Dopo il caso scoppiato sul web e l’annuncio dei licenziamenti e della delocalizzazione in Serbia, continua il tentativo di boicottaggio di Omsa, uno dei principali produttori di calze e collant italiani. Ad oggi la solidarietà cresce e si parla della possibilità che anche la Coop possa interrompere la vendita di prodotti fatti in Serbia. A livello formale è possibile che Coop non accetti più come fornitore chi decide di delocalizzare a discapito del territorio e dell’occupazione, almeno per quanto riguarda la merce che non rientra nel settore alimentare. La medesima richiesta è stata girata, dalle lavoratrici Omsa di Faenza, a Conad, la quale potrebbe intervenire affinché da tutti i punti vendita siano ritirati dalla gli articoli a marchio Omsa: Golden Lady, Sis, Filodoro, Philippe Matignon, Hue Donna, Hue Uomo, NY Legs, Saltallegro, Saltallegro Bebè, Serenella, Arwa.
Se i due gruppi decidessero di perseguire questa strada sarebbe davvero un precedente importante nell’ambito del nonfood. Siamo abituati alla giusta promozione dei prodotti alimentari italiani e locali da parte della GDO, ma ancora non si sono visti casi eclatanti di preferenza di chi produce in Italia il non alimentare, con l’intento di difendere il lavoro nel nostro paese. Speriamo solo non sia un semplice fiammata di facile populismo.
Ma è roba da matti! Un’azienda non può decidere dove produrre? La distribuzione sceglie i suoi fornitori in base al prezzo, al prodotto, al servizio e alla nazione d’origine? E i prodotti cinesi?
L’espressione “roba da matti” la punterei verso l’azienda che ha deciso di delocalizzare lasciando a casa una moltitudine di persone.
Se Coop decidesse di boicottare l’azienda in questione, sarebbe un gesto di profondo rispetto verso i cassintegrati/licenziati, degno di essere ammirato e riproponibile anche in altri retailer
Lettore, ha mai sentito parlare di Riccardo?
proviamo a ragionare, al di la del caso OMSA, domani solo italiano? siamo sicuri che sia quello che ci voglia?
Per intanto i prezzi aumenterebbero di un 40 – 50 %, visto che l’italia importa quasi tutto dal grano al latte, per cui i più poveri sarebbero i primi ad essere colpiti, e come ci vestiamo degli abiti di Gucci e Ferragamo, anche qua i prezzi volerebbero.
ops Ricardo
Non mi trova d’accordo, Sig. Aldo.
Le mele e le pere non si possono mettere assieme.
I casi di latte e grano sono diversi in quanto dobbiamo rispettare dei vincoli e delle normative imposti dall’Europa.
La delocalizzazione dell’Omsa con la conseguente perdita di posti di lavoro non mi sembra ci sia stata imposta dall’Europa.
La Germania detassa le aziende che non delocalizzano, noi le incentiviamo?
Coop, se rendesse effettivo questa specie di “embargo”, lancerebbe un messaggio fortissimo e di forte impatto. Oltre a guadagnarci in pubblicità, si intende.
Caro Lettore, mi scusi ma è lei che separa le cose, quando invece sono simili, importiamo grano e latte, perchè costa meno produrlo all’estero, è una delocalizzazione bella e buona e non ci sono vincoli al riguardo, se non le quote che calmierano il prezzo del latte verso l’alto, ma io posso produrrre di più ed in quel caso non prendo il contributo.
Peccato che produrre in Italia è più caro ragion per cui nessuno lo fa.
Lettore mi sfugge perchè non propone l’embargo anche per le scarpe, i vestiti, le televisioni, ed anche la frutta e la verdura? ma soprattutto non mi ha risposto lei è disposto a pagare di più tutto solo per avere i prodotti made in italy.
Caro Aldo, sono dell’opinione che qualsiasi persona sarebbe disposta a pagare un pò di piu’ per avere un prodotto made in Italy, a patto però che questi segua l’intera filiera di produzione in Italia.
Non a caso il made in Italy è stato così a lungo e lo è tuttora) apprezzato all’estero proprio per gli elevati standard qualitativi. Anche oggi molti prodotti sia lattiero caseari che di pelleteria si fregiano del marchio made in italy senza alcun titolo, ma solo in virtu’ del fatto che le leggi attuali permettono qualche appiglio per aggirarle.
Giusto per intenderci, Lei è contro l’ipotetica posizione di Coop?
Non sarebbe il caso che COOP anzichè fare tanto la schizzinosa su questioni che in realtà non le interessano, ma è solo pubblicità.. pagasse i propri fornitori?
Mi risulta che ci siano non pochi problemi di puntualità ultimamente… e sì che di liquidità ne hanno….
Caro Lettore, per rispondere alla sua domanda la risposta è si perchè inutile e prestuosa, anche perchè non rientra nehli ob. dello statuto della coop.
Inoltre se lei è disposto a pagare il 40-50% in più per un prodotto made in Italy, libera scelta su cui sono d’accordo, mi sfugge il e perchè non dare la possibilità a chi questi soldi non ha o non accetta questa idea di avere una seconda possibilità.
Almeno che si voglia tornare all’autoarchia.
Qua voliamo alto, su problemi di macroeconomia. Dico la mia provando a ragionare velocemente. La ragione prima per la quale le aziende delocalizzano è sicuramente il costo del lavoro. E’ fuori di dubbio che in Italia il costo lavoro è la componente più elevato del ciclo di produzione, sia di beni che di servizi. LA ragione di tale costo non è sicuramente che i lavoratori italiani, siano profumatamente pagati dalle aziende. Il costo del lavoro è figlio, in buona parte, di una esagerata pressione fiscale che fa lievitare enormemente i costi della produzione. Sembra quasi di scoprire l’acqua calda nel dire che una acuta ed attenta analisi da parte di chi di competenza, porterebbe, aziende e lavoratori a viaggiare dalla stessa parte. Se non sbaglio, su questo aspetto molti governi si sono cimentati ma alla fine non hanno avuto il coraggio di prendere decisioni a favore dell’occupazione andando anche incontro alle imprese. Sul mercato si sta se si è competitivi, diversamente si va da altre parti.E questo a discapito dell’occupazione locale. Termino con due ultime riflessioni: la qualità produttiva dei lavoratori italiani non ha paragone con quelli dei paesi a basso costo di manodopera; il basso costo del lavoro molto spesso ( se non sempre) deriva da sfruttamento e mancanza delle più elementari norme di sicurezza sul posto di lavoro.( che già in italia a volte sono ” annacquate” , figuriamoci su altri latitudini….)
La convenienza ha un costo che qualcuno deve pagare. ( Come Aldo, in altro post, anche io suggerisco di dare una lettura ad un libro dal titolo significativo: WAL MART, il costo nascosto della convenienza.)
Raul per questo che Coop ed altre catene della GDO, nei loro accordi richiedono il rispetto delle norme sulla tutela del lavoro in autocertificazione e con possibilità di visita degli impianti a sorpresa tramite società di audit.
Aldo, sai bene che i protocolli sono una cosa e la realtà è tutt’altro ( riconoscendo comunque che alcuni comportamenti ” virtuosi ” ci sono ).
Raul hai ragione, lo so ma proprio perchè oggi il tema CSR è un tema caro e con la 231 è anche un obbligo punito penalmente gli interlocutori seri hanno poco o nessun interesse a violare queste norme.
Poi ci sono sempre i disonesti