una posizione di assoluta rilevanza.

In molte merceologie, nonostante la presenza di grandi produttori, il consumatore non riconosce ai prodotti di marca il “sovrapprezzo” che chiedono e, quindi, l’MDD riesce a scavarsi una fetta considerevole del mercato (lo vediamo sul fresco, sul freddo ed in alcuni comparti del grocery come, ad es. le gallette e la frutta secca).

Chi è penalizzato di più nell’assortimento superette? Certamente i prodotti follower, ovvero quelli che cercano di prendere quota alle grandi marche ma il cui ruolo, pian piano, viene assorbito dall’MDD.

Gli articoli follower, in un piccolo assortimento, creano ridondanza e prendono spazio a prodotti PL, magari anche premium a prezzo accessibile (vedi linee Fior Fiore Coop, Esselunga Top, Gastronauta, Terre d’Italia etc.) che fidelizzano la clientela. È per i follower, dunque, che il gioco, in questo segmento, si fa sempre più difficile.

Per tirare le somme, che assortimento può avere una superette per rendersi efficiente ed efficace?

L’IDM ci deve essere ma è opportuno limitarla a prodotti altamente cercati dalla clientela che, se promozionati, attirano persone dentro il negozio (con le eccezioni di cui sotto). Le superette, infatti, oltre a garantire un livello di servizio elevato (assortimento più ampio che profondo e ottimo prodotto fresco/freschissimo) debbono ricorrere alla promozione per “tirare” le persone dentro gli stores, creando diverse occasioni di frequentazione del punto vendita.

L’MDD può essere esplosa nel presidio di più unità di bisogno possibili e dev’essere affiancata da prodotti locali necessari (pensiamo alla mollica di pane a Matera ad esempio, o alla nduja in Calabria) e da quei prodotti, siano essi fatti dall’IDM o da industrie minori che coprano le unità di bisogno lasciate scoperte garantendo il miglior rapporto qualità/prezzo per il cliente e margini/rotazioni per il retailer.

Massimo Schiraldi
Massimo Schiraldi
Fondatore e Amministratore della Netbound, società specializzata nel management consulting indirizzato al Retail ed all’industria alimentare, è appassionato del commercio in tutte le sue forme. È stato membro del CdA ed Amministratore Delegato di società operanti nella produzione e distribuzione di beni di largo consumo. Ha viaggiato in Europa e negli Stati Uniti (dove ha risieduto) per analizzare le formule di retail con le migliori performance. e-mail: m.schiraldi@netbound.net

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