
Sono appena usciti i dati sulla chiusura del 2022 ed è un buon momento per tracciare un quadro complessivo su quanto accaduto e, per quanto difficile, provare a stimare il possibile andamento del 2023. Non ho la sfera di cristallo per cui mi baserò sulle stime, ben più illustri, di IRI, Banca d’Italia ed ISTAT.
Il 2022, che anno! In questo anno appena passato è successo di tutto: una guerra tra Stati sovrani, una riduzione della forza propulsiva della Cina a causa di una gestione alquanto bizzarra del COVID-19, un incremento molto marcato dei costi energetici e quindi dell’inflazione e, in ultimo ma non meno importante, l’incremento del costo del denaro perseguito in maniera più o meno marcata sia dalla BCE che dalla FED americana e la Banca d’Inghilterra che ha prodotto nell’ultimo quadrimestre un importante incremento sui mutui a tasso variabile (che sono il 40% del totale dei mutui emessi, dati Banca d’Italia).
Andiamo per ordine: il quadro economico generale si presenta debole, in rallentamento, ed è bene specificarlo ai lettori, tutto ciò è voluto. L’unico modo che gli economisti hanno per raffreddare l’inflazione è quello di ridurre i consumi, arrivando a sostenere anche la necessità di portare i singoli Stati alla soglia della recessione. Adesso non voglio spingermi troppo su considerazioni tecniche, che non sono il mio ambito, ma esiste un’inflazione della domanda (tipo quella americana) ed una dell’offerta (tipo, ahimè, quella Nostra) e la differenza sostanziale è che la prima viene generata effettivamente dai consumi mentre la seconda viene generata dall’aumento dei costi senza necessariamente collegarsi ai consumi. Per spiegarmi meglio: se tutti comprano un bene, il bene aumenterà di prezzo; se, invece, un bene aumenta di prezzo perché è aumentato il costo per produrlo, il bene potrebbe non venire acquistato (o acquistato meno) ma genererebbe comunque un incremento inflattivo.
L’Italia è, tra i paesi dell’Euro zona, quello a maggiore inflazione -circa il 12,3% contro il 9,2% della media degli altri partner europei– in quanto è il Paese con maggiore dipendenza dagli approvvigionamenti esteri in campo energetico. Questo dato è sicuramente figlio di scelte comode e poco strategiche del passato ma, tant’è, sicuramente oggi è responsabile di circa il 65% dell’inflazione totale (dati ISTAT) e questo ci fa capire molto bene la difficoltà che stiamo vivendo e la preoccupazione sui costi della bolletta. In questi primi mesi del 2023 termineranno i contratti a prezzi fisse che alcune aziende erano riuscite a portarsi a casa l’anno scorso e, non voglio certo alimentare le preoccupazioni, ma l’effetto potrebbe essere di un peggioramento della parte energetica di circa il 60% (che pesa circa il 35% dei costi di una bolletta ma si porta a cascata tutta una serie di costi che lievitano conseguentemente).
Potete quindi già individuare due macro aree di criticità per quanto riguarda il 2023: aumento del costo del denaro, e quindi dei mutui/investimenti da un lato, e la tensione sui costi energetici e quindi gli effetti sulle bollette di casa (e delle aziende) e sul costo dei carburanti.
Una nota sul costo dei carburanti: Il prezzo al pubblico è stato alto per tutto il 2022 (v. dati grafico MISE sotto) con il gasolio, che una volta era il carburante usato per risparmiare, più caro della benzina da oltre 6 mesi. La decisione del Governo di eliminare le accise che tenevano “a bada” circa 18 centesimi di euro del totale prezzo finale, avrà certamente delle ripercussioni sull’inflazione ma non è possibile oggi determinarne l’impatto in quanto il prezzo finale del prodotto raffinato deriva da una serie di voci industriali che sono, per il momento, stabili sul “medio/basso”. Un calo di produzione o uno stop ad un oleodotto avrebbe sicuramente maggior impatto. Vedremo a febbraio i dati sull’inflazione di gennaio e poi commenteremo.
L’incremento del costo del denaro, combinato con il costo elevato dell’energia, continua a produrre tensioni sui listini prezzi nella GDO e trovo quindi coerente (avrebbe dovuto succedere già qualche mese fa) il segnale di rallentamento sui volumi nell’LCC che nell’anno segna solo un -0,5% ma, nell’ultimo trimestre, supera ampiamente il -2% (v. grafico sotto).

Dopo un’estate “Dolce Vita” gli italiani si sono accorti che la vita è dura e grama e si sono messi con i remi in barca. Inoltre, non ha aiutato, se così posso scrivere, il confronto con Natale 2021 che era stato ancora molto cauto, con tante persone a festeggiare in casa, ancorché con familiari ed amici, e quindi con effetti molto positivi sulle casse dei Retailer. Vediamo adesso alcuni elementi più correlati al mondo della GDO.
L’inflazione, l’ho scritto prima, è alta (v. grafico sopra) ed i prezzi hanno avuto, per tutto l’anno passato, un incremento costante. Non tutti i Canali hanno gestito l’inflazione nello stesso modo, è bene segnalarlo. I primi a riversare l’inflazione sui prezzi, forti della loro price index sotto il 90, sono stati i Discount che si sono comunque mantenuti più competitivi dei loro rivali Supermercati; quest’ultimi, per contro, hanno perseguito politiche di prezzi fissi, bassi, congelati, al palo, finché hanno potuto, perseguendo la loro naturale vocazione di ammortizzatori delle tensioni di prezzo -questo va ricordato per onestà morale- finché hanno potuto ma poi han dovuto lasciar andare dei prezzi. Trovandosi già prima degli aumenti mediamente a 102, potete immaginare cosa sia successo…(v. slide sotto)
All’interno di queste dinamiche sui prezzi, quindi aumenti importanti di listino e grande difficoltà a riversare le variazioni sul prezzo di vendita, nella prima parte dell’anno c’è stata una forte resistenza ma poi, vedendo che i volumi crescevano ed i fatturati ancor di più, e non me ne vogliamo gli amici del Commerciale/Acquisti, si è oggettivamente posta minore resistenza. Le prime vittime illustri di queste variazioni di prezzo di vendita e listini di acquisto sono state le promozioni, divenute sempre più magre, con profondità di sconto minori e numeriche complessive in calo (v. grafico sotto, in basso a sinistra).
Una vittima che per me è stata del tutto inattesa è l’ampiezza assortimentale che si è ridotta nel corso dell’anno. Per anni si è parlato di ridondanza assortimentale causata dalla necessità di coprire 90 prestazioni ed oltre per ogni volantino, e quindi il tema della riduzione dell’ampiezza e anche la profondità è stata sbandierata come chiave di efficientamento ma mai perseguita davvero.
E proprio oggi che le promo sono in calo, alcune referenze spariscono dalla griglia ma, io dico, proprio perché c’è turbolenza sui prezzi, tenere più fornitori in pista non garantirebbe una migliore opportunità di concorrenza orizzontale e quindi maggiore possibilità di calmierare i prezzi?
Questa situazione non è logica ed è l’ennesimo errore sistemico che la GDO commette. L’altro baco, negli anni, è stato per me quello di voler gestire la MDD come una Marca e spingere un prodotto che nasce conveniente nella sua baseline ad un inutile Hi-Lo promozionale. Bene ha fatto chi ha resistito negli anni ed è cresciuto di quota per scelta e non per scambio. Ora, nel 2022, la riduzione delle promozione ha fatto sì che il cliente scoprisse “il vicino di casa”, ritornasse cioè a percorrere le corsie, guardare gli scaffali, alla ricerca di opportunità di acquisto, come si dice, qualità/prezzo, ed ecco che la MDD, che è sempre stata lì, accanto al leader, a volte anche già nei posti migliori, sempre in crescita negli ultimi anni (protagonista, suo malgrado, sin dalla prima pandemia del 2020, ricordiamocelo), continua il suo percorso e piazza un altro +1,1p.p. di rialzo (v. grafico sotto).
Con tutte queste premesse, molto difficile è stimare cosa succederà nel 2023 e mi è già personalmente capitato di dire/scrivere cose che poi sono state ben lontane dall’avverarsi ma, informandomi sulle fonti che ho citato all’inizio, pare consolidarsi la riduzione del costo del gas con un secondo semestre a prezzi inferiori a quelli precedenti l’inizio della guerra; sul petrolio, stante le continue minacce e la nuova politica del Governo, è difficile immaginare si possa tornare a valori antecedenti novembre del 2021. Ancora maggiore attenzione andrebbe posta nella richiesta di aumenti, da parte di chi vende e politiche di fidelizzazione verso i fornitori dovrebbero poter essere adottate, prevedendo anche elementi di compensazione a medio termine, dopo aver fissato “d’ufficio” una stabilità dei prezzi di acquisto e quindi di vendita.
La ricerca di nuovi partner affidabili, per sostituire i fornitori troppo esosi in termini di aumento del listino, potrebbe essere un’altra strada per creare opportunità alle industrie e movimentare lo scaffale che, come scritto, in quest’ultimo periodo si sta solo impoverendo.
In ultimo, le promozioni potrebbero essere ridotte, cogliendo l’opportunità di far parlare lo scaffale (finalmente) dando un senso ai prezzi standard. Del resto, la gestione dei Sell in promozionali potrebbe essere sempre più difficile, sicuramente poco pianificabile e quindi, non dico per la totalità dell’acquistato ma per una parte, prevedere condizioni nette.
Ed infine, sul serio, tornare a sane politiche di fidelizzazione dei clienti, oggi sempre più infedeli, attraverso veri vantaggi riservati a loro, utilizzando quindi la loyalty come arma strategica e non difensiva.
Di molti dei temi sopra esposti tornerò a parlare con Andrea Meneghini nei nostri Podcast “Attenti a quei due” quindi, se avete piacere, ascoltateci e fatecelo sapere.
Buon anno!