Ripresa: il valore medio del carrello torna a crescere dopo anni di cali

Il carrello della spesa torna a riempirsi e la grande distribuzione nazionale tira un sospiro di sollievo. A ottobre il fatturato ha registrato il quindicesimo rialzo consecutivo e, nei giorni, scorsi la Banca d’Italia ha confermato il consolidamento della ripresa dei consumi privati. Ma il dato più rassicurante per le catene retail è l’aumento di valore del carrello medio dopo anni di cali: se tra il 2007 e il 2015 i consumi hanno subito una perdita di valore di 80 miliardi ora, invece, stanno recuperando. L’inversione di tendenza, con la spesa che cresce a valore più che a volume, indica che il peggio è passato. I consumatori ricercano prodotti con caratteristiche qualitative e di prezzo che premiano le aspirazioni e la gratificazione. Per le aziende della distribuzione moderna è il momento di riorganizzarsi per intercettare i nuovi stili di consumo.

Le variabili sono tante. La ripresa non è uguale in tutte le regioni: è partita prima nelle aree più ricche del Paese, a Nordovest, nel Centro e nel Nordest ma gradualmente si sta allargando anche al Sud e nelle isole. I consumatori mostrano di preferire alcuni format rispetto ad altri: i supermercati con superfici di vendita tra 1.500 e i 4.500 metri quadri crescono più del 4%, mentre gli iper e i negozi a libero servizio continuano a scendere. Piacciono e crescono oltre il 4% anche i discount, catene con prodotti low price con marche di fantasia esplose in tempi di crisi che stanno resistendo anche con la ripresa. Un altro fenomeno che si sta imponendo quello dei cosiddetti «specialisti drug», le catene specializzate dedicate ai prodotti biologici piuttosto che ai prodotti per la cura della persona o della casa o degli animali.

La grande distribuzione nazionale è un settore maturo e gli addetti ai lavori prevedono un consolidamento intorno ai poli più efficienti. Tra il 2007 e il 2014 le superfici commerciali sono cresciute molto più dei consumi, del 20,3% in più rispetto secondo Nielsen. La rete italiana, nota la società di ricerche, è arrivata ormai a livelli europei con 226 metri quadri ogni mille abitanti contro i 343 della Germania e i 193 della Francia e i 191 della media europea.

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Il ridimensionamento e il riposizionamento dei punti vendita è iniziato lo scorso anno. Le aziende hanno cominciato a chiudere i punti vendita senza aprirne di nuovi e a investire sul rinnovamento dei loro format e sull’innalzamento della qualità degli assortimenti. Nel 2014 secondo uno studio Ancc-Coop sono calati sia i punti vendita sia le aree degli iper (-0,8%), dei super (-1,3%), del libero servizio (-4,1%), mentre sono aumentati gli spazi e il numero dei discount (+2,8%) e dei superstore (+1,7%). Anche l’analisi della produttività e delle quote di mercato conferma il vantaggio dei superstore e dei discount rispetto alle altre categorie di negozi. I primi sono arrivati a coprire il 16% delle superfici di vendita, i secondi sono al 15%.
La frammentazione rende il mercato italiano più aperto e competitivo: la quota dei primi tre operatori è limitata al 34% contro il 61% del Regno Unito e della Germania e il 53% e 54%, rispettivamente, di Francia e Spagna. L’altra faccia della medaglia è l’inefficienza e la scarsa redditività dell’industria al dettaglio nazionale: lo scorso anno il Roe medio delle insegne della grande distribuzione si è fermato allo 0,2% mentre quello delle industrie produttrici è stato del 7%.

La scorsa settimana nella convention annuale tra i rappresentanti dell’industria e quelli della distribuzione moderna si è parlato di molti temi caldi. La pressione promozionale sta finalmente calando, ma l’obiettivo di tutti è farla scendere a livelli fisiologici intorno al 20%. Questo potrebbe aiutare il prodotto a marchio del distributore che stenta a sfondare: mentre negli altri Paesi europei i prodotti con i brand della catena o di fantasia superano il 50%, in Italia sono fermi intorno al 20%. Tra le novità che il settore sta affrontando c’è anche l’e-commerce: dopo l’ingresso questa estate del colosso Amazon nel mercato del food, le catene nazionali si stanno organizzando per lanciare le proprie piattaforme. Per ora si tratta di un mercato minuscolo, l’1% dell’ecommerce nazionale che a sua volta è solo il 4% di tutte le vendite retail, ancora lontano dai principali mercati occidentali.
Gli italiani che acquistano online prodotti alimentari sono quattro milioni e generano un giro d’affari di 460 milioni. Secondo il Politecnico di Milano il web-commerce è un comparto in progressivo aumento e che a fine 2015 vedrà un totale di 250 milioni di acquisti per oltre 16 miliardi di valore effettuati da oltre 21 milioni di persone. I settori che più contribuiscono alla crescita sono turismo (+14%), informatica ed elettronica di consumo (+21%), abbigliamento (+19%) ed editoria (+31%), ma è importante anche l’apporto di comparti emergenti come food & grocery.

[Via Corriere.it]

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