Business 4.0: cosa cambierà nei prossimi anni per le imprese italiane.

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Dopo l’avvento di Internet, dei social networks e della non ancora metabolizzata comunicazione multicanale, alcune imprese italiane dovranno attrezzarsi meglio per affrontare l’inevitabile estensione geografica dei loro mercati di riferimento.

Da tempo il concetto di prodotto fisico è stato sostituito da quello di “prodotto-servizio”, in cui la componente soft (il servizio, il design, ecc.) si aggiunge ed è inscindibilmente legata a quella “hard” (il prodotto fisico).

Una fetta consistente del PIL, e la direttrice di crescita (o la via di scampo) per tante imprese italiane si può formare attraverso i cd. servizi “tradable”, cioè i servizi rivolti a clienti esteri: è così che viene creato valore, costituito dalla differenza tra i ricavi (al netto dei beni e servizi pagati a soggetti esteri) e i costi di erogazione dei servizi.

In un’economia come quella attuale, dominata dal “prodotto-servizio” e dall’utilizzo della rete, le imprese più accorte tendono a configurare il loro sistema di erogazione del servizio enfatizzando l’utilizzo del tempo e delle risorse di fornitori, clienti, intermediari e business partners (i cui costi sono sostenuti da tali soggetti esterni e non dall’impresa) anche attraverso applicazioni basate sul web.

A differenza di altri Paesi (ad es. gli USA, la Cina o l’India), o aree geografiche contigue, basate su un solo idioma prevalente o ufficiale e su un sistema normativo interno più o meno uniforme, o comunque perimetrato da regole abbastanza chiare, le imprese italiane che si rivolgono (o sono interessate a rivolgersi) ai mercati esteri limitrofi devono affrontare una maggiore frammentazione dei mercati, delle lingue di riferimento (con tutto quanto ne deriva in termini di contatti, negozioni, etichettatura, packaging, documentazione, ecc.) e delle norme a livello locale (con i relativi costi di compliance, adattamento, perimetrazione dei rischi legali, ecc.).

Non dimentichiamo che le imprese che operano con l’estero già oggi devono operare tenendo in considerazione le disposizioni nazionali, quelle regionali. quelle della UE, e quelle del diritto internazionale privato (inclusa la cd. “lex mercatoria”). Ma non basta: “a dar loro una mano” ci sono non solo le disposizioni tributarie nazionali, ma anche quelle locali in ogni singolo mercato di riferimento.

La continua estensione dei cd. “contratti asimmetrici” (quelli in cui una delle controparti viene identificata quale soggetto “debole” e quindi tendenzialmente da tutelare), della responsabilità extra-contrattuale (da prodotto, da danno ambientale, ecc.), le forme di tutela quali la “class action”, il tentativo di raggiungere uno “spazio giudiziario europeo” nel quale si tenta di ridurre le barriere derivanti dall’elemento di internazionalità dei rapporti, espongono le imprese a un maggiore livello di responsabilità giuridica.

E’ sotto gli occhi di tutti che le peculiarità delle PMI italiane (tra cui design, creatività e flessibilità sono le principali) sono, assieme ad alcuni distretti industriali, il nostro punto di forza.

Ma le imprese italiane che puntano sui mercati europei devono fare i conti con almeno una quindicina di idiomi e singoli sistemi normativi locali, con conseguente impatto sui costi e sui rischi legali ai quali si assoggettano.

Quelle che non si rivolgono direttamente a clientela estera ne subiranno comunque gli effetti: in modo più immediato se servono la filiera, in via indiretta se si rivolgono al mercato interno, perché alla fine l’incidenza della spesa pubblica e del debito su un PIL che non cresce aumenterà sempre di più, con una pressione fiscale più onerosa e i conseguenti effetti anche per loro.

Le imprese italiane che hanno un business suscettibile di sviluppo con l’estero devono imparare ad affrontare fin da subito (e in modo corretto) non solo gli aspetti commerciali, logistici e multiculturali, ma anche quelli legali e tributari, cercando di gestire attivamente gli aspetti contrattuali e legali (con una visione coerente e d’insieme) anziché subirli dalle controparti: questo aspetto sarà sempre più cruciale per non vanificare gli sforzi e i risultati commerciali.

Fare investimenti, impiegare energie e risorse, affrontare nuovi mercati, innovare e sviluppare l’attività per poi mettere a rischio i risultati (o ancor peggio, l’esistenza stessa dell’impresa e le sorti di chi ci lavora) non è uno scenario che le imprese italiane possono permettersi di considerare.

La percezione che frequentemente le imprese hanno degli aspetti legali è quella di costituire un “ostacolo” alle relazioni commerciali o una inutile complicazione (a onor del vero in alcuni casi hanno ragione, ci sono moduli e contratti predisposti da studi legali molto lontani dal modello ideale di semplice “accordo commerciale” che è un contratto e non spaventa la controparte ma può fissare validamente i punti essenziali per l’impresa).

La tendenza ad affrontare gli aspetti legali solo quando sorgono i problemi (ed è tardi per ridurre la superficie di attacco legale in modo preventivo) porta a evidenti rischi e alle relative conseguenze finanziarie: che la controparte sia fornitrice, cliente o intermediaria dell’impresa ha poca rilevanza, perché la gestione di un problema sorto su una struttura errata di regolamentazione giuridica dei rapporti e di perimetrazione dei rischi comporta sempre e comunque una maggiore alea e costi elevati.

In un contesto in cui le informazioni sono disponibili in tempo reale, e i fattori di vantaggio competitivo sono più conoscibili (e quindi più imitabili in tempi brevi), i margini operativi delle imprese sono (e saranno) sempre più ridotti, e non potranno sopperire più alle inefficienze e alle conseguenze derivanti dai rischi, tra i quali quelli legali e tributari avranno sempre maggior peso.

In sintesi, le sfide per le imprese italiane non mancano su tutti i fronti, ma attenzione a prepararsi bene per il business 4.0 gestendo attivamente gli aspetti legali: vanificare tutto in un soffio non è piacevole.

F. Graziotto

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