Tutti, inconsciamente o meno, siamo in qualche misura dediti al self branding; almeno nella misura in cui ognuno di noi cura e gestisce il modo in cui viene percepito dagli altri. Quella dose di “noi stessi” che non lasciamo completamente libera di fluire (se non tra pochi intimi), ma che gestiamo in modo più o meno attento per proiettare l’immagine di noi stessi che vogliamo venga colta. In un periodo in cui, online e non solo, è il marketing relazionale a farla da padrone, è inevitabile che lo stesso strumento venga applicato anche alle persone, e non più solo ai prodotti. Detta così, sembra che il self branding sia il male, la commercializzazione dell’anima, e certamente questa è una critica che spesso viene portata. Le cose però non vanno necessariamente viste in un’ottica così pessimistica. Innanzitutto, però, vediamo una definizione del termine più precisa: “creazione e gestione del proprio marchio personale”.
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Messa così, è abbastanza facile capire di che si tratti e come i primi a utilizzarlo (in modo non necessariamente programmato) siano sempre stati artisti e creativi in generale. Andare a determinate feste per incontrare certe persone; parlare di lavoro per mostrare le proprie specializzazioni; vestirsi in un certo modo per non sentirsi al di fuori del gruppo di riferimento. In poche parole: trasmettere una determinata immagine e fare networking nell’ambiente in cui si desidera fare carriera. Come sempre nei casi di questo tipo (e come proprio il marketing insegna) più ciò che si trasmette è vicino alla realtà effettiva, più aumentano le chance di successo.Il punto quindi è creare un vero e proprio brand di se stessi, fare in modo che nel momento in cui un datore di lavoro (e qui si esce dal campo prettamente artistico/creativo che è stato il primo a fare un uso massiccio del self branding) stia pensando alla persona giusta per quel compito, sia il vostro volto il primo ad apparirgli. Esattamente nello stesso modo in cui se pensate a una bibita rinfrescante nella maggior parte dei casi sarà la Coca Cola a venirvi alla mente. E anche in questo caso, inoltre, il vostro brand non sarà una superficie che ricopre il nulla, ma il modo che voi avete studiato e preparato per “confezionare” le vostre competenze professionali. Questo diventa tanto più fondamentale nel momento in cui si vive in una società velocissima, in cui bisogna però riuscire ugualmente a lasciar un buon ricordo di noi e di quello che rappresentiamo. Un ricordo che sia coerente, ovviamente, con quello è che il nostro obiettivo. D’altra parte, se è vero che sono i primi 30 secondi in cui si incontra una persona quelli decisivi, allora è evidente come determinati incontri non possono essere lasciati al caso (ma, come insegnava secoli fa Baldassarre Castiglione ne Il Cortigiano, bisogna essere talmente preparati che non si veda che siamo preparati).