Si è svolta negli giorni scorsi la seconda edizione della fiera della Marca a Bologna (19 e 20 Gennaio) e sarebbe bene trarre alcune considerazioni in merito: tanto per cominciare la prima cosa che salta all’occhio è la sobrietà della manifestazione. Le altre fiere del settore in Italia, dal concomitante Macef al Cibus di Parma, hanno come elemento caratterizzante la spettacolarità, ovvero stands futuristici con alta attrattiva ed il numero degli stand è impressionante: è vero che gli argomenti caratterizzanti la manifestazione sono differenti; tuttavia, soprattutto il primo aspetto, è da considerarsi prettamente italiano, inimitabile e pertanto immancabile. Sulla grandezza della fiera invece si può dire che rispetto allo scorso anno qualcosa in più c’era, anche qualche straniero interessante era presente quest’anno. Chiaramente è sotto gli occhi di tutti che così come la private lable è in continua evoluzione, anche la fiera nazionale che la rappresenta sia allo stesso modo dinamica. Ci domandiamo appunto: allo stesso modo? Senza prendere come riferimento la PLMA di Amsterdam, fiera principe della marca commerciale europea, spartana ed efficace allo stesso tempo, si può però pensare che qualcosa di più ci deve essere in termini di offerta. L’industria, con ogni probabilità, non ha ancora compreso in pieno quali sono gli elementi caratterizzanti la marca commerciale, come distinguere il primo prezzo dalla private lable, come intendere e sviluppare il concetto di partnership che sta alla base delle logiche di marketing della marca commerciale. Tale mancanza ha rappresentato, a nostro parere, il leit motive della Marca di Bologna. Tale commento non vuole essere una stroncatura ad una importantissima e fondamentale iniziativa che da due anni, nata quasi per gioco, sta facendo si che il mercato si allarghi, ma soltanto sottolineare quale dovrà essere il percorso da calcare nei prossimi anni.
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