Nell’articolo di oggi cerchiamo di analizzare le dinamiche che caratterizzano due formati ben noti, ovvero supermercati e discount, per verificare in che modo interagiscono l’uno con l’altro e “si combattono”.
Per prima cosa è importante sapere che questo articolo non basterà per chiarire, una volta per tutte, in che modo i supermercati possano “vincere” la battaglia contro il discount perché di ricette ce ne sono diverse (qui ne vedremo qualcuna) ed hanno fortune alterne. Oggi, come non mai, infatti, il mercato è dinamico e diversificato territorio da territorio.
Arriviamo però a dire che ogni business, e questo è abbastanza pacifico, si basa su una premessa, ovvero una scommessa fondamentale che riguarda tendenzialmente il comportamento che adotterà il cliente nel prossimo futuro (quello che vedrà, appunto, l’applicazione operativa delle ipotesi).
Ma allora, qual è la premessa del discount?
La linea di fondo del formato di convenienza è, sicuramente, la seguente:
“Il cliente, per risparmiare circa il 40% sulla spesa, accetterà di acquistare un assortimento limitato con marchi sconosciuti”.
Con il senno di poi, possiamo dire che la scommessa, l’assunto del business discount, si è rivelata corretta e, infatti, la quota di mercato di questi players non ha fatto che crescere, sfondando addirittura la soglia del 30% in alcune regioni della Penisola.
L’avanzata dei discount (e, con essi, dell’MDD) è stata però possibile dopo alcuni passaggi non indifferenti, avvenuti in uno spettro temporale durato decenni.
Negli anni settanta/ottanta, infatti, pochissimi clienti avrebbero accettato di comprare prodotti con marchi completamente sconosciuti perché, all’epoca, il livello qualitativo era garantito dalle grandi industrie che potevano permettersi di fare pubblicità in televisione e che, proprio in quelle occasioni, ribadivano quanto i propri prodotti facessero bene alla salute, permettendo ai bambini di crescere sani e forti. Era il periodo del conflitto brand loyalty e store loyalty.
Da allora, l’industria e la legislazione alimentare hanno fatto passi da gigante fino ad arrivare ai giorni nostri dove le medie aziende produttrici (diventate grandi anche grazie alla MDD) si sono strutturate per offrire livelli di qualità e di gusto eccellenti anche sulle marche private.
I maggiori discounters hanno seguito lo sviluppo naturale del progresso. All’inizio erano in molti ed offrivano prodotti di qualità mediocre, ma tra gli anni novanta e duemila con l’estinzione di – ormai dimenticate – insegne discount, il mercato si è poi concentrato ed è aumentata vertiginosamente l’affidabilità del suo assortimento grazie ad insegne note del comparto (pensiamo a Lidl, Eurospin, MD, Penny, Todis, In’s etc.).
Se prima comprare presso il discount significava arrivare ad un compromesso qualitativo per risparmiare denaro, oggi la comunicazione dei players del settore è ben diversa, perché sono consapevoli del lavoro mastodontico che hanno portato avanti per incrementare la qualità dei propri prodotti.
Storicamente, comunque, e già agli albori dell’MDD, chi voleva fidelizzare i clienti allo store pensava al marchio proprio mentre l’industria lo avversava in ogni modo puntando alla brand loyalty.
Comprare al discount diventa una scoperta, un escamotage geniale per tutelare il portafoglio senza, di fatto, rinunciare ad alcunché. Ecco perché Eurospin chiama i propri clienti gli “Einstein di tutti i giorni”, Lidl dice “Anch’io!” ed MD esclama “Buona Spesa Italia!” (leggasi: anch’io, come tutti, voglio avere accesso alla convenienza, senza rinunce). Insomma, comprare da loro è furbo, oltre che conveniente.
In tutto ciò i supermercati cosa fanno?
I supermercati, nel tempo, hanno osservato il fenomeno discount, adottando pratiche di contrasto più o meno efficaci.
Quando il formato di convenienza trattava prodotti scadenti, i super hanno risposto con i “primi prezzi”, articoli poco qualitativi a basso prezzo che, generalmente, in origine, non avevano il marchio insegna ma che, spesso, venivano evidenziati con marchi di fantasia ideati ad hoc, poi Carrefour ha fatto “il N°1”, Coop “La Moneta che ride”, Auchan “Il meno caro” e Despar “S-Budget”.
Tali prodotti, sebbene costituissero una risposta all’avanzata dei discount, alla fine risultavano estremamente ghettizzanti. In sostanza, il cliente arrivava in cassa con prodotti identificati come “quelli riservati a chi ha bisogno di risparmiare”.
Non c’era nulla di furbo nel comprare i primi prezzi perché spesso non erano buoni e rappresentavano una linea non core per i retailers. Li si acquistava per necessità e non hanno mai raggiunto quote interessanti, salvo il caso Esselunga (Smart).
Successivamente, la segmentazione degli assortimenti dei supermercati, visto l’aumento qualitativo dei discount, si è assottigliata con l’uscita di parecchi followers ed è toccato al marchio insegna fare la “Parte del Leone” per combattere il discount.
In questo contesto, la MDD convenzionale, prima fonte di margine, ha iniziato a sacrificare marginalità per posizionarsi sempre più vicina, in termini di prezzo, agli articoli discount e questo è, sostanzialmente, il quadro in cui ci troviamo oggi.
Il discount è un gigante con i piedi d’argilla?
Avendo chiara, a grandi linee, la dinamica che riguarda i due segmenti, dobbiamo fare delle precisazioni fondamentali.
Se la premessa dei discount la conosciamo, dobbiamo anche ricordarci che l’obiettivo dei supermercati è molto differente e potrebbe essere riassunto nella seguente frase:
“Coniugare i bisogni infiniti della clientela con i mezzi finiti del distributore”.
È vero, infatti, che il discount è conveniente ma per ottimizzare il proprio business ha bisogno di concentrare i volumi perché rappresenta, per certi versi, l’industrializzazione del retail.
Esattamente come accade nell’industria, infatti, aprire discount diventa un lavoro di esecuzione prettamente tecnica. Si replica, dopotutto, un modello vincente all’infinito con pochi (o pochissimi) accorgimenti peculiari (pensiamo, ad esempio, ai momenti in cui Lidl inserisce temporaneamente e a rotazione prodotti nuovi e caratterizzanti dall’estero oppure all’utilizzo del non food consumabile e di uso frequente a rotazione come leva attrattiva).
Tale modello, ormai affinato e preciso, prevede un numero limitato di articoli (2.500/3.000) contro circa il triplo (o più) dei supermercati.
Chiunque abbia comprato dai discount (me compreso) si è reso conto che, nel medio termine, il basket di articoli acquistati risulta abbastanza limitato e, dunque, integrare la spesa al supermercato diventa necessario.
Pensiamo ai preparati del fresco, ai prodotti per gli intolleranti, a determinate bevande, alle salse peculiari, agli infusi, alle marmellate, alle spezie, ai condimenti. Diciamo che rifornirsi in toto dal formato in questione è francamente difficile, almeno nel medio termine.
È qui che il discount assume la veste di specializzato della convenienza più che di format sostitutivo del supermercato. Se pensassimo ad un mondo di soli discount, in definitiva, sarebbe un mondo non in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori appieno e, quindi, in un sistema capitalistico, parliamo di uno scenario irrealistico.
Stante il fatto, dunque, che il supermercato è di servizio complementare al discount o viceversa, esso può contrastare il formato di convenienza sull’MDD, sulla maggiore qualità dei freschissimi e dei serviti, sui localismi, capitalizzando al massimo il passaggio dei clienti.
Quali sono gli scenari futuri?
Chiarito quanto sopra, possiamo dire che le dinamiche di contrasto in atto (ovvero le armi cariche dei supermercati) si riassumono nei punti che seguono:
Proliferazione del formato Every Day Low Price
Qui si coniuga un assortimento ampio, comprensivo dei reparti serviti (supermercato classico) con una marcata presenza di MDD, posizionata a prezzi molto convenienti ed evidenziata in corrispondenza dei prodotti di marca più noti. Grande assente è il volantino che favorirebbe oscillazioni di prezzo ampie e potenzialmente confusionarie per il cliente che ricerca convenienza.
L’EDLP, personalmente, l’ho sempre interpretato così: “Io retailer ti mostro un prezzo chiaro e conveniente dei prodotti che conosci e, per ogni merceologia, ti offro un’occasione di risparmio con l’MDD. Sta poi a te cliente scegliere dove preferisci risparmiare.”
Va da sé che, per fare EDLP in modo efficiente, la MDD deve presidiare bene tutte le merceologie. Non a caso Sole365, ad esempio, utilizza i prodotti a marchio “Selex” che, come centrale, tratta più di 5.000 articoli PL.
Analizzare le vendite degli EDLP, poi, consente ai retailers di verificare nella pratica quali prodotti godono di una fidelizzazione tale da mantenere i volumi, nonostante il gap importante con la MDD.
Cambio nel processo di acquisto
Per anni, diversi retailers hanno accettato di acquistare articoli ridondanti, basso vendenti, posizionati su espositori destinati ad impolverarsi, solo al fine di ottenere contributi dall’industria di marca.
Questa politica ha favorito i discount perché consente ai cedi di comprare ciò che conviene comprare ma non vendere. Il cliente, quindi, si trova di fronte a scaffali pieni di prodotti poco attraenti e che non intercettano bisogni reali.
Se guardiamo l’assortimento di Esselunga, ad esempio, rispetto ad altri supermercati ci sembra un mosaico di colori perché il best performer non è tanto interessato ad acquistare le intere linee dai fornitori ma, piuttosto, a comprare articoli che si vendono, dando servizio al cliente e rotazione allo scaffale.
Oggi, dunque, diventa sempre più importante trasformare i buyer in product manager, ovvero professionisti in grado di conoscere perfettamente il costo industriale di un prodotto partendo dalle materie prime e di comprenderne l’utilità all’interno di un assortimento che, come unico obiettivo, ha quello di essere di servizio al cliente.
Per fare ciò è fondamentale fare ricerca territoriale, per intercettare quei prodotti e quei fornitori che creano un valore aggiunto e che non potranno mai entrare (per via del differente modello di business) in un assortimento discount.
Su questo punto preme fare una precisazione. Per costruire gli assortimenti, a volte, è necessario prendersi il rischio di scommettere su un prodotto. Se, infatti, è utile guardare i dati di mercato relativi alle categorie per verificare quali merceologie crescono e quali decrescono, ricercare dati nazionali sui singoli fornitori per sapere quali inserire in assortimento è pericoloso perché, spesso e volentieri, i prodotti locali ad alto valore aggiunto non si trovano in tali statistiche.
In altre parole:
“Attenzione perché copiare dalla media trasforma in mediocri”.
Regionalizzazione e concentrazione
Il cambio di cui sopra rende necessario un focus dei retailers convenzionali sul territorio. È per questo che, nel tempo, le aziende più redditizie e a maggior crescita sono rimaste quelle locali. Parliamo di operatori come Dimar, Tigros, Megamark, Multicedi, Gruppo Arena, Sole365, Tosano etc.
Le grandi aziende nazionali che non hanno saputo adottare un sistema consortile o di presidio in cui i centri decisionali vengono “spalmati” sul territorio, col passare degli anni si sono ridimensionate o hanno perso redditività (è il caso, ad esempio, di Carrefour e di Pam ma anche, in alcuni casi, della stessa Coop).
Forza nei freschi e nei freschissimi
Altro punto importante è lo sviluppo di freschi e freschissimi che, dopo un exploit eccezionale negli anni ottanta e novanta (con gli iper che avevano internalizzato le produzioni), si sta riaccendendo adesso con il potenziamento dei mestieri.
Il supermercato, a differenza dei discount, ha la possibilità di offrire servizio con pescheria, macelleria, gastronomia, salumi/formaggi, panetteria e ortofrutta lavorata. Attraverso gli anni la tecnologia ha permesso di abbattere il costo del lavoro, mantenendo qualità e di ciò il supermercato si può avvantaggiare, laddove possibile.
Allo stesso tempo, formare il personale sui mestieri è conditio sine qua non per acquisire un vantaggio competitivo che viene capitalizzato nel tempo.
È vero che se insegni a qualcuno a pescare potrà anche pescare altrove ma se impari ad insegnare, non rimarrai mai sprovvisto di talenti.
Come concludere?
La conclusione è semplice. Il discount si può combattere e si sta combattendo, spesso con grandi risultati ma farà assolutamente delle vittime.
Chi cadrà sotto i colpi del discount saranno quei retailers che decideranno di dare un livello di servizio basso, che continueranno a comprare senza pensare che ciò che acquistano si deve anche vendere, che non investiranno in formazione e che entreranno nel terreno dei discount aumentando vertiginosamente le referenze a marchio senza dargli un posizionamento adeguato. Loro sì, periranno. Per gli altri, invece, vedo un futuro roseo.
Anche perché sia la concentrazione di mercato, sia la regionalizzazione sia, infine, lo sviluppo di una MDD qualificata, forzano e forzeranno l’industria ad investire ulteriormente sui propri prodotti in termini qualitativi e sui propri clienti in termini di margine.