Si parla di debito pubblico, ed il debito delle imprese? Parliamone

Nel marzo del 2014, mentre Matteo Renzi formava il suo governo, l’Italia ha varcato nella distrazione generale una soglia quasi altrettanto importante. Il debito, escluso quello di banche e delle assicurazioni, ha superato quota 300% del prodotto interno lordo. Da allora non si è più fermato e ormai viaggia oltre il 310%, secondo i dati di Haver Economics. Naturalmente siamo abituati a discutere in ogni dettaglio le dinamiche del debito pubblico, ma l’aspetto più sorprendente di quel passaggio di un anno fa, e della dinamica che da allora prosegue, è altrove. Va cercato negli altri soggetti indebitati, soprattutto le imprese non finanziarie che non possono approfittare direttamente degli interventi della Banca centrale europea, pagano tassi d’interesse molto più alti dello Stato e pesano per quasi la metà delle passività del Paese. Il debito delle famiglie non preoccupa, perché resta stabile e più basso che nel resto d’Europa. E ha senso escludere le banche dal calcolo del debito totale, perché esse prestano al resto dell’economia e contano fra i propri attivi in bilancio il debito di tutti gli altri soggetti. Soprattutto, grazie anche alla pressione dei guardiani di Banca centrale europea e Banca d’Italia, gli istituti di credito da qualche tempo sono stati costretti a ricapitalizzarsi. Per la prima volta da tempo immemorabile il loro debito ha iniziato a ridursi dal 102% all’84% del Pil. Il problema è che in Europa non esiste una vigilanza del genere

per le imprese che producono tondini d’acciaio o software. Mentre il debito delle banche è sceso, quello delle altre imprese ha continuato a salire. Era al 112% del Pil all’inizio dell’anno scorso e da allora è aumentato di un altro punto. Poiché in Italia un prestito bancario a cinque anni costa circa il 2% più che in Francia e l’1% più che in Spagna, quel carico sulle spalle delle imprese sta pesando sulla crescita almeno quanto il debito pubblico. È impossibile infatti spiegare l’aumento dell’indebitamento con nuovi investimenti delle imprese in vista della ripresa: i sondaggi di Banca d’Italia mostrano ancora un declino su questo fronte all’inizio del 2015. Le imprese non stanno investendo e il loro margine di profitto, segnala l’Istat, continua a declinare. I dati Haver segnalano una realtà troppo spesso dimenticata: la fragilità finanziaria del settore produttivo resta un’emergenza del Paese. Non è un problema che possa risolvere la Bce, come ha fatto con gli acquisti i titoli di Stato o con la spinta al rafforzamento delle banche. La responsabilità è di imprenditori spesso miopi e di un sistema fiscale che non li incentiva come dovrebbe. Ma se non mette questo problema al centro della sua agenda, l’Italia non avrà mai una ripresa normale.

Da Affari e Finanza di Repubblica del 13 Aprile a firma di Federico Fubini

 

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