martedì 14 Gennaio 2025

Crisi del grano duro: GDO e industria cambino atteggiamento, basta teatrini

La crisi del grano duro è sicuramente determinata dal cambiamento climatico, ma il "sistema Italia" non è esente da colpe. Piccoli attori, deboli finanziariamente con una bassa capacità di stock. Solo un accordo tra GDO ed industria del settore può cambiare il livello della domanda e costringere l'offerta ad adeguarsi.

Abbandonare inutili teatrini e cambiare reciproci atteggiamenti ostili per fare accordi di più ampio respiro sugli acquisti e far evolvere la domanda, perché l’offerta di grano duro è strutturalmente incapace di diventare moderna.

L’appello accorato, rivolto a operatori dell’industria e della GDO sulla categoria pasta di semola, arriva dall’ultimo episodio del “Supermercato delle idee” di GDONews, incentrato sull’attualissima risalita del prezzo del grano duro che sta nuovamente adeguando i listini verso l’alto.

Un’evoluzione di cui non si sentiva assolutamente il bisogno alla luce degli andamenti inflattivi e dell’acceso scontro negoziale fra mass market e industria alimentare, che va a toccare un elemento imprescindibile del carrello degli italiani, nonostante un esponenziale incremento dei prezzi a scaffale iniziato nella seconda parte del 2021.

Aumenti, quelli degli ultimi due anni, il cui principale responsabile va individuato nel cambiamento climatico e nello specifico dalla siccità che ha colpito duramente l’Unione Europea e soprattutto il Canada, paese da dove si importa una % rilevantissima di grano duro utilizzato dai trasformatori italiani.

Una crisi climatica senza precedenti – come evidenziato da Annachiara Saguatti, Market Intelligence Analyst di Aretè Agrifood, società esperta di commodities alimentari – che ha ridotto la produzione canadese di circa il 50% nel 2021 con un conseguente razionamento delle esportazioni, una riduzione degli stock sul mercato globale e un incremento dei prezzi fino a 550 euro per tonnellata rispetto ai 300 di pochi mesi prima.

La campagna successiva, quella del 2022, è stata invece caratterizzata dal calo delle quotazioni, nonostante la diminuzione della produzione in Europa – sempre a causa della siccità – con quella del paese nordamericano rimasta su livelli non eccelsi.

Una discesa dei prezzi che, secondo Saguatti, è stata dovuta anche al calo della domanda che ha spinto le quotazioni italiane al di sotto di quelle francesi creando così un po’ di squilibrio. “A maggio – ha osservato la Saguatti – a fronte di prezzi italiani in calo e stock bassi, in concomitanza con elementi di deterioramento del nuovo raccolto e difficoltà sulle semine nel Nord America, noi di Aretè ritenevamo si fossero create le condizioni per un rimbalzo delle quotazioni. Le possibili previsioni per la campagna 23/24 – ha aggiunto – lasciano ancora spazio ad una risalita delle quotazioni, soprattutto nel breve termine, anche se i prezzi di novembre e dicembre dipenderanno moltissimo dall’esito del raccolto canadese, che in ogni caso si preannuncia già oggi sotto i livelli della campagna di raccolta 2022/23.

Per quanto riguarda l’Italia la situazione è più delicata a causa della qualità insufficiente del raccolto, soprattutto per i pesi specifici. Stiamo infatti assistendo a quotazioni in salita per tutti i frumenti di buona qualità, adatta per la produzione di semola per la pasta di semola, ma listini e borse si sono trovate a dover ampliare sconti per le qualità inferiori di frumento.

Addirittura, sul listino di Bologna ne è stata introdotta una che non rispetta i parametri che definiscono le qualità superiori. Questo ci rende ancora più dipendenti delle importazioni dall’estero” ha concluso la Saguatti.

Dinamiche che dunque spiegano la corsa all’acquisto che ha fatto schizzare il prezzo del grano duro alle stelle e che, attualmente, creano una situazione di forte fragilità che potrebbe intaccare anche i listini del grano tenero spingendo verso l’alto il duro, alla luce delle recenti dichiarazioni di Putin e il mancato accordo sul grano tenero, anche se la Saguatti ha chiarito che la forbice tra i due prezzi è troppo ampia.

Ma se da un lato è giusto focalizzarsi sulle dinamiche internazionali, non bisogna dimenticare anche i nostri regionalismi, che purtroppo la fanno ancora da padroni in Italia, costituendo barriere che ci impediscono di diventare un grande Paese con aziende all’altezza, strutturate e con stock rilevante in grado di contrastare le tensioni sui prezzi, almeno per periodi medi.

Senza mezzi termini in tal senso il parere Andrea Meneghini che ha ricordato come pochissimi fra i nostri 140 ed oltre pastifici produttore di pasta di semola, siano importatori diretti, sebbene è importante rilevare che il 60% del nostro fabbisogno di grano duro è dato dalla produzione nazionale.

“Orti e orticelli non solo nel mondo dei pastifici, ma soprattutto dei produttori di grano duro, che non si contano – ha detto – ma si tratta di realtà che con un soffio di vento contrario vanno in crisi. Nella gestione dell’economia agricola zootecnica e di trasformazione alimentare, come anche la Gdo, l’Italia è paurosamente stratificata, le aziende piccole non sono in grado di sopportare le tensioni dei mercati delle commodities.

Ci si lamenta – ha proseguito Meneghini facendo una digressione sul tema – se il Presidente della Repubblica francese porta con sé le sue aziende di punta ed invece l’Italia no, ma se la politica non supporta l’industria italiana dobbiamo anche domandarci chi sono le aziende che rappresentano il tessuto nazionale e che Mattarella dovrebbe portare con sé per promuoverle nel mondo, non certo la miriade di micro imprese che caratterizzano il nostro paese.

In una situazione di tale volatilità – ha concluso – è necessario cambiare atteggiamento e smetterla con le guerre reciproche tra GDO e industria, almeno per quanto riguarda la private label sulla pasta di semola, “in favore di accordi di più ampio respiro che vadano a coinvolgere anche gli acquisti della materia prima (il grano duro) in grandi quantità nei momenti propizi, perchè se l’offerta è troppo fragile di fronte ai venti contrari del mercato, potrebbe non esserlo la domanda”.

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