lunedì 2 Dicembre 2024

Reverse charge nella GDO: probabile veto dell’Europa

Complice la visita dei tecnici della Commissione europea in Italia al fine di monitorare il progresso delle riforme strutturali in sintonia con gli interventi introdotti dall’ultima legge di Stabilità, è arrivata all’Italia la sgradita notizia, ora in via ufficiosa, circa l’eventuale bocciatura del reverse charge nella GDO. Le istituzioni comunitarie esorterebbero infatti il Governo italiano a trovare altre strade per recuperare le maggiori entrate.

Erano emersi nell’immediatezza della stesura definitiva del testo della legge di Stabilità 2015 dubbi sulla conformità dell’intervento al dettato europeo o meglio ai precedenti in materia che prevede l’introduzione dell’inversione contabile, derogando al normale funzionamento dell’imposta, in un settore non particolarmente esposto alle frodi fiscali.

Rileva la Commissione che non è sempre scontato che gli Stati membri che chiedono l’introduzione del reverse charge fra soggetti passivi nel quadro delle forniture nazionali possano risolvere le frodi fiscali. In tutti gli Stati membri l’80% dell’IVA è corrisposta da meno del 10% dei soggetti passivi; questo induce a ritenere possibile per le amministrazioni fiscali la fattibilità di controllare molto facilmente gran parte del gettito IVA.
L’eventuale allargamento del reverse charge quale modifica del sistema fiscale ha conseguenze dirette sia sugli operatori onesti sia sui truffatori. Ciò induce l’Europa ha valutare, così come ha sempre fatto, secondo criteri di selettività e di prudenza l’introduzione di deroghe al funzionamento del sistema generale dell’IVA che, pertanto, devono essere opportunamente limitate e proporzionali al settore oggetto d’intervento.

L’inversione contabile nel settore della GDO non è l’unico strumento, introdotto dalla recente Legge di stabilità, a dover superare l’arduo controllo della Commissione, ci riferiamo allo split payment che, comunque, a differenza dell’inversione contabile, è operativo (transitoriamente) dal 1° gennaio 2015. Certo si tratta di un meccanismo diverso ma che comunque ha il fine di tutelare l’erario da frodi fiscali. Anche qui però non si rinvengono particolari fenomeni improvvisi e di rilevante entità tali da presupporre una modifica che stravolga il funzionamento ordinario del tributo.
Certo le intenzioni del legislatore italiano sono tra le più meritevoli di attenzione e degne di piena condivisione ma si scontrano con la disciplina comunitaria legata a procedure specifiche a cui bisogna attenersi obbligatoriamente. In secondo luogo non ci si può dimenticare che in ambito europeo le modifiche e le deroghe alla direttiva IVA abbisognano del consenso unanime di tutti gli Stati membri, regola che rallenta o limita le buone intenzioni della maggior parte dei Paesi aderenti all’Unione.

L’impatto che avrà un eventuale rifiuto europeo all’introduzione del reverse charge nella GDO é stimato in circa 728 milioni di euro a cui bisogna far fronte, così come previsto dalla clausola di salvaguardia, con l’aumento delle accise su benzina e gasolio pronto a scattare dal prossimo 1° luglio. Si ricorda che il maggior gettito della misura dovrebbe finanziare i 4,5 miliardi di euro promessi dal nostro Governo per ridurre ulteriormente il debito pubblico (dal 2,9 al 2,6% del PIL).
Non bisogna dimenticare che un secondo no europeo anche allo split payment costerà agli italiani un altro miliardo di euro per complessivi 1.716 milioni di euro.

Le misure introdotte dall’Italia per combattere l’evasione nell’IVA sono apprezzabili da un punto di vista squisitamente tecnico. Infatti la volontà di evitare il versamento dell’imposta in fasi commerciali a rischio e, contestualmente, incentrarlo su soggetti “affidabili” trova una piena condivisione operativa. La misura italiana risulta corretta dato che non permette di spostare a valle la frode fiscale così come non si verificherebbe un maggior aggravio di obblighi per i soggetti passivi. Su questo versante, comunque, si è paventato un concreto rischio di un drenaggio di liquidità dalle imprese coinvolte nelle misure, effetto parzialmente mitigato da una maggiore tempestività nell’erogazione dei rimborsi fiscali, così come annunciato dai vertici dell’Amministrazione finanziaria.

Il reverse charge nella GDO e lo split payment potrebbero attenuare l’enorme VAT gap dell’Italia (stimato nel 2011 in 36.134 milioni di euro) ma i citati propositi si scontrano con i limiti normativi insiti in un tributo a vocazione europea. Le intenzioni restano sempre intenzioni, le norme sono altra cosa e per cambiarle bisogna seguire la strada politica e ricevere il consenso unanime di tutti gli Stati membri. Sarebbe stato auspicabile appoggiare le richieste (condivisibili) sia dell’Austria che della Germania presentate alla Commissione quasi 10 anni fa per iniziare un cammino comune verso una riforma strutturata e condivisa del funzionamento, ormai obsoleto, dell’IVA.

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