Quando si entra nell’analisi di alcuni mercati specializzati, come nel caso dei Pet Stores, si ha spesso una mappatura parziale delle performance dei singoli operatori nazionali.
Ciò accade perché le società che si occupano di elaborare i dati di mercato sono consapevoli del fatto che tali segmenti rappresentano una nicchia e, dunque, gli operatori interessati ad approfondirne le dinamiche sono numericamente meno rispetto a coloro che, invece, studiano il più vasto mondo della GDO convenzionale.
Detto ciò, il rapporto Assalco Zoomark (dal quale prenderemo qualche slide) costituisce un ottimo punto di partenza per approcciare il mercato:
Intanto, c’è da tenere presente che, come sappiamo, la popolazione italiana segue un trend di decremento che caratterizza anche altri Paesi occidentali al quale si abbina un discreto sviluppo della presenza di animali da compagnia che, al 2022, nella Penisola sono più dei cittadini, ovvero 65 milioni circa.
Questo numero oggi è rilevante perché se prima dell’avvento e della diffusione dei prodotti specifici per l’alimentazione degli animali domestici, tali “consumatori” si nutrivano largamente di avanzi, nel mondo moderno alcune logiche di acquisto tipiche degli esseri umani si sono trasferite anche ai nostri amici a quattro zampe.
Relativamente a questo aspetto, il rapporto Assalco Zoomark evidenzia vari trend in atto che caratterizzano, ad esempio, il cibo per cani e gatti. Parliamo di alimenti senza coloranti, sugar free, low grain, senza OGM, ricchi di proteine etc.
È proprio il cambio delle abitudini di acquisto della clientela che ha generato un aumento dell’offerta di prodotti, foraggiato anche dallo sviluppo di operatori specialistici che, crescendo, hanno contribuito a generare un mercato considerevole (l’alimentazione cane/gatto vale da sola 2.76 miliardi di euro).
A questo punto, prima di rispondere, in parte, alla domanda che funge da titolo, dobbiamo fare una premessa sui mercati specialistici nel campo del retail.
Innanzitutto, essi spesso rimangono “sottotraccia” per molto tempo (anche per decenni) perché, rappresentando (almeno inizialmente) una nicchia, non interessano la GDO convenzionale.
In questa prima fase solitamente assistiamo allo sviluppo di tanti piccoli brand e di negozi indipendenti che poi diminuiscono gradatamente.
Ciò avviene perché, al principio, senza economie di scala in acquisto (poco buying power), management esperto (si tratta di mercati nuovi e, dunque, di prime esperienze un po’ per tutti) e senza uno storico di vendita, calibrare il business diventa difficile, soprattutto in mancanza di una dotazione economica importante da investire.
Nella fase successiva, invece, esistono generalmente pochi players (4/5) che, riuscendo a sopravvivere, cominciano a diventare profittevoli e, nelle zone in cui operano, si guadagnano man mano la fiducia del consumatore finale, lavorando in uno stato di calma apparente.
Conseguentemente, sempre in linea di massima, la GDO nota il mercato specialistico di riferimento e decide di presidiarlo, dapprima inserendo le migliori marche IDM nei propri assortimenti e poi, una volta imparate le rotazioni dei prodotti di punta, inondando il mercato di articoli MDD a prezzi molto competitivi, concentrati ovviamente sulla 20/80.
È questo il momento cruciale, ovvero quello in cui la GDO convenzionale “cala l’asso” e i player specialistici devono stare attenti a calibrare le proprie mosse.
Da un lato, essi hanno la tentazione di pensare che il cliente rimanga fedele a priori, nonostante l’ingresso nel mercato della GDO. Chi crede questo, solitamente adotta una strategia difensiva, posizionando il proprio prezzo molto al di sopra di quello applicato dai supermercati e sostenendo di differenziarsi per la qualità.
Nel medio/lungo periodo, però, questo approccio tende a non funzionare. Lo abbiamo visto nel caso del biologico specializzato, ambito in cui i prezzi generalmente elevati (anche sui prodotti comparabili con la GDO), applicati dai negozi specialistici, hanno generato una crisi del comparto degli organic stores.
Il “colpo” sferrato dalla GDO al comparto bio specializzato è stato particolarmente forte perché parte dell’assortimento convenzionale core del mass market retail (es. alcune referenze di ortofrutta, succhi, omogeneizzati, infusi etc.) è diventato biologico in modo continuativo presso i supermercati e ciò ha fiaccato grandemente gli organic stores.
Ciò nel campo del petfood ha meno chance di accadere perché, ovviamente, un conto è sostituire un succo convenzionale con uno bio ed un conto è sostituirlo con una scatola di croccantini per cani. Diciamo che il mercato dei Pet Stores, almeno in questo, è più fortunato.
Non mancano però le linee specializzate della GDO come Amici Speciali Coop, Conad Pet Friends, oltre ai prodotti a marchio Decò, Carrefour, Selex etc.
Per quanto concerne il Petfood, poi, la GDO si è spinta oltre, realizzando a sua volta dei veri e propri negozi specializzati (cosa che, per esempio, nel bio non è successa proprio per i motivi addotti). La catena di Selex si chiama “Animali che passione”, quella di Coop “Amici di Casa Coop”, per Conad c’è “Pet Store Conad”, per il gruppo Multicedi “Ayoka” e così via.
Compito di queste catene di PetShop GDO è combattere commercialmente in modo preponderante i due monoliti generatisi dalla concentrazione degli operatori del mercato, ovvero Agrifarma SpA (Arcaplanet) e DMO Pet Care (Isola dei Tesori).
Per praticità e per un fatto meramente dimensionale (Agrifarma fattura il doppio di DMO Pet Care), ci concentreremo sull’analisi del primo che su un fatturato 2022 di quasi 468 milioni di euro, in crescita rispetto ai 402.5 circa del 2021, produce un utile di oltre 26 milioni (il 5.6% circa).
Le strategie messe in campo da Arcaplanet per mantenere la leadership del mercato ed evitare di farsi travolgere dallo sviluppo delle catene PetShop GDO si palesano osservando i comportamenti che l’azienda nata a Carasco (Genova) nel 1995 mette in atto.
Innanzitutto, Arcaplanet negli anni (con una recente propulsione) ha aperto più di 500 punti vendita in 18 regioni italiane (con recenti piani di sviluppo importanti nel Meridione), operando dunque una strategia di copertura territoriale rilevante.
In seconda battuta, a differenza di quanto fatto da Isola dei Tesori, ha praticamente archiviato il franchising, dedicandosi ai soli negozi diretti (in crescita costante anche grazie all’acquisizione di Maxi Zoo Italia SpA).
Questa scelta è importante perché comporta una direzione strategica chiara che si contrappone al modello utilizzato da catene come PetStore Conad la quale, attingendo da una base imprenditoriale consortile, si affida anche ai singoli soci per lo sviluppo.
Gestire negozi diretti ti consente di avere un maggiore controllo sugli assortimenti e, più in generale, sul livello di servizio. Ciò è importante nel Pet e, comunque, nei mercati specialistici perché in tali contesti concentrare i volumi tende ad alzare le marginalità in modo più rilevante che in altri casi.
Ulteriore volano per la crescita del leader è l’eCommerce, comparto che la società ha l’obiettivo di arrivare a far pesare il 20% circa sul fatturato. Il numero ha senso se pensiamo che, nel pet, il cliente non è anche consumatore e, quindi, tutta l’impulsività d’acquisto tipica del mercato alimentare (dove l’online pesa sempre intorno al 2.5/3%) viene meno. Oltre al fatto che il petfood si compone anche di referenze da 15/20 Kg, difficilmente trasportabili.
Elemento distintivo dei negozi pet sono anche i servizi di vario genere offerti la cui gamma è sempre in ampliamento. Parliamo di toelettatura, pet wash, referente veterinario, pet laundry etc.
Come avviene di frequente nei mercati che si concentrano, sia Arcaplanet che Isola dei Tesori sono partecipate da fondi d’investimento che ne accelerano grandemente la crescita la quale impatta i negozi indipendenti, più piccoli e meno forniti della concorrenza.
A questo punto, i retailer convenzionali hanno di fronte varie scelte. Possono utilizzare i propri format pet come completamento di un’offerta franchising, magari utilizzando modelli snelli e poco costosi da inserire in superfici limitrofe ai loro supermercati.
Possono “approfittare” della concentrazione del mercato attraverso operazioni di M&A con i leader. Abbiamo visto, ad esempio, il caso di Joe Zampetti (catena specializzata di Megamark) che è diventata una partecipata di DMO Pet Care.
Oppure, stante il fatto che la GDO sta vivendo un periodo di “regionalizzazione” che consiste nello sviluppare fatturato ed acquisire leadership nella propria regione (o macroregione) di appartenenza, le aziende di PetShop GDO potrebbero decidere di concentrarsi fortemente nei territori già coperti dalle insegne di supermercati delle proprie “case madri”, aumentando il margine e la quota di mercato detenuta.
Bisogna dire che Arcaplanet ha un peso della propria MDD molto rilevante (circa il 50% dei volumi) e ciò costituisce un vantaggio competitivo laddove i clienti siano fidelizzati ai marchi dell’insegna. D’altro canto, però, ciò lascia spazio ai concorrenti per collaborare efficacemente e profittevolmente con quei partner (fornitori) che, in un modo o nell’altro, vorrebbero entrare nel mercato italiano.